mercoledì 27 agosto 2008

LIBERTA' VA CERCANDO CH'E' SI' CARA VIGILANDO REDIMERE

“La tentazione è dividere il mondo in buoni e cattivi”, conclude Vittadini. “Ma questo non è la verità! Occorre aiutare l’uomo a prendere coscienza del bisogno che ha del bene. E quindi occorre metterci assieme alla ricerca di Colui che ci può salvare e che ci salva”.

“Da qualche tempo ci succede di ricevere lettere da un mondo che ci era sconosciuto” ha esordito Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, introducendo l’incontro di presentazione della mostra “Libertà va cercando ch’è si cara. Vigilando redimere” nell’auditorium D7 che ha visto anche una parte particolare di pubblico composta da detenuti in permesso e guardie carcerarie. “Queste lettere - ha proseguito Vittadini - ci hanno fatto incontrare storie ma soprattutto persone che si riconoscono peccatori e hanno desiderio di ricominciare”.

Storie testimoniate anche dal video che parte subito dopo il suo intervento, che è visibile durante tutta la settimana del Meeting all’interno della mostra e dalla testimonianza diretta di due detenuti. Due storie toccanti che hanno commosso i presenti e che sono riportate integralmente sul sito del meeting (www.meetingrimini.org). (SONO ANCHE QUI DI SEGUITO )
La parola passa poi a Giovanni Maria Pavarin, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Padova, nel cui carcere sta operando il consorzio di cooperative del quale si parla nella mostra. “Stiamo vivendo in un contesto che pare dominato dal problema sicurezza - esordisce - e questo crea forma di pensiero dettata dalla paura. La mostra è in questo contesto una sfida. Si tende a fare credere che la nostra società non abbia e non necessiti più di valori. Si parla di società liquida. Ma questo credo non possa essere vero”. Per Pavarin è più che mai attuale e necessaria la massima attenzione all’articolo 27 della Costituzione che afferma che la pena deve avere scopo di rieducazione e recupero del condannato. “All’origine vi è una scelta dei legislatori. È il riconoscere che l’uomo è fatto ad immagine di Dio”. Tutto il sistema della pena, ha poi spiegato il giudice, si basa sulla condanna e distruzione del reato, non sulla distruzione di chi compie il reato, per il quale occorre ricercare la rieducazione. Sul problema dell’utilità della certezza della pena, fino all’ultimo giorno comminato, Pavarin esprime qualche perplessità che possa fungere da deterrente. “L’articolo 27 prevede che vada data al condannato la possibilità di riflettere. Ma occorre che a chi sta in carcere vengano proposti dei modelli e questo spetta a noi”, ha detto. Un altro punto individuato dal giudice di sorveglianza ha riguardato le logiche interne al carcere. “A volte logiche omertose prevalgono sulla logica dello Stato. È poi indispensabile, perché un percorso di rieducazione possa avere successo, che siano rispettati i diritti dei detenuti, perché una persona vi segue e accetta ciò che viene proposto solo se percepisce di essere accettata”.
Franco Ionta, capo dipartimento Amministrazione Giudiziaria, ha in primo luogo elogiato la professionalità con la quale il Corpo della Polizia penitenziaria lavora in situazioni non sempre facili. “Dare una risposta alla vita - prosegue poi - era la domanda formulata da un detenuto nel filmato che abbiamo visto”. Ma può essere la struttura carceraria a fare questo? “Quello della detenzione non è il mondo, è solo uno dei mondi. Al quale occorre dare indirizzi e contenuti”, ha risposto. Una battaglia di contenuti che si può vincere, individuando nell’impegno della amministrazione carceraria il compito di seguire il condannato in modo che possa seguire un percorso che lo renda migliorato alla società. “Una persona che abbia recuperato il senso della giustizia”.
Molto atteso l’intervento del ministro della Giustizia Angelino Alfano che ha esordito raccontando la sua prima visita da ministro ad un carcere, Regina coeli. “Ho visitato le celle, ho parlato con i detenuti. Ci siamo guardati negli occhi. Ho chiesto a qualcuno: perché sei qui? E ho scoperto il desiderio, la determinazione di espiare il male fatto”. Il ministro prosegue ponendosi delle domande.

Esiste un diritto alla speranza per il detenuto, oppure no? Cos’è la vita del detenuto dopo il castigo?

Cosa vogliamo dire quando diciamo che dentro una cella vi è un uomo e come pensiamo al percorso di redenzione?

