di Massimo Introvigne
Benedetto XVI è il Papa che a Ratisbona (e non solo) ha sottolineato il ruolo essenziale della ragione e della conoscenza, invitando anche le altre religioni - a partire dall'islam - ad aprirsi a quelli che ha definito gli aspetti positivi dell'illuminismo: un termine che per Papa Ratzinger non si riduce al solo illuminismo francese, laicista e anticlericale, ma abbraccia anche le sue versioni anglosassoni, assai più attente a conciliare scienza e fede.
Ci si potrebbe dunque attendere da Benedetto XVI anche una rivendicazione positiva del ruolo dei media moderni, nei cui confronti la Chiesa è stata a lungo diffidente fino a un tentativo di comprenderli ed evangelizzarli che ha le sue radici nel magistero di Paolo VI ma fiorisce in particolare con Giovanni Paolo II: per esempio, la Santa Sede ha oggi un vastissimo sito Internet. Potrebbe quindi sembrare sorprendente la denuncia nell'omelia per l'Epifania dei rischi connessi alla «immensa espansione dei mass media» che «se da una parte moltiplicano definitivamente le informazioni, dall'altra sembrano indebolire le nostre capacità di una sintesi critica».
Il Papa, tuttavia, non è certamente contro la diffusione dell'informazione e della conoscenza. Il suo discorso entra nel vivo di due dibattiti in corso da diversi anni. Da una parte, la Chiesa lamenta la scarsa attenzione e spesso la distorsione dei suoi interventi: si trattava di un problema su cui la Congregazione per la dottrina della fede, di cui Ratzinger prima di diventare Papa è stato a lungo prefetto, ha richiamato l'attenzione ancora di recente. Negli interventi del Pontefice molti media vanno spesso a cercare quanto può colpire e fare notizia, trascurando la loro architettura di fondo che tanto è cara al Papa teologo. Un esempio da manuale è proprio il discorso di Ratisbona, che - a partire dai primi resoconti televisivi - è stato trasformato rapidamente in un discorso «sull'islam» o «contro l'islam», mentre la pur importantissima parte dedicata alle radici di un accostamento inadeguato al problema della violenza nella teologia che è prevalsa tra i musulmani occupa un decimo del discorso.
Gli altri nove decimi. dedicati a un'ambiziosa ricostruzione delle tappe storiche della crisi dell'Occidente, sono stati quasi sistematicamente ignorati.
In secondo luogo, le parole del Papa fanno eco a un dibattito su Internet aperto da anni dal suo massimo sociologo, Tim Jordan, per il quale il Web non è solo una ricchezza per la conoscenza: «Trasmette talmente tante informazioni, scriveva nel 1999, che la nostra capacità di assorbirle si deteriora, e l'importante non può più essere distinto dall'irrilevante». A questo fenomeno che Jordan chiama «information overload» cercano di porre riparo i motori di ricerca, sempre più potenti e più integrati nei sistemi (in questo senso si muove il nuovo sistema operativo Vista della Microsoft): ma questo, secondo il sociologo, può causare una «spirale del tecnopotere» perché i motori di ricerca non fanno altro che aumentare ulteriormente il numero d'informazioni che si propongono di controllare. Capita così che autentiche bufale, come quella secondo cui l'11 settembre è frutto di un complotto della Cia e del Mossad, raggiungano un numero impensabile di persone grazie al milione di siti Internet che le propagano, e all'incapacità di molti utenti di distinguere i siti seri da quelli gestiti da paranoici. È il grande problema dell'informazione del XXI secolo: e il Papa ha più di qualche ragione di preoccuparsi.
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