mercoledì 31 gennaio 2007

"NON SERVE UNA LEGGE SUI PACS"

di Andrea Tornielli –
Il Giornale mercoledì 31 gennaio 2007
da Roma


I Vescovi :
«Una legge sulle unioni di fatto è superflua». Mentre si accende ulteriormente il dibattito sui Pacs e il governo discute per varare una normativa che sia digeribile dalle varie anime della maggioranza, si alza ancora una volta la voce dei vescovi. Ieri mattina, a conclusione dei lavori del consiglio permanente della Cei, il segretario Giuseppe Betori ha illustrato nel corso di una conferenza stampa il comunicato finale e ha risposto alle domande dei giornalisti.
Betori ha detto esplicitamente che la legge per il riconoscimento delle coppie di fatto «è superflua»: «È sufficiente il Codice, non occorre creare una nuova istituzione giuridica». Parole che riprendono sinteticamente un concetto più volte espresso dal presidente dei vescovi, il cardinale Camillo Ruini, che la settimana scorsa, aprendo i lavori del consiglio permanente, aveva detto: «La legislazione e la giurisprudenza attuali già assicurano la protezione di non pochi diritti delle persone dei conviventi, e pienamente dei diritti dei figli. Per ulteriori aspetti che potessero aver bisogno di una protezione giuridica esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni, e a eventuali lacune o difficoltà si potrebbe porre rimedio attraverso modifiche del codice civile, rimanendo comunque nell’ambito dei diritti e dei doveri della persona».
Nel corso della conferenza stampa, Betori ha espresso apprezzamento per le parole dette lunedì dal presidente della Repubblica: «L’appello di Napolitano a trovare una sintesi con la Chiesa ci fa piacere - ha affermato il segretario della Cei - perché non parla né di compromesso né di mediazione, ma di sintesi, e questo significa rispetto dell’identità di ciascuno. La Chiesa non può venir meno ai suoi ideali. Una sintesi non significa rinunciare ai principi di ognuno, ma significa arrivare a un livello più alto e trovare un incontro in cui ciascuno non rinunci ai propri principi».
Nel comunicato finale presentato da Betori, i vescovi, «di fronte alle accuse di indebita ingerenza nell’attività legislativa», anche per ciò che concerne i Pacs, ricordano che la Chiesa «non può rimanere indifferente e silenziosa ma ha il dovere di proclamare la verità sull’uomo e sul suo destino». Per questo la Cei riafferma che «alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso non possono essere equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali riconoscimento legale». Inoltre, i vescovi chiedono «ai responsabili della cosa pubblica un maggiore sostegno alla famiglia legittima fondata sul matrimonio, in accordo con il dettato costituzionale, attraverso la rimozione degli ostacoli di ordine pratico, giuridico e fiscale che allontanano i giovani dal matrimonio e dalla generazione di figli».
«Non vi è quindi motivo - scrivono i vescovi nel comunicato, riprendendo le parole del cardinale Ruini - di creare un modello legislativamente precostituito, che inevitabilmente configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri: sarebbe questa la strada sicura per rendere più difficile la formazione di famiglie autentiche, con gravissimo danno delle persone, a cominciare dai figli, e della società italiana». Rimane poi «alta la preoccupazione pastorale» dei vescovi «per lo sfondo culturale in cui viene condotto tale dibattito: molti giovani di oggi avvertono una grande difficoltà nel compiere scelte definitive e, soprattutto, sperimentano una crescente perdita di orientamento e una radicale insicurezza circa il futuro, a cui si aggiunge, in riferimento al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, la perdita di ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana».
Betori ha aggiunto che durante la discussione nel consiglio permanente «non si è parlato di un eventuale referendum» da promuovere nel caso di approvazione di una legge sui Pacs: «Se la legge non ci soddisferà, non sappiamo ancora quale sarà l’atteggiamento dei cattolici al riguardo». Nel comunicato finale si parla con preoccupazione del divario sempre più ampio tra il Mezzogiorno e il resto della nazione e delle «persistenti difficoltà economiche di molte famiglie, nonostante l’introduzione di alcune agevolazioni fiscali per i nuclei familiari numerosi e a basso reddito».
La Chiesa al bivio delle unioni civili
Il Giornale mercoledì 31 gennaio 2007

