lunedì 12 novembre 2007

ATTUALITA' DELLE CONFRATERNITE

Quella fame di carità che non ha tempo

MARINA CORRADI
Avvenire 11 novembre 2007

« La Chiesa italiana ha bisogno anche di voi, per portare l’annuncio del Vangelo della carità a tutti, percorrendo vie antiche e nuove», ha detto ieri in piazza San Pietro il Papa ai rappresentanti delle Confraternite. Più di seimila, in tutta Italia, con un milione e 500 mila aderenti.

Molte affondano le loro origini in secoli medioevali, e conservano ancora nelle insegne i simboli delle corporazioni di artigiani da cui nacquero. Le Confraternite continuano, nell’Italia del terzo millennio, anche se molto del loro fare – dall’attività caritativa alla conservazione delle tradizioni della devozione popolare – cade in quel cono d’ombra che nasconde, su tv e giornali, ciò che appare clericale, antico, impresentabile nella modernità omologata obbligatoria. Esercito silenzioso e quasi invisibile, le decine di migliaia di confratelli di Misericordie, Sodalitas, fraterie arrivati in piazza San Pietro con i loro gonfaloni non sono «sopravvissuti», o folklore, ma espressione di una originaria solidarietà cristiana, radicata già nelle diaconie degli Atti degli Apostoli. Che permane, ostinata e seminascosta, rete che sfugge alla Rete, vincolo forte che ancora tiene insieme città e paesi, soprattutto nel Sud - dove dietro alla processione del Santo sfila tutto il paese.
Compresi i «lontani»: in una percezione di sé come «popolo», che meraviglia i visitatori di passaggio.
Dietro a quei gonfaloni, ancora una trama viva di solidarietà cristiana. Tessuto sommerso e tenace di prossimità, che fa cose antiche eppure sempre urgenti. E non per una indefinita filantropia, ma riconoscendo, nella faccia di ognuno, Cristo. Gli «ultimi», nei secoli non sono cambiati: sono ancora i malati e i senzatetto, per accogliere i quali le Misericordie medioevali costruirono in Europa i primi ospedali e rifugi, in tempi in cui i poveri e i lebbrosi morivano per strada come cani. Nel tempo, gli Stati nati da queste obliate radici cristiane hanno assunto quei compiti di assistenza. Ma nell’era dei farmaci gratuiti, della pensione, dei sussidi di disoccupazione, le Confraternite non hanno esaurito la loro storia.
Intanto perchè, dentro un benessere in cui la fame è diventata rara, cresce una collettiva solitudine, come non la si era mai vista. E poi, come dice il Papa nella «Deus Caritas est», perchè «l’amore sarà sempre necessario. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto diventa un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui ogni uomo ha bisogno: l’amorevole dedizione personale».
Da piazza San Pietro, ieri, una lezione di realismo: un utopico ordinamento perfetto, che garantisse una perfetta giustizia sociale, non potrebbe mai dare agli uomini ciò di cui hanno bisogno davvero, tanto quanto del pane. Compagnia quando sono malati, vicinanza nel dolore, speranza quando stanno morendo. Ciò che gli uomini, e anche i non cristiani, riconoscono con un sussulto di sorpresa, quando lo incontrano.
L’imperatore Giuliano l’Apostata, fiero avversario della Chiesa, diceva che in una cosa i cristiani lo meravigliavano: nella carità. Ed è storia, che la predicazione protestante si arrestò nelle città nordiche segnate da una massiccia attività delle Confraternite: la evidenza delle opere di carità, più forte della ribellione.
«Percorrendo vie antiche e nuove», dice Benedetto XVI. Una Confraternita torinese nata per assistere i condannati a morte del regno sabaudo, oggi si occupa di malati terminali. Gli uomini passano, la carità continua. Anche sotto antichissime insegne. Continua a meravigliare, nell’ombra, e senza aperture dei tg. Continua a generare una domanda: perchè lo fate. Nel nome di chi.

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