mercoledì 13 giugno 2007

UN FOTOGRAMMA DI TROPPO TURBA IL GIORNALISTA COLLETTIVO' E IL FILM CONTRO L'ABORTO INQUADRA LA VITTIMA




Colpo basso a Cannes
Tratto da IL FOGLIO del 29 maggio 2007
E’ la storia di un aborto, in qualunque posto ci si trovi. Le lenzuola pulite, il medico premuroso, l’autodeterminazione, la scelta sofferta ma libera, tolgono di mezzo i rischi e un pezzo di macigno, ma non cambiano l’inquadratura davanti alla quale bisogna girarsi, tutti, e scrivere, come il critico Paolo Mereghetti sul Corriere di ieri, “colpo basso un po’ a effetto”: il colpo che capovolge ogni cosa, ogni intellettuale simbologia e mostra scandalosamente, semplicemente, dov’è l’orrore e chi è la vittima, sempre.


Quattro mesi, tre settimane e due giorni prima di finire in un fagotto accanto al letto di una stanza d’albergo, quattro mesi tre settimane e due giorni per mostrarsi al mondo in un’inquadratura che ha fatto voltare la testa ai giornalisti e alle attrici in sala. Chiudere gli occhi e per un istante non pensare al cinema etico di denuncia (l’insostenibile regime di Ceausescu, la cupezza e le occhiaie e gli squallidi arredi), ma vedere invece quel che c’è, cioè il fagotto con la faccia di un bambino, di cui ora la studentessa deve disfarsi.

E le raccomandazioni raccapriccianti: non buttarlo nel water perché lo intasi, non buttarlo nella spazzatura perché lo troverebbero i cani, vai invece in uno di quei palazzi alti trenta piani, sali fino in cima e fallo precipitare dalla tromba del pattume, così all’arrivo a terra non sarà rimasto più niente e nessuno ti sbatterà in galera. Adesso paga, sdraiati sul letto, apri le gambe e dormi. Il regista rumeno, premiato a Cannes con la Palma d’oro, ha dedicato il film alle cinquecentomila donne morte di aborto clandestino in quegli anni comunisti, ma ha detto qualcosa in più, disorientando perfino il giornalista collettivo: “E’ soprattutto una storia di scelte personali, di responsabilità individuali”. E’ la storia di un aborto, in qualunque posto ci si trovi. Le lenzuola pulite, il medico premuroso, l’autodeterminazione, la scelta sofferta ma libera, tolgono di mezzo i rischi e un pezzo di macigno, ma non cambiano l’inquadratura davanti alla quale bisogna girarsi, tutti, e scrivere, come il critico Paolo Mereghetti sul Corriere di ieri, “colpo basso un po’ a effetto”: il colpo che capovolge ogni cosa, ogni intellettuale simbologia e mostra scandalosamente, semplicemente, dov’è l’orrore e chi è la vittima, sempre. Il regista rumeno ha detto che si tratta di una storia personale, per tanti anni se l’è tenuta dentro e non ne ha parlato con nessuno, poi il dolore è uscito e l’ha raccontato così, vincendo un premio e bucando la superficie della bella denuncia contro un brutto dittatore. “Avevamo vent’anni. Non abbiamo mai considerato l’aborto come un problema morale”. Era un atto di ribellione, una cosa da gettare dal trentesimo piano.

Quattro mesi, tre settimane e due giorni
E’ la storia di un aborto, in qualunque posto ci si trovi. Un bambino da buttare, qualunque sia il motivo per buttarlo. Non c’è altro, e l’inquadratura di Cristian Nemescu, di cui molto si parla per spiegare il realismo e la macchina da presa, è tutto. Dicono: uno non se l’aspetta, quella scena lì, perché l’amica bussa e lei non apre, magari è morta, è in un lago di sangue, magari l’hanno già arrestata, magari quell’abortista orrendo chissà cosa le ha fatto. Invece no, è andato tutto bene, lei dorme e non è successo niente. C’è solo un fagotto per terra: ha quattro mesi, tre settimane e due giorni.

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