In uno stato realmente laico quale deve essere il rapporto fra giustizia e misericordia?

“Qui deve porsi il ruolo dello Stato: chi sbaglia deve pagare ma dentro il castigo deve avere diritto a redimersi - ha detto - L’uomo però non si salva da solo e l’istituzione deve favorire l’incontro con una compagnia che lo aiuti a riscoprire il meglio di sé”.

Non servono buonismi che concedano il perdono senza condizioni. “Abbiamo da poco assistito ad un fallimento terribile dell’indulto. Il fenomeno della recidività è più che evidente”.

Concludendo, il ministro Alfano ha voluto esprimere alcuni dei problemi che intende affrontare a breve. In particolare l’istituzione del braccialetto elettronico per i detenuti con pene ormai brevi da scontare, in modo da poterli scarcerare. Poi la creazione di agenzie di collocamento al lavoro per detenuti in modo da poter creare contatti fra domanda e offerta. E ancora il problema delle mamme con figli piccoli.

Un problema molto grave e serio sul quale occorre lavorare. Un ultimo accenno ha riguardato la riforma della giustizia “che dobbiamo e vogliamo fare dialogando e decidendo – ha detto - dialogando perché è un problema troppo importante ma alla fine decidendo”.

“La tentazione è dividere il mondo in buoni e cattivi”, conclude Vittadini. “Ma questo non è la verità! Occorre aiutare l’uomo a prendere coscienza del bisogno che ha del bene. E quindi occorre metterci assieme alla ricerca di Colui che ci può salvare e che ci salva”.

Testimonianze dall'incontro "Libertà va cercando, ch'è sì cara. Vigliando redimere"
Testimonianza 1

Buongiorno a tutti,
mi chiamo Dario ed ho quasi 42 anni, di questi un terzo l’ho passato in carcere, prima da minorenne e via via seguendo sono diventato grande…se così si può dire. Attualmente sono detenuto nel carcere di Como dove sto scontando un cumulo di pene di 21 anni per svariati reati di rapina, di questi 21 me ne mancano ancora sette da scontare; fine pena definitivo 4 aprile 2016.

Scusatemi se leggo, ma per me questo momento è fonte di grandissima emozione, come lo è stato stilare questo mio scritto. Pensate che ancor prima di cominciare a scrivere sapevo già che avrei fatto un grande casino tra queste righe e non per mancanza di capacità; di solito me la cavo a stendere i miei pensieri sulla carta, ma in questi giorni sono talmente tanti che mi riesce un po’ difficile individuare quello da cui partire, anche se dentro di me sento che qualunque dei miei pensieri possa andare bene per lasciare la mia piccola testimonianza in merito a questa grande esperienza del Meeting e, il grande è riferito a ciò che mi sta lasciando dentro.

Prima di venire qui pensavo che sarei andato in un posto in cui mi sarei totalmente sentito estraneo. In effetti è successo, ma solo giusto il tempo di ambientarmi: del resto dopo tanti anni in carcere questo è il primo momento vero di confronto con la realtà; e posso sottolineare che bella realtà!
Poter guardare le persone e ricevere il loro sguardo senza nessun giudizio è una bellissima realtà come lo è il confrontarsi con loro tramite parole che non necessariamente vanno dette, perchè quest’esperienza mi sta insegnando che il bene va oltre le parole, che il bene passa e si trasmette attraverso mille vie, mille piccole vie che non hanno bisogno di molto per portarti la gioia dentro.

Ciò che sto vivendo in questi giorni, gli incontri con le persone e l’esperienza che vivo, che condivido e che continuerò a condividere al rientro in carcere sta riempiendo anni di vuoto totale, anche adesso mentre scrivo mi sembra di avere le “farfalle” nello stomaco, farfalle che riempiono ancor di più la libertà che avverto dentro di me.

Ieri mentre facevo la mia piccola parte nello stand, mi accorgevo sempre di più che le persone in visita aumentavano minuto dopo minuto, che strano, sembra quasi ridicolo…le persone facevano la fila per entrare in “carcere”…, se questa non è una cosa grande ditemi voi cosa può esserlo…
Persone che di questa realtà sanno ben poco e, quel poco a volte è traviato dai media. Persone curiose di conoscere, conoscere una realtà diversa da come la si può immaginare, una realtà che sicuramente potrà migliorare e, questa non è una mia sensazione, ma bensì ciò che l’animo di chi ho incontrato dopo la visita della mostra mi ha trasmesso.

