giovedì 4 gennaio 2007

NOI NON RELATIVISTI LUNGO LE CORSIE DEL DOLORE

L'articolo che riporto qui sotto e' una risposta al precedente.Puo' essere di aiuto a molti.

Una generazione nuova di professionisti sta crescendo.

Fonte:( AvvenireAutore: Carlo BellieniData: 04/01/2007)

Se si presta attenzione, la ricerca scientifica degli ultimi anni finisce col confermare la bontà di quello che la Chiesa, conoscitrice dell'uomo, afferma in campo etico. Ad insinuarlo è, per esempio, quanto sappiamo sui rischi delle nuove tecniche procreative, gli studi sull'embrione umano e sulle conseguenze psicologiche e fisiche dell'aborto. Ma chi spiega questo al grande pubblico? Chi lo rende "cultura"? Nel suo recente editoriale sul «Corriere della Sera» Ernesto Galli della Loggia lamentava la scarsa presenza dei cattolici nei media e nei luoghi della cultura: la Chiesa è visibile, diceva l'articolo, i cattolici un po' meno. Gliene dobbiamo dare atto, non credendo che tutto dipenda da chi detiene l'accesso ai media. Eppure, nello stesso tempo, si avverte acutamente la mancanza (poche sono le eccezioni) di chi spieghi che, per esempio, certe "novità etiche" prima che moralmente discutibili sono scientificamente pericolose, o che si può curare con la stessa passione l'embrione, il disabile e il banchiere. È più facile invece che in materia si esprima un ecologista o qualche onesta femminista, o non credenti... E questo fa pensare, anche perché non mi sembra di vedere alcun embargo agli scienziati cattolici sui media. Tuttavia viene relativamente facile affrontare questi temi solo dal punto di vista "morale" o "tecnico" (ciò che dà il fatto per accettato) e autocensurarsi sugli aspetti scientifici scomodi che essi sollevano. Una sorta di implosione sembra talora dividere, in chi crede, i piani della vita, venendo questa relagata spesso ai due poli estremi: un'accettazione "alta" (sulla base di certezze scientifiche) e un'adesione intima (nella pratica religiosa privata). In mezzo, nelle scelte quotidiane, regna apparentemente il relativismo etico assurto a teoria: viene considerata "un servizio tra i tanti" la diagnosi selettiva preimpianto e la fecondazione in vitro; si confinano nel limbo di un velleitario romanticismo le cure palliative; talora si considera normale quando non routinario l'aborto. È il relativismo contro cui Papa Benedetto, dopo i suoi predecessori, alza la voce e dal quale non può nascere una proposta culturale vivamente alternativa, né tantomeno una nuova presenza pubblica. Ma se non c'è un'intellettualità pubblica che affermi un certo valore, cresce la fame che chiede di essere saziata. E questa fame inizia a trovare, qua e là in Italia, chi tenta una risposta: è un pusillus grex, cresciuto in special modo con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che ha intessuto una pragmatica elaborazione bioetica a partire dalla concreta condivisione della sofferenza vissuta da molti al fianco dei malati. Sono medici e studiosi credenti che spaziano dalle cure palliative alla Ru 486, dallo stato vegetativo alla cura del feto. E lanciano la sfida di domandarsi, prima ancora del giudizio morale, se certe "novità" sono davvero un vantaggio per la salute... Purtroppo è una sfida che nessuno in campo laico vuole raccogliere: è più semplice attenersi alle "considerazioni" generali e teoriche. Tuttavia - come abbiamo potuto toccare con mano a Bologna, in un recente congresso sulla sospensione delle cure neonatali - questo atteggiamento rigoroso e per nulla disfattista è in grado di richiamare il consenso di un gran numero di specialisti, cioè di chi se ne intende. Quella di Galli della Loggia, dunque, è una sfida cui forse non rispondono le persone che ci si aspetterebbe ma che in realtà sono molti ad accettare. Vaclav Havel scriveva: «Ci si domanda se il futuro luminoso è sempre davvero soltanto questione di un lontano "là": Non è, invece, qualcosa che è già qui da un pezzo, e che solo la nostra miopia ci impedisce di vedere e sviluppare intorno a noi?».




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