Con questo blog desidero dare la possibilita' a tutti di leggere articoli ,commenti ,interventi che mi aiutano a guardare la realta', a saperla leggere ed essere aiutati a vivere ogni circostanza positivamente. Mounier diceva "la vita e' arcigna con chi le mette il muso" (lettere sul dolore). E' importante saper abbracciare la realta' tutta per poter vivere la giornata con letizia.
sabato 23 agosto 2008
IL FIGLIO MARTINO RICORDA IL PADRE CLAUDIO CHIEFFO
un uomo protagonista della propria vita
Redazione martedì 19 agosto 2008
“Ti diranno che tuo padre, era un personaggio strano, un poeta fallito, un illuso di un cristiano”. Basterebbe questo verso profetico di Martino e l’Imperatore per raccontare chi era Claudio Chieffo. Un poeta cristiano.
Un personaggio strano. Un poeta, e ascoltando le sue canzoni non si può non riconoscerne la poesia. Cristiano, i testi e le melodie semplici puntano dritte senza fronzoli al cuore della vita. E sono capaci di parlare ad ognuno. Ovvero dicono quello che ogni uomo ha in cuore ma solo il poeta è capace di esprimere. Un personaggio strano che un anno fa tornava alla Casa del Padre.
Ricordo con grande commozione il momento del suo ultimo respiro. Un momento che mi auguro di non dimenticarmi mai come il primo respiro dei miei figli. Ricordo l’abbraccio dei numerosi amici presenti (tanti rinunciarono ad accompagnarci in quell’ultimo tratto per non disturbare gli altri ammalati di notte), e l’abbraccio delle migliaia di persone che anche da lontano sono venute alla camera mortuaria o al funerale. Un abbraccio che fortunatamente si protrae nel tempo. Ricordo che alla fine del funerale, mentre la polizia ci scortava al cimitero ho improvvisamente realizzato che avevo appena detto a mio figlio di 3 anni che il nonno andava in cielo e di li a pochi minuti l’avremmo seppellito in terra. Ho pensato: “adesso come glielo spiego, è difficile per me, come farò a spiegarlo a lui?” E in un secondo ho trovato la risposta. Avremmo seppellito la scatola dove era il nonno come un tesoro. Così Gesù sarebbe venuto a cercarlo. In questo anno diverse volte mio figlio mi ha chiesto di andare a trovare il nonno. E veramente come un tesoro lo conserviamo nel cuore.
Ora però mi rendo conto che più che un tesoro nascosto, e così non fruttuoso, con la morte, mio padre si è “trasformato” in quel seme che il Signore ha messo “nella terra del mio giardino” (Il Seme), quel seme che muore e da molto frutto. Ed è presente. Mi colpisce come mia figlia che ha solo un anno e mezzo riconosca il nonno nelle fotografie. Mi colpisce come mio figlio, che ora ha 4 anni, in macchina chieda di ascoltare le canzoni del nonno, e se io e mia moglie ci distraiamo e cominciamo a parlare, lui ci zittisce dicendoci di ascoltare. Io ho sempre sentito descritto quello che mi capitava nella quotidianità (gioie e dolori, la fatica del lavoro, la gioia di un incontro) dalle parole delle canzoni di mio padre. Ma mai come in quest’anno ne ho avvertito la potenza profetica.
Una corrispondenza disarmante da un lato, ma che dall’altro riempie l’istante di speranza “Figlio non essere triste, perché il bello deve ancora arrivare...” (Figlio). La vita non è una favola tutta rose e fiori, non mi ha mai nascosto la drammaticità della vita. Ma mi ha sempre testimoniato la grandezza e la bontà del Mistero che questa vita pervade. È impossibile, parlando di mio padre, non parlare così apertamente della fede. Quella fede che lui ha cantato. E che tanti continuano a cantare e riscoprono ogni volta che nel mondo viene intonato un suo canto. Sia chiaro che con le sue canzoni non ha mai inteso indottrinare nessuno. L’unico scopo dichiarato delle sue canzoni era, ed è, spingere chi le ascolta a “desiderare il bello, il vero e il giusto sopra ogni cosa, in tutto”. Tanto che più volte mi ha ripetuto che le sue canzoni erano e sarebbero state “fonte di pace”. Posso assicurare che personalmente, specialmente nei momenti di dolore per l’assenza, lo sono. Non un contentino, ma fonte di pace. Una fede, la sua, semplice e forte. Non ha mai nascosto le origini di quelle canzoni e anzi ne è sempre stato orgoglioso, e grato. L’incontro con Don Francesco Ricci e poi con Don Luigi Giussani.