Forse qualcuno visitando lo stand mi ha visto nel penultimo video che girava, quando parlavo della libertà. Una libertà che sto imparando ad avere dentro di me, mi riferisco al fatto che la parola libero non è soltanto un termine che si trova sul vocabolario, ma bensì una condizione che una persona trova in se stesso crescendo giorno dopo giorno, nel senso che liberi si può essere fuori ma anche dentro un carcere, come del resto si può essere prigionieri sia dentro che fuori.
Questo è il mio quinto permesso premio, i primi quattro li ho passati a casa dei miei genitori senza poter uscire, se non per far rientro in carcere e proprio durante i primi due permessi (nonostante io abbia un buon rapporto con la mia famiglia), non mi sentivo libero, sudavo, ero in ansia e non riuscivo a capire il perchè di questo malessere, finchè al rientro in istituto tutto mi passava.
Qui ho capito che la libertà è dentro di me e va ben oltre quella definita dal termine stesso.
Concludendo e riferendomi al tema del meeting “o protagonisti o nessuno” credo che ognuno di noi abbia bisogno di essere protagonista per esprimere il bene che c’è in lui, che non vuol dire essere migliore, ma bensì essere considerato e soprattutto saper considerare gli altri, poter condividere
un “ umano” che ti abbraccia.
Davvero grazie a tutti per avermi dato la possibilità di sperimentare cos fa significa vivere da protagonista.
Dario


Testimonianza 2

Io non sono abituato a parlare, non so come funzionano queste cose. Scusatemi.
Io saluto di cuore tutti voi.

Un detenuto di Padova che oggi non c’è più – Ilario – in una lettera scritta da lui assieme ad altri detenuti, indirizzata al Santo Padre e al Presidente della Repubblica, diceva: «Non è facile dire queste cose, soprattutto per tutti gli errori commessi, ma oggi più che mai è
un momento in cui occorre ricostruire, dentro come fuori. Noi siamo chiamati per primi a scardinare una mentalità, delle usanze, dei regolamenti, delle leggi, quelle del carcere, che ormai sono diventate delle incrostazioni difficili da togliere». E continuava: «Ma l’esempio di oggi dice che la vita cambia a chi di noi seriamente accetta di vivere con lealtà e con verità quel poco di buono che arriva».

Mi chiamo Wellington, ho 33 anni e arrivo da Santo Domingo. Sono in Italia dal ’95 e in carcere dal ’96 per omicidio. Il mio fine pena è il 2012.

Ho voluto partecipare a questo incontro per testimoniare quanto importante sia per me far parte di questo gruppo di lavoro.

Sono circa due anni che faccio parte della cooperativa Giotto, prima d'ora non avevo mai fatto parte di un gruppo di lavoro, ho sempre lavorato in modo individuale, per cui non immaginavo quanto sia interessante lavorare in un gruppo, principalmente come quello nostro.

Vedere ogni giorno i miei compagni di detenzione, lavorare fianco a fianco, sapendo che facciamo parte di qualcosa molto importante, ed è importante, perché realtà come la nostra devono esistere per dare speranza a persone come me che hanno sbagliato nei confronti della società, ma che cerca di reinserirsi in essa. Ora, ogni giorno, so come si lavora in gruppo grazie a questa possibilità.

Un altro aspetto che mi ha colpito profondamente sono stati gli amici della cooperativa, che nonostante noi detenuti siamo loro operai, non ci trattano con indifferenza, ma bensì comportandosi come se fossero uno di noi, fra virgolette.
Se c'è un problema ci si può parlare tranquillamente e sono sicuro che se possono ti danno una mano.

Inoltre, il lavoro ci permette di non gravare ulteriormente la situazione economica in famiglia. Provate a pensare quanto sia difficile per i nostri familiari far fronte alle spese di viaggio per vedere il proprio caro.

"O protagonista o nessuno"
Non ci sono parole per definire quella specie di emozione che nasce dal mio cuore. Voi dite "protagonista". Effettivamente è la parola giusta dopo anni di vita vissuta da finto protagonista. Io ho riflettuto molto sentendomi nessuno. Poi voi, il lavoro, la fiducia datami, gli apprezzamenti mi hanno ridato autostima come uomo che sta dando oltre che ricevere. Oltre che a me, questo dare sento che è anche verso la società a cui ho mancato. Questo mi ridà stima, speranza e sorrido dalla contentezza per il presente e per il futuro che mi vedrà diverso, e questo grazie a voi oltre che a me stesso.

