giovedì 11 gennaio 2007

GIU' IL CAPPELLO DALLA CHIESA POLACCA

E’ stata perseguitata dal nazismo e dal comunismo. E’ stato il fattore unificante del popolo, anche dei non credenti. Ha dato al Novecento due giganti come Wyszynski e Wojtyla. Parla Luigi Geninazzi
Maurizio Crippa


Giù il cappello davanti alla chiesa polacca

Il Foglio 10.1.2007

E’ stata perseguitata dal nazismo e dal comunismo. E’ stato il fattore unificante del popolo, anche dei non credenti. Ha dato al Novecento due giganti come Wyszynski e Wojtyla. Parla Luigi Geninazzi
Maurizio Crippa
Milano. “Come non ringraziare oggi Dio per quanto si è realizzato nella vostra patria e nel mondo intero durante il pontificato di Giovanni Paolo II? Davanti ai nostri occhi sono avvenuti cambiamenti di interi sistemi politici, economici e sociali. La gente in diversi paesi ha riacquistato la libertà e il senso della dignità”. Disse così – e non avrebbe potuto essere più esplicito – Benedetto XVI durante la sua visita in Polonia, il 26 maggio 2006, nell’omelia della messa celebrata sulla piazza Pilsudski di Varsavia.
A raccontare l’evento, un’altra volta ancora, c’era anche Luigi Geninazzi, giornalista di Avvenire che da quasi trent’anni segue le vicende politiche e religiose della Polonia, che per molti aspetti è come dire un tutt’uno. Un tutt’uno che nel 1979 fece dire a Giovanni Paolo II, in quella stessa piazza: “Discenda il tuo Spirito e rinnovi la faccia della terra”. E aggiunse: “Di questa terra!”.
Geninazzi conosce e ama la Polonia da allora; negli anni caldi di Solidarnosc, dello scontro tra la società e la dittatura comunista, è stato corrispondente da Varsavia per il quotidiano dei vescovi italiani. Ciò che rimarrà nella storia, e non solo in quella del Novecento, sarà la storia di questa chiesa polacca, la chiesa che ha resistito al nazismo prima e al comunismo poi, e non certo “le meschinità e il risentimento che animano il presente”. Ne è convinto, Luigi Geninazzi. Lo ha scritto ieri in un bell’editoriale sulla prima pagina di Avvenire, lo ripete oggi al Foglio: “La grandezza della chiesa polacca, ciò di cui è doveroso e necessario conservare la memoria, e io mi auguro che così sia, è questa sua storia gloriosa.
Sì, se vuoi lo si può anche chiamare ‘eccezionalismo’ polacco, non so se è il termine migliore. Ma di certo è ciò che colpì il mondo – la chiesa intera e anche tutto il mondo – soprattutto in quegli anni 70 e poi negli anni 80: la sua forza, la sua libertà, la sua capacità di essere tutt’uno col popolo, con la nazione, di esserne la voce. Per meglio dire, colpì per due aspetti congiunti: perché era una chiesa viva, popolare, di fronte alla grande secolarizzazione delle società occidentali, ma anche di quelle del blocco comunista, basti pensare all’Ungheria o alla Cecoslovacchia. Inoltre colpì per la sua identità forte, in cui tutta una nazione si riconosceva. Ricordo ancora la prima volta che arrivai a Danzica, ai cantieri, nell’agosto del 1980. L’impressione che ricevetti vedendo migliaia di operai, tute blu, che cantavano l’inno nazionale e pregavano senza soluzione di continuità. Da noi era letteralmente inimmaginabile”.
Da dove nasceva, secondo lei, questa capacità unica, non riscontrabile altrove, del cattolicesimo polacco?
“Nasceva dal cardinale Wyszynski, il padre della chiesa polacca. Lui ebbe la grande intuizione di legare tradizione cattolica e identità nazionale, ed è da questa unità che nacque quella grande forza etica, quell’orgoglio nazionale che ha saputo resistere al comunismo, tenergli testa. Di quegli anni ricordo la consapevolezza diffusa che la chiesa era il bastione della nazione”.
“Ricordo la grande quantità di persone che frequentavano la chiesa pur non essendo credenti, semplicemente perché sapevano che lì, nelle prediche di preti coraggiosi, era l’unico posto in cui si poteva sentire la verità, invece delle menzogne ufficiali. C’era un modo di definirli, era accettato e diffuso e mi ha sempre colpito: ‘praticanti non credenti’. Me li ricordo, frequentavano la chiesa di san Martino a Varsavia. Proprio lì, in quella chiesa, nel 1977, avevano organizzato il primo sciopero della fame: e non per dei cattolici, ma per difendere dei non credenti che erano stati arrestati”.
