giovedì 15 novembre 2007

IO ATEO DEVOTO CREDO NELLA FEDE DEL PAPA IN GESU'


Ferrara: io, ateo devoto, credo nella fede del Papa in Gesù
di Giuliano Ferrara


La mia ragione mi dice il suo limite. Se non lo riconosces­si sarei padrone della mia vita e della mia mor­te, sarei un nichilista. La mia ragione mi dice che sono un credente, seb­bene non disponga di u­na fede personale e con­fessionale praticamente vissuta. Credo nel con­cetto matematico e fisi­co di infinito, che segna il mio limite e lo descri­ve.

Se il Papa ha scritto un libro su Ge­sù ci deve essere un motivo. La Chiesa è già un libro vivente su Ge­sù, dipende da Gesù come il corpo dal­la testa. La Chiesa segue Gesù, testi­monia per lui e in lui attraverso la fede, le opere, la carità, i sacramenti e so­prattutto la liturgia.

Tutto nella Chiesa si fonda sulla paro­la di Gesù annunciata nel Vangeli, che per la Chiesa sono i primi e definitivi libri in cui Gesù si trova e, in par­te, enigmaticamente si nasconde. La Chiesa è la tipografia universa­le di Gesù, cura da sempre l’ortografia del racconto che lo riguar­da, Gesù è la sua A e la sua Zeta. La Chiesa legge da due mil­lenni anche i libri più antichi della fe­de ebraica, l’Antico Testamento, alla lu­ce di quelli più recenti. Nella parola di Cristo Gesù e dei suoi apostoli, nelle Lettere e negli Atti, la Chiesa ritrova e ri­conosce come suo anche il patrimonio comune degli ebrei, il gran libro di Mo­sé, la sua legge, e i salmisti e i profeti e tutto il resto della Bibbia, tutto il resto di quei libri che diventano patrimonio comune di ebrei e cristiani. In appa­renza, dunque, i libri su Gesù sono già stati scritti. Secondo la Chiesa, che spo­sa storia, teologia, filosofia e profezia, perfino le Sacre Scritture degli agiogra­fi, che scrivevano secoli prima della na­scita di Gesù di Nazaret, riguardano il suo avvento. E allora? Perché il Papa ha scritto un libro su Gesù?

La risposta la dà lui stesso in modo ap­parentemente molto semplice. Il Papa, che è un teologo e un filosofo e uno sto­rico, ha voluto dare un contributo per­sonale alla ricostruzione del volto del Si­gnore. E il suo contributo è di una sem­plicità inaudita: il Papa Benedetto XVI, che con una doppia firma in quanto au­tore si qualifica anche come Joseph Rat­zinger, non si limita a credere nel Gesù dei Vangeli, aggiunge qualcosa alla sua fede, aggiunge che la figura di Gesù Cri­sto è logica, è storicamente sensata e convincente, solo se esaminata e per così dire razionalmente argomentata alla luce dei Vangeli. Senza argomenta­zione razionale, senza ricorrere critica­mente al metodo storico, Gesù diven­ta un’astrazione interiore, perde il con­tatto con il tempo, con la storia, con il creato, con l’umanità e con il suo ethos, con la vita e con il suo significato, di­venta una figura evanescente separata dalla realtà dell’essere e dall’essere del­la realtà. Non si capirà mai che cosa vo­lesse dire quando disse: «Io sono». Ma con il puro metodo storico si possono formulare solo ipotesi su Gesù, ipotesi che si contraddicono, che stanno irri­mediabilmente nel passato. (...) A questo punto potreste obiettarmi: e tu che c’entri con il libro del Papa, se il libro del Papa è quello che tu dici? Co­me fai a entrare in un discorso sul Fi­glio del Dio vivente se non credi? E la mia risposta è questa. La mia ragione mi dice il suo limite. Se non lo riconosces­si sarei padrone della mia vita e della mia mor­te, sarei un nichilista. La mia ragione mi dice che sono un credente, seb­bene non disponga di u­na fede personale e con­fessionale praticamente vissuta. Credo nel con­cetto matematico e fisi­co di infinito, che segna il mio limite e lo descri­ve. Credo che mio padre e mia madre non siano l’origine biologica del mio Dna ma un semplice e irrisolto miste­ro d’amore. Credo che l’altro, la perso­na umana o anche solo il suo progetto o anche solo il suo ricordo, sia titolare di diritti che sono al tempo stesso i miei doveri, e che questo ciclo della delica­tezza e del rispetto tra le generazioni sia stato messo a punto, nella sua mas­sima perfezione, dentro la civilizzazio­ne cristiana del mondo. Credo che non tutto sia negoziabile e relativo. Ed è già un bel credere, ve lo assicuro.

In più credo nella fede degli altri, la ri­spetto e la amo, in un certo senso la de­sidero. L’inesistenza della mia fede non mi porta a considerare la fede, anche e soprattutto la fede dei semplici, dei pic­coli, come una variante della supersti­zione o del fanatismo. Se poi la fede de­gli altri mi si presenta con il vigore e la passione razionale di un magnifico li­bro di teologia, se il sapere della fede e la fede nel sapere di un Papa mi inse­gnano qualcosa di prezioso che attra­versa la storia ma non la esaurisce e in essa non si esaurisce, crescono a di­smisura la mia inquietudine, la mia cu­riosità e la mia fiducia.

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