di Redazione – Sulla questione dei Pacs il Presidente Napolitano ha interpretato l'unica parte compatibile con la sua storia e cultura, quella di Togliatti dell'art. 7: «Trovare una sintesi nel dialogo anche con la Chiesa cattolica, tenendo conto delle preoccupazioni espresse dal Pontefice e dalle alte gerarchie ecclesiastiche». In sostanza, il Presidente chiede un Concordato di tipo speciale, cioè di fatto e non formale, e su un punto specifico, cioè su una sola questione e non su tutti i temi etici sensibili. Che sia proprio questo Concordato speciale ciò che ha in mente il Presidente è chiaro: perché è solo un accordo concordatario quello che si può stipulare con un Papa e le gerarchie cattoliche («alte»).
Ora a giocare la propria parte spetta alla Chiesa. La via suggerita dal Presidente può essere attraente perché presenta più di un vantaggio: il Concordato è una strada nota e battuta, dal tempo di Mussolini a quello di Craxi; fissa limiti invalicabili; indica un punto preciso di accordo; può essere invocato se l'interlocutore in séguito questo punto lo disattende. Ma un Concordato, anche se non ufficiale e solo di fatto e ben circoscritto, ha uno svantaggio non indifferente per la Chiesa: mentre abbassa lo Stato da ordinamento pienamente sovrano a semplice ordine che si compone con un altro, trasforma la Chiesa proprio in un ordine, cioè in una istituzione temporale, in un potere politico che tratta e contratta. Di questo ordine temporale, i credenti potrebbero sentirsi più cittadini che fedeli, più soggetti che attori.
È questa la strada che prenderà la Chiesa? Aderirà alla prospettiva dell'accordo, che la garantisce ma potrebbe turbare molte genuine coscienze cattoliche, come già più volte accadde in passato, non tanto per la qualità dell'accordo, ma per il sol fatto dell'accordo? E se non aderirà, quale altra strada ha la Chiesa per far sentire la propria voce?
Vale forse qui ricordare che cosa sta accadendo da qualche tempo al sentimento religioso di tanta gente, in Italia e in Europa. Un Papa, Giovanni Paolo II, aveva sollevato tanti cuori attorno ad un rinnovamento della fede cristiana. Non si era tanto o soltanto rivolto ai governi e ai parlamenti quanto e bensì alle coscienze degli individui, affinché evitassero quella perniciosa «alleanza fra relativismo e democrazia» che oggi ci conduce proprio ai Pacs. Un altro Papa, il suo successore Benedetto XVI, fin da cardinale si è esplicitamente indirizzato a quelle «minoranze creative» di credenti e soprattutto non credenti, affinché vivano «velut si Deus daretur», e perciò informino dei valori della religione e della cultura cristiana la loro vita personale, la società civile e, come conseguenza, ma solo come conseguenza ed effetto, la sfera politica.
Questa è la strada della missione e della evangelizzazione. Chiaramente è diversa dalla strada della compromissione concordataria, perché più difficile, più lunga e con minori garanzie di successo almeno nell'immediato. Ma, altrettanto chiaramente, può anche essere più promettente di risultati stabili, perché a penetrare nelle coscienze si va più a fondo che a scrivere sulla carta.
Un vento religioso è tornato a spifferare in Europa e la sta chiamando alla propria storia e identità. È un vento di anime prima smarrite, attonite e intimorite da tanto laicismo violento e irresponsabile e ora invece più consapevoli di sé e più desiderose di un'affermazione di sé. Ed è un vento che già investe gli Stati, perché, trascinando le coscienze, trascina anche la politica e le istituzioni. Un successo questo risveglio cristiano l'ha già ottenuto, ma per la Chiesa cattolica il bivio tra la via concordataria e la via missionaria adesso è difficile.



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