sabato 24 novembre 2007

NON E' TUTTO GIA' SCRITTO.PERCIO'NON VA MANIPOLATO

Carlo Bellieni
AVVENIRE 22 novembre 2007

La recente notizia della riproduzione in laboratorio di tratti del DNA e quella della marcia indietro dalla strada della clonazione annunciata dal creatore della pecora Dolly, rimettono al centro della discussione sui giornali il fenomeno “genetica”. In realtà siamo tutti legati ad una visione di questa materia molto datata e rigida e soprattutto deterministica: sembrerebbe che tutto ma proprio tutto della nostra vita sia scritto nel filamento del DNA e che basta controllarlo tecnicamente per riprodurre due Albert Schweitzer o cento Hitler; che l’evoluzione della vita sulla terra sia avvenuta solo per via di brusche mutazioni genetiche; e che si possano mettere impunemente le mani nell’hard disc della nostra vita. Così non è.


Il motivo che ha fatto deragliare tanti progetti di padronanza sul genoma si chiama “epigenetica”.

Leggiamo sull’enciclopedia online wikipedia la seguente definizione: “Epigenetica: la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto e pone in essere il fenotipo", che detto altrimenti vuol dire che l’ambiente altera l’espressione dei geni: dipende non solo da ciò che è scritto nel DNA, ma anche dal mezzo di coltura, dallo scambio con le cellule vicine se una cellula iniziale di un embrione si differenzierà in cellule specializzate (denti, ossa, capelli, sangue). Queste cellule, si badi bene, continuano ad avere lo stesso identico DNA ma lo esprimono in modi assolutamente diversi. Randy Jirtle, genetista statunitense, scrive: "Ogni nutrimento, ogni interazione, ogni esperienza può manifestarsi attraverso cambiamenti biochimici che dettano l’espressione di geni, talora alla nascita, talora 40 anni dopo ". Asim Duttaroy, docente di Scienza della Nutrizione ad Oslo, riportava che lo scarso nutrimento del feto porta a modificazioni dell’espressione di alcuni geni, che porteranno a manifestare obesità, ipertensione e diabete in età adulta; e la rivista Pediatric Research spiega che cause epigenetiche sono alla base della miglior capacità di rispondere allo stress che avrà in età adulta l’individuo che è stato oggetto di un serrato contatto con la madre da piccolo.
L’epigenetica è proprio questo: l’importanza dell’ambiente per la trasmissione delle informazioni da una cellula all’altra. Dunque “noi non siamo solo quello che è scritto nei nostri geni”, e questa scoperta porta a varie conseguenze pratiche. Vediamone alcune.

Recenti studi hanno mostrato che le modifiche epigenetiche (che sono altra cosa dalle “mutazioni”) che l’ambiente determina sul DNA possono essere trasmesse di generazione in generazione. Questo cozza con una visione deterministica dell’evoluzione della vita legata invece a una competizione spietata per la sopravvivenza, che invece si basa su mutazioni casuali; per alcuni studiosi l’ambiente non avrebbe solo la funzione di selezionare le mutazioni in base alla legge del “più adatto” ma anche di indurre cambiamenti duraturi nell’espressione genetica. Ad esempio i lavori di Michael Skinner sui topi venuti a contatto con elementi tossici in epoca prenatale mostrano che le alterazioni possono tramandarsi fino a quattro generazioni; e non dimentichiamo gli studi sulle donne vissute in carestia durante la seconda guerra mondiale che fecero nascere bambini di basso peso… i cui figli sarebbero stati anch’essi di basso peso pur nutriti normalmente in gravidanza. Insomma, l’evoluzione non sarebbe stata puramente casuale, ma, come dice l’ecologista Enzo Tiezzi, regolata da una regola stocastica, ovvero dalla libertà che hanno le frecce di arrivare… intorno ad un bersaglio.

Ma non basta: nell’articolo intitolato “Epigenetica e fecondazione in vitro: servono indagini”, pubblicato sull’American Journal of Human Genetics, Emily Niemitz riportava che “una sorprendente quantità di osservazioni recenti suggerisce un legame tra fecondazione in vitro ed errori epigenetici”. Tanto che Jane Hallyday, genetista americana, pur spiegando che la gran parte dei nati da FIV non avrà problemi di salute, riporta che “si è pensato che difetti dell’imprinting possano avvenire nel corso della fecondazione in vitro (…) nelle cellule germinali maschili e femminili e durante i primi stadi dello sviluppo embrionale”. D’altronde, si capisce come l’ambiente del concepimento possa avere un influsso sullo sviluppo: studi giapponesi hanno mostrato di recente le conseguenze addirittura della luce sullo sviluppo dell’embrione e il ginecologo americano KM Banwell quelle dell’esposizione dell’embrione a diverse concentrazioni di ossigeno.

Abbiamo ora parlato di difetti del cosiddetto “imprinting” e questo ci aiuta a capire un ulteriore mistero: l’insuccesso della clonazione. Dobbiamo sapere che per lo sviluppo di un embrione non è facoltativo, ma obbligatorio avere del DNA che proviene dalla madre e del DNA che proviene dal padre. Perché alcuni geni daranno effetti diversi a seconda che si trovino sul cromosoma di origine materna o di origine paterna, e questo in genetica viene chiamato “imprinting”. Scrive sempre Emily Niemitz “Negli esseri umani gli embrioni con due patrimoni paterni formano tumori del trofoblasto, mentre gli embrioni che possiedono due patrimoni materni formano dei teratomi” Perché? Sembra che lo stesso gene se arriva dal padre serve a far crescere l’embrione, mentre quello che arriva dalla madre serve a farlo nutrire, spiega il genetista di Cambridge Miguel Constancia. Sono entrambe operazioni indispensabili, senza le quali non si cresce né sopravvive. Come pensare allora che un individuo si sviluppi senza qualcosa di essenziale per la quale servono due genitori e non uno solo?

Ma dove è ancora più chiaro cosa accade quando si mette mano al “centro” della vita è nella diagnosi preimpianto. Questa è l’analisi del DNA che si esegue in una cellula sottratta ad un embrione fatto in totale di otto cellule, al fine di scartarlo se il DNA analizzato non ci soddisfa. Quest’analisi si fa per scartare gli embrioni malati e anche quelli imperfetti, in modo da aumentare le possibilità di impianto dell’embrione. Invece l‘autorevole New England Journal of Medicine ha di recente pubblicato uno studio che mostra che gli embrioni dopo questo espianto si impiantano peggio, diminuendo le possibilità di gravidanza. Ma come: non era la “perfida” legge 40 che impedendo la diagnosi preimpianto diminuiva le possibilità di avere un bambino? Mistero delle ideologie. Già: non è tanto strano che togliendo delle cellule in un momento così delicato si possano creare problemi all’embrione, ma ci voleva un’ideologia potentemente pervasiva per non pensarlo, per non domandarsi che messaggi davano le cellule tolte alle altre del piccolo embrione.

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