Dopo un discreto, ma per lui vuoto successo ottenuto come cantante nelle competizioni canore locali negli anni Sessanta, aveva appeso la tanto desiderata chitarra al muro, e invece questo incontro ha fatto si che ricominciasse a comporre e le sue nuove canzoni hanno girato il mondo, con una semplicità ed una rapidità imprevedibili. I due sacerdoti l’hanno educato ad essere cattolico, cioè universale, desideroso di incontrare tutti. L’incontro con la Chiesa e una fede semplice sono all’origine del Chieffo artista e uomo compiuto. In lui ho sempre ammirato la tenacia della fede: sebbene abbia vissuto difficoltà ed incomprensioni non ha mai chinato il capo né è tornato sui propri passi nella strada verso la Verità. E non è possibile parlare di mio padre senza raccontare di altre persone, dei tanti incontri che ha fatto («il segreto è circondarsi di buoni amici!», diceva spesso). Una vita costellata di incontri. Dalle anziane signore che in una chiesetta di campagna cantano le sue canzoni e magari non l’hanno mai neanche visto, ai grandi artisti che gli sono stati amici. Non potevamo andare in ferie in un posto senza che lo riconoscessero e si finisse a casa di nuovi amici a cantare. Tutti coloro che l’hanno conosciuto, mi raccontano di come parlando con lui si aveva la sensazione che in quel momento non avesse in mente altro che la persona che aveva di fronte. Ogni volta che lo si incontrava non era mai un incontro banale. E di fronte alle difficoltà e ai problemi come ai dolori e alle gioie espressi dagli altri, rispondeva sempre con grande delicatezza, discrezione e condivisione. Tante volte ricucendo e salvando rapporti che si stavano logorando. Per lui cantare non era una esibizione, ma la “manifestazione concreta dell’inarrestabile comunicarsi di un fascino che pervade tutta la vita”.
Per Claudio il canto è sempre stato un incontro, non un mestiere ma una vocazione. Quando mi chiamava rientrando da un concerto e diceva che era andato bene sapevo che non si riferiva al fatto di aver cantato bene ma si riferiva alle persone che aveva incontrato. è anche per questo che mio fratello e io (senza volerci assolutamente paragonare o sostituire a lui) continuiamo liberamente a cantare le sue canzoni dove ce lo chiedono, perché sono canzoni che sono strettamente legate alla dinamica dell’incontro. Quanti concerti, quanti incontri, quante persone… chiedo a tutti di aiutarci a costruire l’archivio in cui vorremmo raccogliere quello che lui ha seminato (fotografie, registrazioni, filmati) per poi condividerlo, con tutti, così come lui ha condiviso il dono ricevuto con tutti, primi tra tutti mia madre, Don Francesco Ricci e Don Luigi Giussani (le indicazioni sul sito www.claudiochieffo.com).
Che Grazia abbiamo avuto da Dio: Claudio, la sua vita e le sue canzoni! È bello girare per la città e scoprire per caso, pian piano, giorno dopo giorno le tracce che ha lasciato, come il barista che dopo qualche mese che andavo a prendere il caffè da lui mi dice «Ma sai che ho capito solo adesso che sei il figlio di Claudio? Veniva spesso qui, passava a salutare e ci ha anche regalato un CD! Era affezionato a me e a mia moglie». Oppure andare a comprare le corde per la chitarra e vedere il titolare del negozio quasi commuoversi, perché mio padre andava a comprare le corde della chitarra da suo padre. Quante testimonianze simili ho ricevuto al Meeting di Rimini il giorno dopo il funerale e quante ne ho ricevute incontrando persone nel corso di quest’anno. L’ultima è una mail che mi ha girato mio fratello pochi giorni fa di una donna che mentre stava per abbandonare tutto, lavorando al computer ha fatto inavvertitamente partire una canzone di mio padre e ha scritto «Ieri ho incontrato tuo padre, mi ha fatto riguardare al tesoro della mia vita, mi ha messo una mano sul cuore». Fa venire i brividi. So di persone che non hanno rinunciato alla vita perché all’ultimo momento un verso di una canzone di mio padre gli ha ridato speranza...
