giovedì 4 gennaio 2007

SOLITUDINE PIU' DOLORE:E SAREBBE ABORTO PULITO

Intervista al neonatologo Carlo Valerio Bellieni (29 giugno 2006)
Solitudine più dolore: e sarebbe aborto «pulito»
di Daniela Pozzoli

Chi come medico si occupa del dolore che un minuscolo bambino del peso di 4-500 grammi prova nel venire al mondo non può non prendersi a cuore anche il dolore delle madri che scelgono di abortire ricorrendo a una semplice pillola, la Ru 486. Per Carlo Valerio Bellieni, neonatologo che ha «inventato» la scala del dolore nel neonato, è una menzogna sostenere che la Ru 486 sia tutto sommato un aborto facile, che non lascia strascichi nella psiche delle donne. Ne lascia eccome...



...per farsi un’idea di quanto poco sia gradito alle donne basta pensare che – sostiene Bellieni – il British Journal of Obstetrics and Gynecology già nel 1998 «mostrava che solo il 53% delle donne che hanno abortito col metodo chimico ripeterebbe l’esperienza, contro il 77% di quelle che hanno abortito col metodo chirurgico». Le donne che hanno abortito in modo chimico, poi, «non risultano riportare meno ansia e depressione – riprende Bellieni – di quelle che lo fanno chirurgicamente. Vari lavori scientifici mostrano che le donne che eseguono l’aborto per via chimica provano maggior dolore e sanguinamento.

Come spiega allora la forte pressione di molti medici ospedalieri perché venga adottata la pillola abortiva?
«Credo che la risposta sia nella parola "paura": attanaglia tutti, medici e genitori. La gravidanza viene ipermedicalizzata per la paura del "diverso", fino ad esaminare i tratti più nascosti del figlio che si accetta solo se "perfetto". Poi c’è la paura della realtà, del chiamare le cose col loro nome. Se il figlio non si accetta all’inizio, sembra più facile lasciare la donna sola ad abortire trattandola come se dovesse espellere un calcolo: pensare che è un figlio farebbe impazzire».

Spesso si parla di aborto chimico come sinonimo di pratica "dolce". Vengono tirati in ballo i minori traumi per una pratica che in realtà può durare anche ben più di tre giorni...«Non mi sembra davvero tanto "dolce" questa modalità di aborto che provoca l’espulsione di materiale, compreso l’embrione, con una sorta di mestruazione artificiale. No, non lascia le donne indifferenti».

Cosa sostiene la letteratura medico-scientifica in fatto di aborto volontario e aborto spontaneo? Può citare qualche dato?«Uno studio del 2005 mostra che le donne che abortiscono volontariamente subiscono maggiori riflessi psicologici sul lungo periodo rispetto agli aborti spontanei. Recentemente il British Medical Journal mostrava che in caso di una gravidanza non voluta la depressione della donna non è maggiore se fa nascere il figlio piuttosto che se sceglie di abortire. Sempre sulla stessa autorevole rivista troviamo scritto che si è voluto far credere alle donne che sono deboli, e che non sono in grado di sopportare la fatica di un figlio non voluto. Lavori degli ultimi mesi sfatano anche questo mito, offensivo per ogni donna».

Nell’ultimo rapporto Eurispes si dice che gli italiani sarebbero favorevoli nel 72 per cento dei casi all’aborto in presenza di gravi anomalie e malformazioni nel feto, Cosa ne pensa?«Che il sondaggio è stato letto solo parzialmente. Emerge invece che sono favorevoli all’aborto per cause economiche solo il 20% degli italiani. Mi pare sia un’inversione di tendenza epocale».

Aborto ed eugenetica: com’è cambiato lo sguardo sulla disabilità?
«Di recente 50 centri di bioetica inglese si sono pronunciati contro lo screening per l’aborto selettivo dei feti Down, e questo mostra come la deriva eugenetica del secolo scorso sia al lumicino. Ma lo stesso studio dimostra che quando si chiede se si è d’accordo sull’esame in vista dell’aborto selettivo di feti Down la percentuale di chi è d’accordo è maggiore rispetto a quella che si ha se si parla di "feti con ritardo mentale, cardiopatia nel 10% e morte più precoce di 10 anni", che in definitiva è la stessa cosa: il pregiudizio verso la sindrome Down è duro a morire».
Lei lavora in un reparto di terapia intensiva neonatale: come aiuta le coppie ad affrontare la disabilità o la malattia del loro bambino?
«Il nostro compito è di non limitarci a fornire ai genitori una diagnosi o una tabella di numeri di "rischio", come nel caso della diagnosi prenatale. C’è la responsabilità di accompagnare la famiglia nella strada faticosa della malattia del figlio, ma anche di imparare insieme a non considerare il figlio una proprietà o un prodotto».

Nel caso di una nascita eccessivamente precoce, qual è il limite oltre il quale si può parlare di "accanimento terapeutico"? È necessario definire una regolamentazione?
«Accanimento terapeutico è quello che si compie su un paziente che è irreversibilmente condannato a morire. Nel caso di possibile disabilità anche grave, o di rischio (ma non certezza) di morte, come accade nei nati di età gestazionali basse, il nostro compito è di curare il paziente. E su questo c’è un largo consenso».

C’è chi sostiene che andrebbe aggiornata la legge 194 là dove indica il limite massimo entro il quale è lecito abortire, fissato oltre trent’anni fa sulla base delle conoscenze cliniche di allora, mentre oggi sembra possibile tenere in vita bambini nati anche molto prematuri. Lei cosa ne pensa?«In realtà la 194 (articolo 7) dice che non è lecito l’aborto oltre un limite di tempo in cui è possibile la sopravvivenza fuori dall’utero materno, tranne in caso di pericolo per la vita – non per la salute – della donna. Nel 1978, l’anno della legge, sopravvivevano solo feti di età molto maggiore rispetto a oggi. Attualmente è possibile la sopravvivenza di feti piccolissimi che nascono a 23-24 settimane e pesano pochi etti. Credo dunque che la 194 vada applicata tenendo conto anche di tutte le conquiste avvenute in questi anni».



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