giovedì 7 giugno 2007

IL VINCOLO DELL'UNITA'

Ho ripreso questo vecchio articolo perche'non essendo un articolo ma un intervento di don Giussani non puo' che essere sempre una novita'.
Una possibilita' per ciascuno di noi di cambiare.
"Lo stupore che puoi destare nell'altro e' l'unita'"
Non parla di opere ma tutto gira intorno all'unita'
"Solo la compagnia dei suoi discepoli Gesu' desiderava nell'orto dei Getsemani e non l'ebbe"
Noi ogni giorno ripetiamo questo tradimento.
Noi ogni giorno domandiamo questa compagnia !!!
Aiutiamoci pregando perche' solo attraverso la Grazia si possa diventare testimoni d'unita'.


''L'angelo del Signore portò l'annuncio a Maria''; l'angelo del Signore porta l'annuncio di Cristo alla nostra vita, altrimenti non l'avremmo conosciuto. ''Noi, che per l'annuncio dell' angelo abbiamo conosciuto l'incarnazione del Figlio tuo Gesù Cristo...''.

Chi è questo angelo? per l'annuncio di quale angelo io ho conosciuto l'incarnazione del Signore, ho saputo che Dio è diventato uomo? L'angelo, il messaggero, colui che porta il messaggio è tutta la tradizione della compagnia cristiana che si è coagulata, si è fatta sentire nella brevità della nostra compagnia.

.....spesso la nostra compagnia non dice «fiat», non dice «sia fatta la tua volontà». È il punto in cui la nostra libertà diventa mestizia, tristezza e uggia di sé e del proprio compito nel mondo; una noia mortale che fa addormentare, strappa dall'impegno e dalla responsabilità con le cose, per diventare - ad un certo punto, inevitabilmente - tradimento; come i discepoli che fuggirono.....


Nel Getsemani

II mistero della nostra compagnia ha come quadro l'agonia di Gesù nel Getsemani. Agonia è una parola che indica una sofferenza piena di lotta.
«Siete usciti dice Cristo a chi lo sta arrestando - come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato» (Mt 26, 55).
Perché, dunque, Cristo viene perseguitato? Lo dice Péguy ne Il mistero della carità di Giovanna d'Arco:

Cristo era stato tollerato - anche in ciò che non era secondo la mentalità comune - fino al giorno in cui era esploso lo scopo per cui viveva, «fino al giorno in cui aveva cominciato la sua missione» . Qual era questa missione? Salvare il mondo. Salvare significa rendere degno di essere vissuto.

La tenerezza di Dio

«Maria - ha detto Giovanni Paolo II - è la risposta di Dio all'uomo».
Maria, infatti è la risposta creata nella storia al fatto che la nostra natura è desiderio di felicità, che la nostra vita è desiderio di verità. Maria concepisce nel suo seno il mistero di Dio fatto carne, fatto uomo per vivere la vita di tutti gli uomini e per finire la vita come tutte le vite umane finiscono: con la morte. Incarnandosi in Maria Dio dice: «II tuo desiderio di felicità io lo realizzerò; il tuo desiderio di verità, di giustizia e di completezza si avvererà. lo mi faccio compagno a te perché questo avvenga».

II Signore, diventando uomo nel seno della Madonna, venendo nel mondo per salvare il mondo, sottolinea che l'originale rapporto del Mistero con la sua creatura - qualunque sia la condizione in cui la vita si deve svolgere - è tenerezza. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13); non c'è sacrificio più grande che dare la vita per l'opera di un altro; e l'altro, in questo caso, è ciascuno di noi come realizzazione del proprio destino.
La tenerezza di Dio porta con sé l'annuncio della positività di tutte le cose: «Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati» (Mt 10,30).


Riverbero

Tenerezza è il rapporto che il Mistero ha con la creatura cui dà origine.
Noi dobbiamo essere i messaggeri di tale tenerezza. E lo saremo nella misura in cui tale tenerezza si riverbera in noi, nella misura in cui ne diventiamo imitatori.
Cosa può compaginare una compagnia - come la nostra – che ha la pretesa di veicolare il grande messaggio di Dio divenuto uomo, se non il riverbero, l'imitazione della tenerezza con cui Dio ha creato il mondo per diventargli compagno?

In questo modo comprendiamo come Gesù, nell' estrema sua lotta (agonia) nel Getsemani, desiderò come cosa suprema la compagnia dei suoi. Solo questa compagnia desiderò; e non l'ebbe.

