venerdì 11 gennaio 2008

ABORTO DIFENDERE I PRINCIPI VIGILARE SUI FATTI


Aborto: difendere i princìpi, vigilare sui fatti

Il dibattito mediatico e politico divampato attorno al modo con cui è applicata la 194 non deve far perdere di vista le minacce incombenti sul diritto alla vita: come l'introduzione della pillola abortivadi Eugenia Roccella

Tratto da Avvenire del 10 gennaio 2008



Negli ultimi tempi il dibattito sull'aborto è tornato ad affacciarsi con evidenza sui mezzi di comunicazione. La novità riguarda radio, televisione e grandi quotidiani, di solito assai distratti sulla questione, perché su Avvenire, invece, l'attenzione è sempre rimasta vigile e il tema non ha mai lasciato le prime pagine. Dal marzo scorso, dopo lo sconvolgente caso avvenuto all'ospedale Careggi di Firenze -la morte di un bimbo abortito alla 23° settimana e nato vivo -abbiamo sollevato con forza la questione del limite da porre alle interruzioni di gravidanza oltre i 90 giorni, e la necessità di regole applicative per la legge 194. Da oltre due anni conduciamo una campagna solitaria e tenace contro la pillola abortiva Ru486, e denunciamo i motivi politici per cui la si vuole introdurre in Italia. Da sempre, poi, seguiamo l'attività dei Centri di aiuto alla vita, e l'appello per dare una mano al Cav della Mangiagalli di Milano non solo ha convinto l'amico Giuliano Ferrara a un digiuno di solidarietà ma è stato immediatamente raccolto dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano. Insomma, abbiamo monitorato con puntualità (in particolare su questo inserto) la situazione concreta dell'interruzione di gravidanza in Italia, perché sappiamo che la difesa dei princìpi si intreccia in modo indissolubile con quello che accade nei fatti. Ed è sul terreno dei fatti che oggi corriamo i maggiori rischi.

Un esempio: mentre si discute con rinnovato calore di aborto e legge 194, l'introduzione della pillola abortiva Ru486 può vanificare da un momento all'altro qualsiasi sforzo di miglioramento della legge, chiudendo il dibattito o rendendolo inefficace e astratto.


L'aborto con la pillola è un aborto a domicilio, un metodo 'fai-da-te'. Non è un aborto facile per la donna (è lungo, doloroso e con un tasso di mortalità 10 volte più alto), ma è facile per i medici, che si liberano dal peso degli interventi, e per la società, che può tranquillamente ignorarlo.

Introdurre la Ru486 vuol dire rendere impraticabile la prevenzione, e soprattutto significa modificare la legge attuale in modo strisciante e silenzioso, senza passare dal Parlamento. È per questo che alcuni amministratori locali hanno autorizzato, con protocolli improvvisati, l'uso illegale della pillola abortiva, sostituendosi arbitrariamente alle autorità competenti.

Solo da un mese, infatti, la ditta francese che produce la Ru486 ha sottoposto il farmaco all'esame dell'Aifa, l'ente italiano di farmacovigilanza. Il ministro della Sanità Livia Turco ha appena bacchettato il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, perché con la sua proposta di linee di indirizzo regionali per la 194 rischierebbe di creare una situazione di disomogeneità nell'applicazione della legge. Però non ha mai fatto altrettanto con Enrico Rossi, l'assessore alla Sanità che ha promosso attivamente l'uso illegale della Ru486 nella Regione Toscana.


Martedì il ministro Turco ha sottoposto al Consiglio Superiore di Sanità tre quesiti fondamentali, che riguardano la pillola abortiva e le sue modalità di impiego, il limite agli aborti tardivi determinato dalla «possibilità di vita autonoma del feto» e l'assistenza ai grandi prematuri. L'iniziativa è giusta, il parere degli esperti è fondamentale; non è, però, conclusivo. Sarebbe importante, come ha fatto notare il presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica Francesco D'Agostino, chiedere anche l'opinione dello stesso Cnb, visto che sono in gioco delicate questioni etiche.

Ma soprattutto è importante che il ministro si assuma la responsabilità di una decisione autonoma, perché è al Governo e al Parlamento che competono decisioni simili. Il Consiglio Superiore di Sanità ha già emesso due pareri con cui ha stabilito che il metodo chimico e quello chirurgico hanno lo stesso grado di pericolosità solo se l'aborto viene completato in ospedale. Oggi, dopo la morte di 16 donne in tutto il mondo (parliamo solo di quei casi che con fatica sono emersi dalla coltre di silenzio che li nasconde) la cautela dovrebbe essere maggiore.

Anche per gli altri quesiti vale lo stesso discorso: consultare medici e bioeticisti è essenziale, ma la responsabilità finale è della politica. Le scelte di fondo restano appannaggio del ministro, che sa quale organizzazione sanitaria vuole costruire e verso quale modello sociale vuole tendere, ovviamente nel rispetto delle leggi. Infatti non tutti i Paesi in cui la Ru486 è consentita l'hanno effettivamente adottata: dell'Australia parliamo in un articolo a parte (a pagina 3 di «è vita») ma -per restare in Europa -Germania e Olanda hanno sostanzialmente scoraggiato il metodo chimico. La legge 194 è chiara: l'aborto (cioè l'espulsione dell'embrione) deve avvenire nelle strutture pubbliche.

Sull'interpretazione di questa norma si giocherà il futuro dell'interruzione di gravidanza nel nostro Paese, nel caso che l'Aifa autorizzi la commercializzazione della Ru486.

Al ministro, dunque, la sua responsabilità, a noi la nostra: l'impegno a vigilare e a indicare sbocchi concreti per il dibattito sull'aborto, perché alla fine tutto non si risolva in una effimera bolla di sapone.




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