domenica 4 maggio 2008

PER UNA WELFARE DELLA VITA

Ancora una volta, il “problema di Sandra” è una questione culturale e politica: a nessuno interessa porsi il problema di un “qualcosa” che non c’è (ancora) e che può essere rimosso, in quanto “problema” gratis e da parte della struttura pubblica. “Un bambino che deve ancora nascere non è una malattia che può venire, e allora tutti sono disposti a finanziare la ricerca”. Ma cosa va dunque chiesto, per prima cosa, a un nuovo governo che si insedia spargendo buone intenzioni per la difesa della famiglia e della vita?

“Mi è capitato di sentire un medico dire: ‘Ma sa, a poche settimane è un lumachino, si stacca facilmente’. Ecco perché non esistono provvedimenti a favore delle donne in difficoltà”. Così Paola Bonzi offre aiuto a Sandra
Tratto da Il Foglio del 3 maggio 2008





Milano. “Mi è capitato qualche giorno fa di sentire che un medico, ‘consigliando’ una donna sul da farsi, le abbia detto: ‘Ma sa, a poche settimane è un lumachino, si stacca facilmente’. Ecco: un lumachino. Mi chiedete perché non esistono provvedimenti di welfare a favore delle donne in difficoltà economica per una gravidanza, come la signora Sandra di Napoli, di cui ha scritto Repubblica il 30 aprile? Mi chiedete perché non c’è un sostegno pubblico, o perché non vengono finanziate le associazioni private che difendono la vita nascente? E’ semplicemente per questo: se è un lumachino, perché agitarsi tanto?”.


Paola Bonzi si sente chiamata personalmente in causa dal caso di Sandra, e del resto anche il Foglio ha suggerito alla donna di Napoli di rivolgersi a lei. Lei accetta, è disponibile, trovarla non è difficile. Già, ma poi cosa può fare, la responsabile del Centro aiuto alla vita della Mangiagalli di Milano per Sandra e per tutte le altre donne che si rivolgono al suo Cav (60 “gravidanze al primo trimestre” solo in aprile)? “Anche a distanza, potremmo aiutarla a far approvare un progetto Gemma di 160 euro mensili per 18 mesi del Movimento per la Vita; e metterle a disposizione un sussidio del Cav Mangiagalli di 250 euro mensili per 18 mesi. E anche stanziare per lei 500 euro mensili dalla nascita del bambino fino al compimento del primo anno di vita usufruendo dei fondi della ‘Lista Pazza’. E farle recapitare ‘le cose’ per il bambino”.

Non mancano determinazione e fantasia, a Paola Bonzi. D’altronde, da decenni combatte a mani nude contro il disinteresse e la mancanza della pur minima forma di welfare a favore delle donne in gravidanza. “Non c’è nessuna forma di welfare. E del resto, perché una donna dovrebbe chiederlo, se è un ‘lumachino’? Perché dovrebbe affrontare lo scandalo sociale, disturbare? E perché lo stato, o chiunque altro, dovrebbe crearsi il problema sociale ed economico per un qualcosa risolvibile diversamente?”. Ma questo, spiega, non è soltanto eticamente e culturalmente assurdo, è contro la legge stessa: “L’articolo 5 dice che le strutture pubbliche si incaricano di rimuovere le cause materiali che possono indurre all’aborto. E invece, chi finanzia la legge 194? Dov’è la sua copertura economica, anno per anno? Io l’ho chiesto molte volte, anche qui in Lombardia, a chi ne dovrebbe essere responsabile: niente, non mi è stato risposto niente”.


Ma quanto costa, quanto costerebbe sostenere il welfare della maternità? “Vorrei fare un asettico elenco degli aiuti standard che il nostro Cav mette a disposizione, quando incontriamo una donna a rischio di aborto. Un colloquio mensile di sostegno psicologico con un professionista; un sussidio, normalmente dai 200 ai 300 euro mensili per diciotto mesi, quando è possibile finanziato parzialmente dal progetto Gemma. Prepariamo anche borse della spesa per le situazioni più indigenti: oggi sono più di 400 ogni mese. Inoltre abiti premaman, visite ginecologiche, assistenza sanitaria, la fornitura del corredino per il neonato, culla e carrozzina, latte artificiale. Poi c’è anche il dopo: visite pediatriche, i gruppi per il ‘massaggio del neonato’, i gruppi per l’osservazione della ‘buona crescita’. E i pannolini fino all’anno del bambino”. Perché se si vuole investire seriamente sulla maternità, bisogna pensare anche alle condizioni di vita successive. Ed è evidente che sostenere una gravidanza ha un costo. Per i conti di Paola Bonzi, 500 euro al mese per 18 mesi. Loro ovviamente non ci possono arrivare, neanche con il contributo della Lista pazza, e il rischio è che, come nel 2007, a metà dell’anno le casse siano già vuote. Ma per i Cav che, a differenza di quello della Mangiagalli, non sono consultori accreditati va anche peggio. Non c’è nemmeno il rimborso, minimo (19,11 euro per una seduta con psicologo, 15 per una visita ginecologica) della Asl. I progetti Gemma del MpV sono finanziati da volontari, i rari contributi erogati alle donne dai servizi sociali locali di solito arrivano dopo e per breve tempo: “Spesso la copertura parte dal settimo mese, e arriva ai tre del bambino. Anche questo è assurdo: al settimo mese ci devi arrivare. Così invece la maggior parte al settimo mese non ci arriva, abortisce prima”.

Ancora una volta, il “problema di Sandra” è una questione culturale e politica: a nessuno interessa porsi il problema di un “qualcosa” che non c’è (ancora) e che può essere rimosso, in quanto “problema” gratis e da parte della struttura pubblica. “Un bambino che deve ancora nascere non è una malattia che può venire, e allora tutti sono disposti a finanziare la ricerca”. Ma cosa va dunque chiesto, per prima cosa, a un nuovo governo che si insedia spargendo buone intenzioni per la difesa della famiglia e della vita?
“Semplicemente, che finanzino la legge 194. Poi è importante creare nuovi strumenti di aiuto, io penso per prima cosa alla casa. Ma innanzitutto, facciano quello che nessuno ha mai fatto: la copertura finanziaria per ciò che prevede l’articolo 5 della legge 194”.



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