Questo il patrimonio che la chiesa di Polonia ha consegnato al mondo. Prezioso, sottolinea Geninazzi. Una eccezionalità che, a un certo punto, iniziò a stupire il mondo con il travolgente inizio del pontificato di Karol Wojtyla. Ma è una storia che parte da più lontano. Dai secoli in cui la chiesa ha rappresentato l’elemento di unità di “questa nazione che ha sempre avuto molta storia ma con poca geografia”.
Geninazzi ricorda il diario di un alto ufficiale nazista, durante l’occupazione: l’unica luce che resta accesa nel sud della Polonia è quella della Montagna di Luce, diceva. Jasna Góra, la Montagna di Luce, il santuario della Madonna Nera di Czestochowa. E diventa ancor più evidente nel secondo dopoguerra.
Quando, il 22 ottobre 1948, Stefan Wyszynski diventa cardinale primate di una Polonia in cui, come ovunque, il regime comunista ha fatto carta straccia del Concordato del 1925 e sta provando a fare piazza pulita della chiesa. Negli anni più duri dello stalinismo, lo stesso cardinale sperimenterà sulla sua pelle la persecuzione e la reclusione.
La storia della Polonia è però anche storia di una eccezionalità politica. E’ l’unico paese dell’est dove il regime percepisce subito che non sarà possibile rescindere il legame profondo tra popolo, patria e chiesa. Non sarà facile “secolarizzare” la Polonia: “Qui il regime è stato rispettoso. Perché temeva, ha sempre temuto, la chiesa”. Poi, dopo il 1956, le “riforme” di Gomulka trovano la chiesa pronta a entrare a pieno titolo nelle vicende del paese. Tanto che, ha scritto lo storico Giovanni Barberini, “la chiesa polacca, a differenza di quanto avvenuto negli altri stati socialisti, non aveva avuto bisogno del sostegno della Santa Sede per essere attiva, ma aveva saputo contrastare da sola e anche con successo il regime comunista”.
Anche troppo da sola, se – come ricorda lo storico – quando il cardinale Wyszynski siglò nel 1956 un nuovo accordo “di compromesso” tra la chiesa e il governo, e ottenne il permesso l’anno successivo di venire a Roma, Pio XII gli fece fare tre giorni di anticamera, tanta era l’irritazione del Vaticano per quel che appariva un “cedimento”, il primo, a un regime comunista. Invece, altra caratteristica della chiesa polacca, Wyszynski era un realista, un buon diplomatico, “anzi un moderato, se lo confrontiamo al cardinale di Cracovia Karol Wojtyla, che era molto più intransigente col regime”, riprende Geninazzi: “Wyszynski è anche il primate che nel 1980 invita gli operai a tornare al lavoro”. Ma quel “compromesso” del 1956 è quello che consente alla chiesa di riprendere l’insegnamento religioso, di avere accesso alla stampa, di poter animare circoli culturali. Insomma di esistere, contrapposta al regime e per il bene di tutta la nazione.
“In quegli anni, seppure per poco, in Parlamento siederanno anche cinque deputati cattolici, uomini di Wyszynski”.
L’elezione di Giovanni Paolo II
Poi con l’elezione di Giovanni Paolo II nel 1978, con il grande viaggio in patria del 1979 che inizia a sgretolare il regime, il vento polacco ha investito lo scorcio del “secolo breve” con una forza di novità imparagonabile, che faceva gemere le giunture non solo del comunismo ma anche della rappresentazione secolarizzata che l’occidente dava di se stesso. E faceva gemere vaticanisti intelligenti come Ugo D’Ascia per l’incomprensibile “polacchitudine” wojtyliana. “Nella Polonia di oggi quella compattezza tra chiesa e popolo non avrebbe più senso – commenta Geninazzi – ma ne va ricordata la grandezza, fondata su personalità come Wyszynski, Wojtyla, di martiri come padre Popieluszko, sulla forza di tanti sacerdoti. Una grandezza che non può essere certo inficiata dai fatti di oggi. Spie ce n’erano, certo, e ne erano consapevoli i polacchi. Capitava così che un amico mi dicesse: non andare a intervistare quello là, è uno che collabora con il regime. Ma anche i numeri di questi cattolici o religiosi ‘collaborazionisti’ sono in realtà modesti. Ciò di cui invece bisogna avere memoria è quello che la chiesa polacca ha testimoniato a tutte le altre chiese, e al mondo”. Quando incontrò i sacerdoti polacchi a Czestochowa il 6 giugno 1979, per la prima volta da Papa, Giovanni Paolo II disse loro: “E’ un grande bene questo credito di fiducia che il sacerdote polacco ha nella società quando è fedele alla missione e il suo atteggiamento è limpido e conforme con questo stile, che la chiesa in Polonia ha elaborato nel corso degli ultimi decenni: lo stile cioè della testimonianza evangelica del servizio soci

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