venerdì 22 agosto 2008

UNIRE LE VOCI PER ESSERE POPOLO

....Chieffo ha dato parole e musiche alla gioia dei cristiani. A quel legame fatto di gioia profonda dell’essere che accompagna la vita nelle prove e nelle avventure di tutti i giorni. Cosa sarebbero i giorni umani, i giorni cristiani, senza la voce e la memoria delle nostre belle canzoni?....


Il dono a tutti di Chieffo • Cantare insieme significa guardare la stoffa profonda di cui siamo fatti tutti, cioè il desiderio di infinito
di Davide Rondoni
Tratto da Avvenire del 20 agosto 2008

Un anno fa si spegneva Claudio Chieffo, autore di molte canzoni che fioriscono e corrono sulle labbra di tanti cristiani in giro per il mondo.

Le sue canzoni, dal famosissimo e simpatico blues 'I cieli', fino alle bellissime canzoni alla Madonna, da quelle riflessive – da grande cantautore – a quelle allegre da brigata, accompagnano il cammino di singoli, di movimenti e di gruppi riuniti per le vacanze in questi giorni, per la messa e nelle assemblee.


Claudio Chieffo, forlivese come il sottoscritto – che lo ha avuto come entusiasmante professore di lettere alle scuole medie – è stato un grande dono per la Chiesa. E anche ora che non c’è più lui a girare per ogni dove con la sua chitarra e gli amici grandi o giovani musicisti, le sue canzoni continuano a girare per il mondo e a fare un grande servizio.

Perché cantare insieme è uno dei segni più importanti della vita di un popolo. Più importante della ripetizione di discorsi o di slogan. Nulla è bello come gente che canta bene insieme. E nulla è più triste –come purtroppo vediamo spesso – che un cantar triste o strascicato da parte dei cristiani. In questi mesi di messe estive capita ancor più spesso di vedere celebrazioni trasandate sotto questo aspetto. Come se il cantare insieme fosse un orpello, o una specie di insipido condimento, qualcosa che si tira via. Come se mille discorsi, mille formulette retoriche ripetute stancamente fossero più convincenti, più persuasive, insomma, più umane di una canzone ben fatta. Chieffo e chi come don Giussani ha valorizzato appieno il suo talento diffondendone le canzoni ci ha insegnato invece che un uomo che canta ha dentro un segno del cielo. E cantare insieme significa guardare la stoffa profonda di cui siamo fatti tutti, cioè il desiderio di infinito. Chi non canta o chi canta in modo svogliato o bislacco è un’anima spenta.

Lo stesso Pasolini lamentava che gli italiani non cantano più, e vedeva in questo il segno della fine di un popolo. Nel patrimonio di canzoni, come nelle poesie e nelle opere d’arte, è depositato il combustibile per il futuro, oltre che il segno della identità presente. Se le canzoni tacciono, o se vengono cantate male, c’è qualcosa che si perde, e non solo il passato ma anche il futuro. Chieffo, insieme a pochi altri, ha contribuito a creare il nostro deposito di carburante. Per questo ricordare a un anno la sua morte provoca, come succede solo in casi del genere, dolore ma anche sorriso. Perché c’è la perdita, ma c’è anche la gratitudine e il rinnovarsi di una gioia. Il canto dei cristiani, infatti, è il segno di una gioia che mette insieme, voce accanto alla voce, vita accanto alla vita.

Una gioia più profonda, più dura, come ha richiamato di recente il Papa, delle tante finte gioie che hanno come colonna sonora una nube volatile di canzonette che quasi tutte volano via nel niente. Una gioia che, appunto, quando viene 'tradita' dal cantar male, senza cura in tanti ritrovi o addirittura nelle messe, duole e diviene come un bruciore, come qualcosa che manca da morire.

Chieffo ha dato parole e musiche alla gioia dei cristiani. A quel legame fatto di gioia profonda dell’essere che accompagna la vita nelle prove e nelle avventure di tutti i giorni. Cosa sarebbero i giorni umani, i giorni cristiani, senza la voce e la memoria delle nostre belle canzoni?



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