venerdì 15 dicembre 2006

INTERVISTA A BRUCE BAWER

Tempi num.48 del 14/12/2006
Intervista
Bruce Bawer
Omosessuale in un'America "bigotta", sognava l'Olanda, paradiso dei diritti. Poi l'assassinio di Theo van Gogh. «Senza il cristianesimo saremo terra di conquista»
di Meotti Giulio




«Sono arrivato in Olanda nel 1997 e ho subito pensato di essere nel posto più vicino al paradiso in terra. Io e il mio partner ci siamo tornati il 24 marzo 2005. La nostra amica Marlise Simons aveva scoperto che il numero di olandesi che aveva lasciato il paese era drammaticamente salito dopo la morte di Theo van Gogh». A sentir parlare Bruce Bawer si ha come la sensazione di un risveglio dal torpore e di una rinascita dal sonno dell'illusione. Bawer è lo scrittore gay che sulla stra-
da del paradiso liberal si è scoperto nemico della superficialità secolarista e islamicamente corretta. Lo ha raccontato, di getto, nel best seller While Europe Slept, senza velare l'annuncio del pentimento con i pregiudizi dell'intellettuale progressista cresciuto nella gay-friendly New York City. «La mattina del 2 novembre 2004 ero da mia madre nel Queens, a New York. Era l'Election Day, e stavo pensando a Bush e Kerry. Poi squillò il telefono: "Ehi Bruce, hai sentito di Theo van Gogh? È stato ucciso questa mattina". Mark, come me, era un americano con un compagno norvegese. La morte di Van Gogh fu uno shock, ma lo avevo previsto da anni. Nel 1998 avevo vissuto in un quartiere islamico di Amsterdam, a un solo isolato dalla moschea radicale frequentata da Mohammed Bouyeri, l'assassino di Van Gogh». La sera di quello stesso infausto 2 novembre, Bawer volò a Oslo, dove abitava da quando aveva lasciato Amsterdam. «Mentre stavo ritirando il bagaglio, sullo schermo apparve la scritta: "Bush gjenvalgt". Era stato rieletto». E lui che per anni si era beato nel clintonismo, d'un tratto pensò che un presidente che scendeva in guerra contro i guerrasantieri mozzateste meritava appoggio politico. E un ripensamento sull'America, la sua storia, la sua religiosità, la sua determinazione, anche militare.

Quella incrollabile fede nel futuro
Ma perché, fra tutte le città d'Europa, proprio Amsterdam? «Perché aveva il matrimonio gay e una produzione di libri tra le più alte al mondo, e perché lo scrittore americano Richard Powers l'aveva definita "uno dei posti in cui la civiltà occidentale funziona di più". Un altro scrittore, il mio amico Matthew Stadler, la definiva "magica"». E poi c'era il fascino per il secolarismo olandese: «Avevo speso il 1996 a lavorare su Stealing Jesus, sul fondamentalismo americano e la sua claustrofobica concezione del divino. In Olanda mi sentivo lontano dalla follia fondamentalista. Fu proprio allora che iniziai ad apprezzare le virtù americane che avevo dato per scontate, l'innato ottimismo, la volontà, l'iniziativa, l'immaginazione, il "morning in America" di Ronald Reagan. Gli europei potevano avere il "senso della storia", ma gli americani avevano qualcosa di più importante: la fede nel futuro. Iniziai a capire che alcuni fenomeni del continente europeo rappresentavano per la democrazia un pericolo più grave dei cristiani fondamentalisti. Nell'Europa occidentale i musulmani radicali erano in marcia. E il loro obiettivo andava oltre la messa al bando del matrimonio gay. I giovani musulmani d'Olanda frequentano le accademie islamiche, dove insegnano a odiare gli ebrei, Israele, l'America e l'Occidente».
E paradossalmente è proprio ad Amsterdam, cuore del multiculturalismo europeo, che Bawer scopre il significato della proiezione della sharia in Occidente: «Che i convertiti dall'islam ad altre religioni siano uccisi, che le donne debbano adattarsi a un codice di comportamento e che le adultere e i gay debbano essere lapidati. Jerry Falwell (leader della destra religiosa americana, ndr) è una persona sgradevole, ma non emette fatwe. I consigli ai genitori di James Dobson (psicologo infantile evangelico, ndr) mi atterriscono, ma lui non suggerisce loro di uccidere le figlie. La posizione del cristiano che odia il peccato ma ama il peccatore è preferibile alla visione islamica per cui i gay meritano la morte. Poi ho capito che quando scompare la fede cristiana, con essa se ne va un significato ultimo, uno scopo, lasciando il continente vulnerabile alla conquiste di popoli con una fede più forte».
Così il 1° aprile del 1999 Bruce lascia la placida e globale Amsterdam per la provinciale Oslo. «Gli scandinavi sono il più omogeneo popolo sulla terra e si vantano di non avere pregiudizi, di essere come gente cosmopolita, sofisticata e aperta (tutti gli europei si vedono così). Ma lo storico cileno-svedese Mauricio Rojas ha descritto il proprio paese come "una società tribale, una buona tribù, pacifica e delicata, ma una tribù". Nel frattempo le carceri europee sono diventate a maggioranza islamica, in Francia al 70 per cento. Le carceri sono veri e propri centri del proselitismo, dove i non musulmani si convertono all'islam e i musulmani non religiosi sono indottrinati al fanatismo. Da un lato abbiamo il rispetto dell'America per i suoi immigrati, dall'altro l'accondiscendenza dell'Europa per i suoi. Così la mutilazione genitale femminile ha luogo in ogni paese europeo. Lo storico norvegese Lin Silje Nilsen nel giugno 2003 si espresse a favore dell'istituzione in Norvegia di un tribunale regolato dalla sharia. Tariq Ramadan, il cosiddetto profeta di un islam europeo, va ripetendo che la libertà occidentale è una schiavitù e che solo entro i confini della legge islamica può esserci autentica libertà».
Per Bawer è anche colpa della correttezza politica culturale se i musulmani europei si rivolgono al fanatismo wahabita. «Scoraggiare questi giovani e nipoti degli immigrati a identificarsi con il paese d'origine non è un gesto di generosità, ma di odio di sé e di suicidio culturale. L'Europa ha in Christiania, a Copenaghen, la realizzazione dei suoi sogni. Ma è la realizzazione del nulla, in cui il docile conformismo è inteso come coraggioso dissenso. L'Europa sta vivendo una nuova Weimar».
Bawer ha scritto molte pagine contro il predicatore islamico Krekar, che vive da anni in Norvegia e di qui lancia i suoi proclami di morte contro ebrei, cristiani e americani. Sul conto di Krekar il Wall Street Journal ha appena pubblicato un lungo dossier. «Il mullah Krekar, il cui vero nome è Faraj Ahman Najmuddin, arrivò in Norvegia nel 1991 come "rifugiato". Nel 1994 fondò l'Islamic Vision, un'organizzazione islamica radicale che ottenne il finanziamento del governo. L'11 settembre 2001 si trovava in Iraq, dove ha costituito Ansar al Islam, un gruppo guerrigliero che ha imposto una legge teocratica nei villaggi in cui ha preso il potere, mettendo al bando i dischi e vestiti come gli shorts e mandando le guardie in ogni casa a controllare che si svolgessero le preghiere. I media norvegesi impararono il nome di Krekar il 22 agosto 2002, quando le autorità accusarono Ansar al Islam di collaborare con al Qaeda. Ma le autorità lo hanno lasciato libero. Krekar chiamò gli attentati di New York "un dono di Allah" e, nel settembre 2003, si apprese che Ansar al Islam era coinvolta nella distruzione del quartier generale dell'Onu a Baghdad. Ebbene, Krekar ha tenuto una conferenza in un caffè chic di Oslo, applaudito entusiasticamente dai norvegesi».

