sabato 2 agosto 2008

L'IDENTITA' CRISTIANA NELL'IMPEGNO SOCIALE

Vito Piepoli mi ha spedito questo suo scritto e io lo propongo ai miei lettori

La vita cristiana, da una parte si può concepire come rinchiusa in se stessa, senza riferimento al contesto nel quale si vive, senza alcuna incidenza sopra i problemi sociali. Dall'altra, all'opposto, si può ridurre l'influenza della fede e della chiesa ad una semplice ispirazione, ad un impulso esterno che avvia soltanto la propria azione socio-politica. Come se l'esperienza ecclesiale si riducesse ad uno slancio etico e basta verso i problemi sociali, senza poter incidere concretamente sul modo di affrontarli. Per esempio si potrebbe dire che il Vangelo e la Bibbia ci spingono ad interessarci ai poveri, ma che se questo tende ad essere solo uno slancio, sarebbe moralismo e buonismo. Invece il Vangelo ha qualcosa da dire anche sul modo, sul giudizio e sul comportamento che uno mette in atto per affrontare il problema della povertà. Altrimenti non ci sarebbe nessuna differenza tra un cristiano ed un marxista. Ambedue vogliono fare giustizia ai poveri, anzi si potrebbe pensare che il cristiano deve essere marxista. Questo è stato un asserto che è stato ed è ancora oggi in uso in molti. Ma allora quale è la differenza? Il cristiano vede nel povero il Cristo, mentre il marxista no! Attenzione però che a questo punto il cristiano potrebbe apparire soltanto un visionario ed ancora non esserci nessuna differenza tra lui ed il marxista. Se Cristo non modifica, se la nostra esperienza quotidiana comunitaria di cristiani non modifica poco per volta il modo, l'intelligenza, la capacità con cui affrontiamo i problemi umani, Cristo e la nostra esperienza di fede sono una fantasia. Per questo non esiste dualismo nell'uomo, tra l'essere religioso o cristiano da una parte e l'essere civile o politico dall'altra, come faceva notare don Sturzo quando parlava di impegno politico. Molti battezzati però vivono questa posizione dualistica per la quale il cristiano è tale solo in determinati momenti, per determinate attività,


fondamentalmente religiose. La loro fede rimane, nel seguito, nella migliore delle ipotesi un vago slancio etico! Nelle altre attività il cristiano è meglio che sia un uomo come tutti gli altri: questo è politicamente corretto. In questo modo la novità della fede e la nostra identità viene vanificata. Invece proprio questa e le sue conseguenze dal punto di vista umano, naturalmente senza che vi sia alcuna imposizione, costituiscono la vera novità per il mondo. La fede sostenuta da una autentica esperienza di vita comunitaria, riempie tutta la vita, crea un soggetto diverso, autenticamente “libero e forte” nei confronti di qualsiasi condizionamento o interesse personale e di gruppo e veramente legato al bene comune che non è scisso dal bene proprio. Questa è destinata a riempire tutta la nostra vita, è il centuplo quaggiù, indipendentemente dai risultati che la nostra azione porta. Questa impostazione è esattamente opposta se ci pensiamo al clientelismo e al fatto di non voler essere impopolari. I risultati sono in ultima analisi dono di Dio e a noi spetta solo seminare bene. Se così faremo prima o poi i frutti arriveranno, ma quando lo vorrà la Provvidenza. E la globalità e l'unità dell'attività di questo tipo originale di uomo, il suo inevitabile ed indispensabile giudizio sulle cose, la sua visione umana e della storia, i suoi rapporti ed i suoi comportamenti, non potranno cessare di essere determinati e di più, qualificati da questa fede. La fede quindi è per tutto, riempie la vita intera, non può escludere nulla, o vale per tutto o non vale per niente. Questo non è integralismo, perché è e deve rimanere una semplice proposta. Una proposta però inequivocabile e chiara per la vita di ogni giorno, nostra ed altrui. La comunità cristiana poi deve andare nel mondo, nella società, perché è già dentro il corpo sociale. Da questo potrebbe solo escludersi eludendo, poco ragionevolmente, da una parte la pienezza di cui si diceva prima e dall'altra la propria responsabilità ed impegno civile. Non si tratta di fare una battaglia disumana di religione come i più potrebbero pensare ma ragionevolmente umana. Perché Dio con Cristo sostanzialmente è venuto per rendere più umano l'uomo, per far cogliere di più allo stesso uomo, l'umano. La persona del Cristo, sovrabbonda di umanità a tal punto che aspira a diventare divina e coglie di più, già e non ancora in modo completo, la pienezza a cui siamo destinati. Quindi la comunità cristiana, che è il luogo della fede, per il desiderio di questa pienezza dell'umano che ha già cominciato a pregustare, sta nella società intervenendo (e non può non intervenire, sarebbe contro una ragionevole convenienza) con un giudizio unitario sulle questioni sociali che affliggono il mondo, non sugli individui su cui vi è la misericordia di Dio. Oppure maturando i suoi membri affinché responsabilmente, intervengano personalmente. Una comunità cristiana non sarebbe viva se non volesse affrontare tutti i problemi della società, o direttamente o attraverso l'impegno di ciascuno dei suoi membri e la nostra fede e noi stessi, la nostra breve esistenza sarebbe inutile e senza senso pratico e immediato. Poi, ancora di più, la soluzione di un problema sarebbe falsa ed illusoria, se non rispetta ciò che ha dato il vero valore alla nostra vita, quello per la quale la stessa comunità cristiana vive essendone soddisfatta e ripagata, nell'oggi e nel passato: la sua piacevole e salutare concezione dell'uomo e della sua storia.

Vito Piepoli

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