martedì 26 agosto 2008

INCONTRO "SI PUO' VIVERE COSI'

Si può vivere così: Suor Elvira Petrozzi, Silanos, Siciliano


Che si trattasse di un incontro eccezionale lo si è capito fin da subito. Gli addetti ai lavori sono stati costretti ad aprire i battenti della sala A1 con venti minuti di anticipo tanta era la folla che si accalcava alle porte. Il motivo di tanto interesse lo spiega Alberto Savorana, portavoce di Comunione e Liberazione, che ha introdotto i lavori: “Nell’incontro di questo pomeriggio (il secondo del ciclo “Si può vivere così”) il Meeting offre la testimonianza di persone per le quali l’incontro cristiano è qualcosa di così reale, entusiasmante, da cambiare la loro umanità e di chi gli sta vicino”. I tre “protagonisti”: suor Elvira Petrozzi, fondatrice della comunità “Il Cenacolo”, don Emmanuele Silanos, missionario della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo e Felice Siciliano, direttore generale della CdO Campania.



“Anche se ho la tremarella dalle ginocchia in giù – ha esordito suor Elvira – sono contenta di essere tra voi, perché questo è un ambiente saturo di vita”. Dopo l’esordio, un fiume in piena. La suora di origine ciociare racconta che fu costretta a trasferirsi, ancora bambina, da Sora ad Alessandria.

“La mia famiglia – ha poi continuato – era più povera delle altre”, povertà resasi ancora più drammatica dal fatto che il papà era dedito all’alcolismo. “Per molto tempo mi sono vergognata di parlare della mia famiglia – ha proseguito – ma proprio questa condizione drammatica mi ha fatta diventare una donna capace di amare.

Mio padre, nonostante tutto, mi ha insegnato l’umiltà e la povertà, insomma mi ha insegnato a vivere”. “Lui questa cosa non la sapeva, ma, attraverso la sua condizione, ha formato me al sacrificio e all’obbedienza, e oggi dico grazie alla divina Provvidenza di aver avuto un padre così, che posso definire il primo drogato che mi è stato donato”. “Tutto quello che ho vissuto da piccola – ha aggiunto – è stato trasformato: dalle tenebre alla luce”.

Dopo il racconto della sua storia, suor Elvira è passata a raccontare la vita della comunità che ha fondato e che si occupa di persone tossicodipendenti, emarginate dalla società ma soprattutto dalle proprie famiglie. “Il nome della comunità Cenacolo deriva dalla memoria di un ricordo evangelico: quando gli apostoli hanno visto Gesù in croce hanno avuto paura, erano pieni di rabbia, e si sono rifugiati con la Madonna nel Cenacolo”. L’intervento è poi terminato con un monito: “Stiamo attenti ai bambini, perché – ha detto – si chiedono tante cose senza ricevere risposta”, e questo è un problema soprattutto dei genitori che sono molto più intenti a chiedere se vogliono “la banana o il gelato”, piuttosto che percepire che i figli chiedono di essere oggetti di un amore. “Accade così anche per i giovani che frequentano le nostre comunità – ha terminato – una volta accortisi di un bene cominciano a fare cose straordinarie”.

Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento di Silanos, che da poco più di un anno è missionario a Taipei. Nell’isola “dove tutto è cinese” i cattolici rappresentano lo 0,4% della popolazione ed i missionari della Fraternità prestano servizio in due parrocchie oltre che in Università. Il suo intervento si è basato sul brano del Vangelo di ieri (“La gente chi dice che io sia?”) e su una domanda: “Se Gesù domani arrivasse a Taipei e mi ponesse la stessa domanda, risponderei: questa gente non ha la più pallida idea di chi Tu sia”. Da qui una duplice consapevolezza: lo sguardo di Cristo su questa gente e il dono di un metodo, quello della pazienza di incontri personali incrociando lo sguardo di ciascuno. “Io sono lì perché me la sono cercata – ha chiosato – perché a seguito della visione del film “Vivere!” che raccontava della storia di due innamorati cinesi mi è stato chiaro un fatto che valeva per quei due ed anche per me: il desiderio di amare ed essere amati”.

Molti gli eventi eccezionali che accadono e che testimoniano l’agire di Dio in quella terra, in particolare Silanos ne ha raccontati due. Il primo riguarda una studentessa universitaria, regalata ad una famiglia perché terza figlia. “Quando le lessi il racconto evangelico sul “perdonare a tutti” si rabbuiò e mi disse che non poteva essere possibile. Questo mi ha indotto a prendere più consapevolezza di essere in prima persona “oggetto della misericordia”. Un altro ragazzo a seguito della morte di un amico era deluso dal fatto che un’amicizia potesse finire. Poi però è stato ripagato grazie alla visita a San Luigi dei Francesi a Roma di fronte alla “Vocazione di Matteo” di Caravaggio. “Mi ha detto che la luce che nel quadro va da Gesù a Matteo è la nostra amicizia. E così ha intuito – ha proseguito Silanos – che l’opera più grande è il dono di colui che Egli ti mette accanto”.

Al termine dell’intervento Silanos ha spiegato il motivo per cui ha chiesto di andare in missione: “Grato per il dono ricevuto”. “Silanos è un cognome quasi impronunciabile per i cinesi. La traduzione italiani degli ideogrammi del mio cognome significa proprio questo: la gratitudine per un dono.”

Anche Siciliano ha raccontato “fatti, incontri, avvenimenti” che testimoniano la bellezza della storia che ha incontrato e che continuamente lo anima e lo sostiene. “Di fronte al contrappasso che la città di Napoli sembra dover scontare – ha detto – io ed i miei amici non siamo stati definiti da nessun elemento esterno, ma dal fatto che una bellezza c’è e che il cuore della gente continuamente lo grida”. Siciliano parla di gente con un nome e cognome, quello degli “scugnizzi” del Rione Sanità (noto anche perché ha dato i natali a Totò) che undici anni fa, notando la presenza di molti giovani presso la residenza dei Vincenziani (sede di Cl), chiesero con insistenza di entrare per vedere cosa succedesse all’interno e che da allora non l’hanno più abbandonata, affascinati da uno sguardo sulla loro vita che nessuno mai aveva mai avuto. “Di fronte a tanto interesse - ha proseguito – è diventato sempre più chiaro un metodo: andiamo a vedere”, che è anche il motivo della canzone “Jamme a vedè” eseguita da Alfredo Minucci. “I personaggi di questa canzone non sono una invenzione artistica – ha sottolineato - ma è gente che in questi giorni è presente presso Piazza Napoli (zona CdO dei padiglioni fieristici).

Parlo di Anna che dopo l’incontro con quelli del Centro di Solidarietà ha riscoperto la fede ed ha avuto la forza di stare vicino al marito ubriaco, oppure di Margherita e Nando che attraverso lo stesso incontro hanno trovato la forza di continuare a vivere nella “giungla”, o ancora di Giancarlo, docente di Fisica all’Università, pieno di pregiudizio verso il cristianesimo e Cl, ma onesto intellettualmente. Dopo aver accolto l’invito a partecipare alla scuola di comunità che si tiene proprio nel rione è rimasto stupito dalla profondità di un’esperienza intensamente vissuta. L’incontro è terminato ancora con Alfredo Minucci che ha eseguito “Alluccamm’ o bene” un vero e proprio grido di speranza. Davvero “una cosa dell’altro mondo in questo mondo”.

(G.F.I.)
Rimini, 25 agosto 2008

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