Drammaticità e libertà, tristezza e tradimento

II rapporto della tenerezza di Dio verso l'uomo è infatti drammatico perché deve attraversare la libertà dell'uomo. È la drammaticità che visse Maria quando disse «fiat»; la drammaticità che investì Cristo stesso col tremito della carne di fronte all'evidenza della vicina morte: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39).
È qui il punto: spesso la nostra compagnia non dice «fiat», non dice «sia fatta la tua volontà». È il punto in cui la nostra libertà diventa mestizia, tristezza e uggia di sé e del proprio compito nel mondo; una noia mortale che fa addormentare, strappa dall'impegno e dalla responsabilità con le cose, per diventare - ad un certo punto, inevitabilmente - tradimento; come i discepoli che fuggirono.
Il potere del mondo

Perché succede questo? Perché questa uggia del vivere, che ha una somiglianza estrema col tradimento finale, dove dominano la vanità,l'impressione,la reazione immediate e il parere istintivo invece che l'amore al vero? Non è da noi che nasce tutto questo. Diventa nostro - questo è vero -, ma non nasce da noi. Nasce da una malvagità, da una cattiveria, da un non amore alla nostra vita; nasce dal potere del mondo. Nasce dalla volontà che il potere mondano ha di usare la nostra vita invece di servirla, di adoperarci come discepoli silenziosi dei suoi progetti.
Per il mondo Cristo è un ingombro; l'uomo Cristo può anche essere onorato, ma il mondo vuole toglierne l'influsso, impedire che l'uomo lo guardi, se ne persuada, resti investito dalla sua tenerezza senza paragone, lo segua. Finché siamo come tutti gli altri - seguiamo le indicazioni del potere e diciamo «signorsì» - siamo lodati come cristiani «aperti», che non danno fastidio.

Ma quando accenniamo al messaggio preciso: «lo credo in Gesù Cristo, Dio incarnato, morto e risorto per salvare l'uomo», il mondo risponde: «L'uomo lo salva il potere stesso dell'uomo!». Non c'è menzogna più grande di questa!

Proprio in questo frangente la nostra compagnia si spezza e non è più ciò che è chiamata ad essere: segno presente di una bontà, di una potenza vera e totale che agisce per portare - attraverso tutte le apparenze, anche quelle «cattive» - alla vita. «lo sono la via la verità [la resurrezione] e la vita» (Gv 14,6); noi siamo in compagnia per gridare al mondo questo messaggio; questo è il nostro compito supremo.

Il primo nemico

Cristo, quindi, ha un primo nemico che si erge contro di lui: siamo noi;

il più vicino dei tradimenti è il nostro; «Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia...» (Sal 55,10-11).

La tenerezza di Dio tende a creare la nostra compagnia, un luogo dove gli estranei si accettino, si amino, sacrifichino le loro energie per degli sconosciuti. Questa compagnia, esempio al mondo intero e profezia del bene che ci aspetta alla fine, si sfalda: ognuno fugge per la strada della sua paura, che riveste di opinione intellettuale, di istintiva ripugnanza, di uno scettico «è impossibile».


Il vincolo dell'unità

La salvezza dalla nostra dispersione, la sicurezza di fronte all'incombenza del tradimento, la possibilità che la compagnia cammini nella storia - nonostante tutto quello che di avversario e nemico la circonda - portando il vessillo della positività e costruendo brandelli di umanità dove la resurrezione di Cristo cominci a determinare tempi e spazi, è la nostra unità.

Scriveva san Gregorio di Nissa: «Fra tutte le parole che Cristo dice e le grazie che concede una ce n'è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume. Ed è quella con cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nelle soluzioni delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un'anima sola e a stimare questa unione l'unico e solo bene; a stringersi nell'unità dello spirito con il vincolo della pace; a fare un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un 'unica vocazione, animati da una medesima speranza. II vincolo di questa unità è un' autentica gloria».

Cristo, prima di andare a morire, ha pregato così: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato: Gesù Cristo» (Gv 17, 1-3). Tale preghiera incomincia a generare una storia nuova, una vicinanza ed un amore tra gli uomini altrimenti ignoto.

«II vincolo di questa unità è un'autentica gloria»; la nostra compagnia è chiamata a rendere a Cristo questa autentica gloria. La nostra unità deve far dire a chi la guardasse con povertà di spirito: «Lì è il miracolo». Dunque n è il vero.

Domanda

Chiediamo alla Madonna che ci faccia «uno», che salvi la nostra unità dallo sperpero di essa cui il mondo ci invita in nome di nostre ragioni, sentimenti, reazioni ed istintività. Non esiste nessuna ragione e nessun sentimento più grandi della nostra unità.

Chiediamo alla Madonna che il miracolo della nostra unità entri nel mondo attraverso la nostra breve vita e si stabilisca sempre più chiaro, senza mestizia e senza paura, neanche della morte, neanche della persecuzione più bieca.

«Maria, chiedi a Cristo che diventi una cosa sola con noi e che noi diventiamo una cosa sola con lui. Non abbiamo paura della nostra paura; la nostra meschinità non è tale da dimenticare il suo amore. Vogliamo che l'amore a Cristo si dilati in noi come si è dilatato nel tuo cuore».

In questa volontà di totale dedizione a Cristo - nonostante tutti i nostri errori, debolezze e tradimenti - spunta nella nostra vita il primo fiore della felicità: una letizia capace di gioia.

1 commento:

Anonymous ha detto...

grazie per questo messaggio
Adriana