L'11 settembre e gli applausi di Fo
Bawer ha lasciato New York per l'Europa, come trasferendosi da un mondo a un altro. «Ma l'11 settembre ho scoperto di non aver lasciato il mio paese. In Italia il Nobel Dario Fo accusò gli Stati Uniti di aver ucciso "decine di milioni di persone con la povertà" e definì quell'omicidio di massa del World Trade Center "legittimo". In Germania il compositore Karlheinz Stockhausen descrisse l'attacco come "la più grande opera d'arte immaginabile"». Una scenetta che si è ripetuta in occasione dell'invasione dell'Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001: «Gli europei dell'Est, memori del comunismo, non ebbero problemi a capire cosa fosse in gioco: poche ore dopo l'invasione, il presidente ceco Vàclav Havel proclamò il proprio "sostegno incondizionato all'operazione". I suoi colleghi europei erano invece presi con i giochi di equivalenza morale. Il fatto che Fidel Castro abbia governato non eletto per quattro decenni, imprigionando, torturando e condannando a morte migliaia di nemici ideologici, tutto questo viene dimenticato. Ho letto di basi per le torture di Saddam Hussein, prigioni piene di bambini e fosse comuni. Ma nei quotidiani europei molto poco è apparso di tutto questo. Nel 2004, invece, dopo la storia degli abusi di Abu Ghraib, tv e quotidiani europei hanno trasmesso le stesse tre immagini ogni giorno, per settimane. È lo stesso establishment che ha rappresentato l'invasione americana come una violazione della "pace" irachena, dove "pace" descrive la vita di un paese il cui tiranno pazzo massacra centinaia di migliaia dei propri cittadini». Quando il Muro di Berlino cominciò a scricchiolare, Bawer si trovava in città. «Fu straordinario, potevi toccare la gioia nell'aria. Quella notte viaggiai in treno verso Monaco. A un certo punto si aprirono le porte del compartimento. Entrò un uomo in uniforme e ci chiese i biglietti. Il terrore che vidi sul volto di un'anziana donna mi fece capire che non avevo bisogno di altro per comprendere la vita sotto il comunismo».

Srebrenica e la generazione del '68
La differenza fra Europa e Stati Uniti, secondo Bawer, sta nel fatto che «in America ci sentiamo obbligati a fare qualcosa contro i Milosevic del mondo. Cos'altro può spiegare l'alacrità con la quale abbiamo rinunciato alla sicurezza dell'isolazionismo nel 1941 per batterci contro il fascismo in ogni luogo? L'ossessione per il male della guerra e non per il male della tirannia ci dimostra che la generazione del '68 ha risposto alla Guerra fredda con una postura di equivalenza morale. Il problema dell'Europa non è l'islam, ma l'Europa stessa, la sua passività autodistruttiva, la sua delicatezza contro la tirannia e la sua inclinazione all'appeasement. Mentre era in corso l'invasione irachena, io pensavo a Srebrenica». Srebrenica, la piccola enclave musulmana massacrata dagli sgherri di Slobo, mentre dall'alto della collina i soldati olandesi dell'Onu assistevano all'eccidio inermi. In trance, proprio nello stesso modo in cui sarebbero rimasti a guardare il corpo martoriato di Theo van Gogh, pugnalato a morte in una strada di Amsterdam, da un giovane islamico che si era presentato così sul giornaletto della scuola: «Salve ragazzi, mi chiamo Mohammed Bouyeri».





Nessun commento: