mercoledì 9 gennaio 2008

CARDINAL SCOLA:APPLICARE LE LEGGI CON GIUSTIZIA E MISERICORDIA


Francesco Dal Mas, 06.01.2008Avvenire
Il patriarca di Venezia fra le detenute del carcere della Giudecca: «La pena sia una medicina per il riscatto»

Più sicurezza e giusti¬zia? Certo, ma anche «più misericordia» nell’interpretazione delle leggi. Lo ha sollecitato il pa¬triarca di Venezia, Angelo Scola, celebrando l’Epifania tra le 86 detenute del carce¬re femminile della Giudec¬ca. «Negli istituti peniten¬ziari, – ammette la direttrice Gabriella Straffi – si risente del clima esterno, che non è affatto indulgente con la po¬polazione carceraria, senza operare distinzioni, che sa¬rebbero pure necessarie».
Il cardinale Scola, accolto con grande affetto – non so¬lo dalle detenute, ma anche dalla direzione, dalla polizia penitenziaria e dai nume¬rosi volontari – ha puntualizzato: «L’applicazione uma¬na della giustizia deve avere un occhio incline alla mi¬sericordia ». Oggi, invece, c’è il rischio di una crescente rigidità, a suo avviso, nell’interpreta¬zione delle leggi, fino a far cadere la speranza di riscatto che numerosi de¬tenuti pure coltivano. «Nel clima di giu¬sta domanda di sicurezza che il popo¬lo italiano manifesta, non si deve di¬menticare questo criterio», ha aggiunto il patriarca: quel¬lo, appunto, della misericordia. «Chi ha la responsabi¬lità di trasformare la pena in una medicina per il riscat¬to, deve essere rispettoso dello spirito della legge, ma de¬ve essere anche coraggioso», ha insistito il cardinale.
Scola aveva celebrato il Natale nel carcere maschile; co¬me tradizione ha desiderato vivere l’Epifania in quello femminile. «Care amiche, la Chiesa vi vuole bene», ha ras¬sicurato Scola. «Non c’è uomo, non c’è donna, non c’è ambiente che non possano essere attraversati dalla com¬pagnia di Dio, che si fa Bambino. Compagnia che apre al alla speranza». Un luogo come il carcere «ha un sen¬so » soltanto se lo si vive come «luogo di riscatto». Solo se il detenuto, nel concreto della propria libertà e re¬sponsabilità, sa ritrovare «un impeto nuovo», la «speran¬za del proprio risorgimen¬to ». Da qui la necessità di «saper imparare anche dai propri errori». Il carcere co¬me «condizione medicinale della pena»: per riappro¬priarsi della propria dimen¬sione, di nuovi rapporti re¬lazionali; per reintegrarsi, magari attraverso il lavoro. Un luogo «per pensare» e in¬cominciare a impostare il proprio futuro, anche da parte dei tanti immigrati, ai quali il patriarca ha rivolto l’invito a prepararsi per il ri¬torno all’esterno imparando la lingua italiana e leggen¬do. Scola ha incrociato gli occhi delle ospiti e le ha rin¬cuorate: «Nulla è irrimediabile di fronte a Dio», se ci si pone l’impegno del «cambiamento». Commoventi le preghiere, come quella di Miloslava: «Vieni o Signore a cambiare la faccia della terra». Prima di concludere la Messa, concelebrata con i cappellani del carcere e il di¬rettore della Caritas, monsignor Pistolato, Scola ha invi¬tato le detenute a pregare per le vocazione e per il nuo¬vo vescovo ausiliare.

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