martedì 5 giugno 2007

UNA VITA PER UN LIBRO UN LIBRO PER LA VITA

La prima puntata della rubrica “La Vita allo specchio” si confronta non a caso con una questione che proprio la vita ha al centro, nel dibattito rovente sull’eutanasia, i cui livelli si sono alzati, in occasione della imponente mediatizzazione della vicenda di Piergiorgio Welby, in Italia, alla fine dell anno scorso.



La prima puntata della rubrica “La Vita allo specchio” si confronta non a caso con una questione che proprio la vita ha al centro, nel dibattito rovente sull’eutanasia, i cui livelli si sono alzati, in occasione della imponente mediatizzazione della vicenda di Piergiorgio Welby, in Italia, alla fine dello scorso anno. Sui nostri media è rimbalzata in maniera non polemica, il 2 gennaio scorso con un fondo di Claudio Mésoniat, direttore del Giornale del Popolo, che in argomento ha letto un libro molto particolare. L’articolo riprodotto qui accanto è stato lo spunto per la nostra puntata di Caritas Insieme in cui abbiamo chiesto al giornalista di riparlarci del suo articolo. Più che riassumerlo, Claudio Mésoniat lo ha commentato. Abbiamo visto un miracolo, lo stupore di un giornalista “Questo libro, “Pensieri di uno spaventapasseri”, di Carlo Marongiu, mi è stato regalato a Natale, da un’amica pediatra, che mi ha chiesto di leggerlo, per poi, se volevo, scrivere direttamente all’autore. Carlo è un uomo malato, della stessa malattia che ha colpito Piergiorgio Welby, che in questo libro racconta la sua vita, confrontata da anni con la malattia e con la solitudine, solo apparente, perché accanto a lui ci sono la moglie, i figli e gli amici che gli sono rimasti molto vicini e, nonostante possa comunicare solo con gli occhi, nessuna decisione importante in famiglia è presa senza il suo assenso. Ciò che mi ha impressionato in questo libro è l’attaccamento profondo di quest’uomo alla vita, capace di apprezzare le piccole cose, come una pioggia battente, ma anche e soprattutto il fatto che man mano che lo si legge si entra in contatto con la profondità del suo essere, di credente, per cogliere la gratitudine verso tutto ciò che Dio gli dà, nell’accettazione della sua condizione umana. Sono rimasto così colpito che quando si è trattato di scrivere un augurio per l’inizio d’anno, sul giornale, mi sono ritrovato ad augurare ai nostri lettori di poter vivere con la sua stessa intensità e letizia. Solo quando ho finito di battere l’articolo, mi sono reso conto che stavo augurando ogni bene, parlando di una persona che vive nelle stesse condizioni del famoso Welby, che invece è stato giudicato e si è giudicato lui stesso, come un uomo la cui vita non era più degna di essere vissuta.” Abbandonati per abbandonarsi Nel gioco degli specchi di questa rubrica, è don André Marie Jerumanis a commentare il commento di Claudio Mésoniat, per aprire il respiro ad una prospettiva ancora più vasta, partendo da considerazioni razionali ed accessibili, per poi salire ai vertici della ragione, che è ragione d’amore. L’avvio del suo intervento è un pensiero di Carlo Marongiu: “Abbattersi troppo nella sofferenza vuol dire dare un dispiacere a Dio perché significa dubitare del suo aiuto e della sua presenza, ma a noi, poveri esseri umani, ci è di conforto sapere che anche Gesù sulla croce, uomo come noi ma anche Dio, si è rivolto al Padre dicendogli: “Perché mi hai abbandonato)”.” “La logica della disperazione è tremenda, anche se ad alcuni può sembrare giusta. Nel caso di Piergiorgio Welby, questa risposta è stata politicizzata, mediatizzata, strumentalizzata per rivendicare il diritto al suicidio. Qualcuno si è domandato perché mai la Chiesa, da sola, si opponesse al diritto di quest’uomo di essere lasciato andare. Anzitutto bisogna precisare che nessuno può giudicare le persone, in nessun caso e non è certo la Chiesa a farlo. In secondo luogo è necessario usare la ragione, proprio per la complessità del problema. Qui la domanda essenziale riguardava l’accanimento terapeutico. Ci trovavamo in un caso di accanimento terapeutico? Dieci medici che si occupavano del caso di Welby hanno detto chiaramente che non si trattava di un caso del genere. Il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa cosa significhi effettivamente “Accanimento terapeutico”: 2278 L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. Da un punto di vista puramente etico e razionale, dunque, staccare la spina nel caso di Welby, comportava un atto di eutanasia diretta. Ma oltrepassando una definizione strettamente etica possiamo lasciarci interpellare dalla domanda del presidente dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica, riferita proprio a Piergiorgio Welby: “Abbiamo fatto tutto, ma proprio tutto, per sostenere quest’uomo nella sua disperazione?” Il libro di Carlo Marongiu mi ha fatto riflettere sulla forza dello spirito. L’uomo nella nostra società ha dimenticato che lo spirito ha bisogno di essere rafforzato, che non può appoggiarsi solo alla sua materialità. Allora, abbiamo fatto tutto per rafforzare lo spirito di questo malato? La vicenda di Welby ci interpella sulla rivoluzione spirituale che è necessaria in una società in cui la tentazione di ridurre l’uomo alla sua utilità è fortissima. Carlo Marongiu, con il suo libro, ci ricorda che possiamo aiutare le persone che soffrono, facendo loro riscoprire questa grande forza dello spirito. Infine come cristiano non posso non considerare che il Signore stesso ci ha condotti nella logica della disperazione, ma ne è uscito affidandosi al Padre. Sulla croce si è sentito abbandonato e ha gridato al Padre, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!”, ma subito dopo proprio nell’abbandonarsi ha trovato la forza di accogliere anche la morte, “Padre, nelle tue mani affido (abbandono) il mio spirito”. L’eutanasia, la vera buona morte, per un cristiano, allora è una morte eucaristica.”




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