Ciò che mi ha colpito di più in questi due giorni di questa mostra è stato l’incontro che ho avuto con la signora Vichy, quando lei dice che in qualche modo si sente di scontare un ergastolo, eppure lei non è prigioniera.

Questa cosa mi ha toccato particolarmente, per il modo con il quale ad un certo punto ha iniziato ad essere protagonista della sua vita, testimoniando di persona che non importa la condizione in cui si è per essere veri protagonisti.
Grazie
martedì 26 agosto 2008


Lettera aperta di CDO al ministro Alfano: favorire la rieducazione e il reinserimento sociale dei detenuti
Egregio Onorevole Angelino Alfano
Ministro della Giustizia

Rimini, 26 Agosto 2008

Caro Ministro, nell’ambito della complessa riforma della giustizia a cui il Governo sta per mettere mano, riteniamo giusto e doveroso, con la coscienza del tempo molto lungo che occorrerà, avviare da subito un percorso di riforma strutturale anche del sistema carcerario italiano, che tocchi uno ad uno i diversi punti critici emersi in questi anni.
L’obiettivo è quello di creare una sorta di devoluzione o di federalismo anche nel campo penitenziario, sgravando l’apparato burocratico centrale di tutte quelle funzioni che in modo più efficace e incisivo possono essere svolte a livello locale e favorendo in modo particolare la capacità dei cittadini stessi e delle loro formazioni sociali di rendersi protagonisti nella risposta ai propri bisogni di giustizia e di sicurezza, nel rispetto dei principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà.

Il lavoro nelle carceri
Il primo e più evidente dato di fatto è che il lavoro rimane oggi la misura più efficace di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti. E’ provato che senza un vero lavoro secondo le regole del mercato la recidiva si attesta su percentuali altissime (90%), mentre in caso contrario, con un vero lavoro, la recidiva registra abbattimenti molto significativi (riducendosi all’1%). Riteniamo perciò indispensabile favorire, sostenere e incentivare le attività lavorative dei detenuti approvando tutte quelle misure che possano spingere le imprese a investire nel mondo carcerario.

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
Va avviata urgentemente la riforma del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria introducendo l’esecuzione penale regionale attraverso gli attuali provveditorati regionali, ai quali va concessa una reale autonomia organizzativa e gestionale in ordine a risorse economiche, gestione del personale e rapporti sindacali.
Alcune misure concrete:

1. collegare la distribuzione delle risorse economiche al numero e alla tipologia di detenuti effettivamente presenti in una certa area;

2. stabilire le dotazioni organiche degli istituti (agenti, psicologi, educatori, assistenti sociali, personale amministrativo e tecnico) in base al numero e alla tipologia dei detenuti presenti;

3. affidare l’esecuzione penale ai provveditorati regionali istituendo macro-aree.

La Polizia Penitenziaria
Va recuperata la responsabilità della Polizia Penitenziaria nell’attività di rieducazione dei detenuti (“Vigilando redimere”); la Polizia Penitenziaria oggi è impegnata quasi esclusivamente in attività di sorveglianza e di mantenimento dell’ordine interno degli istituti, ma è necessario che, com’era in origine e come è tuttora in altri paesi europei (Spagna e Germania su tutti), recuperi anche una funzione attiva e decisamente propulsiva sul terreno della rieducazione, restituendo dignità alle persone impegnate in questo duro lavoro.

Magistrati di sorveglianza
L’azione del Magistrato di Sorveglianza è un elemento fondamentale per il recupero dei detenuti e l’abbattimento della recidiva (che vuol dire più sicurezza e meno costi). Bisogna stabilire rapidamente un giusto rapporto tra i Magistrati e i detenuti, equamente distribuiti.

Signor ministro,
queste proposte nascono dall’esperienza di Compagnia delle Opere e in particolare dal lavoro di tante nostre imprese sociali impegnate direttamente con il mondo delle carceri.
Siamo convinti che quella indicata sia una strada percorribile e che possa generare benefici per tutto il sistema carcerario italiano, favorendo e sostenendo il recupero e la reintegrazione dei carcerati, e in questo modo rispondendo anche alla crescente domanda di sicurezza da parte dei cittadini.


Bernhard Scholz
Presidente Compagnia delle Opere
martedì 26 agosto 2008





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