Una carissima amica mi ha raccontato della nipotina che in macchina ha chiesto di ascoltare Chieffo, lei ha risposto che tutti i CD di Chieffo erano nella macchina dello zio, e la piccola: «Ma nonna, tutti dovrebbero avere un CD di Chieffo in macchina». Sono segni, seppur piccoli e semplici, di una presenza che continuerà a dare molti frutti buoni. Così come grandi sono i frutti che il suo cuore generoso ci ha dato finché ha potuto andare in giro a cantare. Una volta ho sentito che stava componendo una melodia molto dolce, come un abbraccio, ed ho pensato: “che bello sta componendo una ninna nanna per Giovanni (mio figlio)”. Pochi giorni dopo, invece, ci fu l’attentato a Madrid e lui, colmo di dolore per l’odio che l’uomo aveva riversato sul suo prossimo in quella occasione, vendette una chitarra e si pagò un volo per Madrid, andò a casa di amici musicisti spagnoli e chiese loro di aiutarlo a scrivere un testo in spagnolo per la canzone che dedicò poi alla Madonna (Reina de la Paz). Fui dapprima un po’ deluso perché confidavo nella ninna nanna, ma poi la sua dolcezza e la canzone mi hanno fatto capire la testimonianza che mi ha dato. Rinunciare a tenere qualcosa per sé e donarlo, è la scoperta di un amore più grande.
Durante tutta la lunga malattia si è preparato all’incontro con il Padre. Una domenica si presentò a Messa in bicicletta e io preoccupato gli chiesi: «Babbo ma sei sicuro di andare in bici? Non è che perdi l’equilibrio?» e lui ridendo con l’autoironia che lo contraddistingueva mi ha risposto «Guarda che io in bicicletta vado da Dio!... se continua così anche a piedi!» E in bicicletta aveva calcolato il percorso e i tempi per l’accompagnamento della banda da casa alla chiesa per il funerale. La banda, perché il funerale doveva essere una festa. La banda che non si trovava e che grazie ad alcuni amici musicisti che non avevano mai suonato insieme si è formata e ha provato la mattina stessa del funerale leggendo le partiture e gli arrangiamenti scritti da un carissimo amico durante la notte.
Pesa ovviamente la sua assenza fisica, non sarebbe umano. Ma il dolore di non poterlo guardare, di poter correre da lui a raccontargli le cose, di dargli un bacio, non possono scalfire la gioia e la gratitudine di averlo avuto come padre, di averlo sentito cantare e di cantare oggi le sue canzoni. Il dolore non può scalfire il ricordo della grande festa con cui l’abbiamo salutato. Non posso non cogliere l’occasione per ringraziare tutti quanti ci sono stati vicini in quel momento, color che ci hanno accompagnato “a quell’ultimo ponte, con il tempo alle spalle e la vita di fronte...” (Favola). Mi vengono i brividi se penso a quanto sono state vere per lui queste parole, che sono dedicate a me! Per me, e credo anche per mio fratello e mia sorella, lui con la sua vita, con le sue canzoni, i suoi concerti, non è mai stato una presenza ingombrante così come non è mai stato un padre assente. Quando era in giro per i concerti organizzava sempre le cose in modo da poter passare da casa per pranzare con noi la domenica, e guidava tutta la notte per farlo, una soluzione non certo comoda, ma molto corrispondente alla sua natura e a quello che cantava. E proprio la delicatezza con cui attraverso le sue canzoni propone a tutti ciò che di bello e vero ha incontrato si rispecchia nella sua discrezione nei confronti di noi figli. È sempre stato molto delicato e discreto. Ho in mente artisti o intellettuali che per “creare” devono isolarsi, e guai ad interromperli. Lui invece era sempre tutto immerso nella sua vita, semplice e di provincia per alcuni, al punto che noi abbiamo sempre potuto, se volevamo, fermarci ad ascoltarlo mentre lavorava, a volte ci chiedeva anche un primo parere. La cosa che mi manca, e forse uno dei ricordi più dolci, è proprio il suo canticchiare sotto voce sfiorando appena le corde della chitarra la mattina presto all’alba, per seguire l’ispirazione senza però svegliarci. E non è mai stato invadente. Anche per le scelte importanti della vita non ha mai avuto un progetto su di me. Certo, come ogni padre, era preoccupato che scegliessi la strada migliore, ma non è mai stato apprensivo. Mi ha sempre spronato a confrontarmi, ma con grande discrezione: è stato talmente padre che non ha mai preteso un confronto con lui, ma piuttosto sempre desiderato che mi confrontassi con qualcuno del cui giudizio era sicuro, qualcuno autorevole anche per lui. Un padre che sapeva che ad un certo punto il figlio deve cominciare a camminare con le proprie gambe, e lui può solo accompagnarlo. Magari cantando. “Tienti stretto alla mia mano, anche se non ci sarà” (Martino e l’Imperatore).
Non mi stancherò mai di raccontare uno dei nostri ultimi dialoghi: «Martin, dove vanno le persone felici?» «Non lo so, babbo, hai qualche idea in proposito?» «Si, vanno da Dio a dirglielo!».
Grazie babbo!
(Martino Chieffo)
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