martedì 12 dicembre 2006

QUANDO IL GRIDO ALLA VITA VIENE SOFFOCATO

"LA MALATTIA MI HA DATO PIU? DI QUELLO CHE MI HA TOLTO"

Sono parole dette da un malato, da un medico che a 39 anni ha scoperto di essere affetto da una grave malattia.
Proprio il limite della malattia gli ha dato la capacita' di guardare la realta' e gli altri con maggior attenzione con maggior umanita'
Tutti ci vogliono far credere che solo determinate condizioni danno la possibilita' di vivere la vita con dignita' il dott.Mario Melazzini ci testimonia che in ogni condizione e' possibile vivere con pienezza .(chi volesse l'articolo integrale mi contatti via mail)
Dottor vita


Tempi num.47 del 07/12/2006
«La Sla mi ha dato più di quel che mi ha tolto». Parla Mario Melazzini, medico che ha scoperto su di sé che «inguaribile non significa incurabile» di Boffi Emanuele

Quando Melazzini scoprì di essere diventato un paziente reagì distaccandosi dagli affetti, immergendosi nel lavoro, pensando, infine, «di farla finita». S'informò su Dignitas, l'associazione che aiuta a morire dolcemente, «una cosa squallida». Poi, ad un certo punto, anziché chiedersi che cosa la malattia gli stesse togliendo, si pose il quesito opposto: «Cosa mi dà questa malattia? Per certi versi, ora, mi sento più sano. Mi rimane la testa. E per fortuna questa è ancora una professione che si fa con la testa. Non sempre, certo, esistono anche colleghi che lavorano coi piedi, ma diciamo che la malattia mi ha dato più di quel che mi ha tolto». I tuttologi e i "piccologi"Tra le rinunce elenca il sollievo di un colpo di tosse, «perché ogni qual volta che ti viene il riflesso è un dramma». I giri in bicicletta, le passeggiate in montagna, il caffè, l'inghiottire la saliva. Cosa gli ha dato? "Mi ha fatto scendere dal piedistallo su cui stavo. Dicono che alle porte del Paradiso c'è una lunga fila di gente che, ordinata, attende di presentare i documenti a san Pietro per entrare. Di tanto in tanto arriva uno tutto trafelato vestito con un lungo camice bianco. Si fa spazio, salta la fila e, incurante del santo, s'infila nell'uscio. Chi lo vede per la prima volta rimane sbigottito. Non san Pietro: "Non fateci caso, è nostro Signore che si crede un medico"». Oggi i malati che si presentano davanti al dottor Melazzini si sentono guardati in modo diverso: «Se il rapporto medico-paziente è basato su un contratto in cui si stipula che tutto dipende dalla guarigione, allora la sconfitta è sicura. Perderà sia l'uno sia l'altro perché esistono limiti invalicabili imposti dal male». Tuttavia inguaribile non è sinonimo di incurabile. «Una volta fra i medici c'erano i tuttologi, oggi ci sono i "piccologi". La medicina si fa sempre più tecnica, più specialistica con il rischio di perdere di vista il tutto». Il tutto non è la malattia, «è il malato». «Il paziente vuole guarire, ma soprattutto vuole essere "preso in carico", cioè vuole che qualcuno di prenda cura di lui, condivida la sua situazione. È una vicenda ben diversa dal spiegargli i suoi diritti». Scriveva Hannah Arendt che gli uomini muoiono, ma non sono fatti per morire. Sono creati per incominciare. Melazzini dice che, quando non avrà più fiato per esprimersi, ricomincerà «da qualche altra parte. Non so come, ma ricomincerò».

Perché l'informazione è caduta in ginocchio davanti all'icona Welby Tempi num.47 del 07/12/2006


Ogni storia postmoderna ha la sua icona. Certe immagini hanno fatto il giro del mondo e continuano a funzionare. Dal padre al capezzale del figlio malato di Aids alla madre algerina simbolo delle vittime dell'islamismo. Dal cadavere del Che ritratto come un Cristo del Mantegna ai corpi rinsecchiti dei bimbi africani. Ce ne sono però alcune che, come certi pesci, puzzano dalla testa. Sono quelle mendaci, ideologiche, pretesche. Sono le immagini che, massaggiate dalla prosa sentimentale, si trasformano in santini. Come quella del povero Welby. L'avete vista - no? - l'immagine di un uomo dal corpo pietrificato e dal volto impassibile. E le avete lette - no? - le prose dolciastre a sostegno di «un gesto d'amore che ponga fine al suo calvario». Cosa rispondere a questa iconografìa zuccherina? Che se credete che questo sia amore, fatelo, staccategli la spina e non se ne parli più. Cristo, per amore, è andato in croce. Pannella, per amore, non può andare in galera (che poi scatta il sathiagra radicale e, subito dopo, la grazia presidenziale)?La realtà è che su 5 mila italiani malati di Sla ce n'è uno solo che fa scalpore. E fa scalpore, lo sappiamo, perché rosapugnoni e mediapugnanti hanno eletto Welby a testimonial della causa dell'eutanasia. E che si dice degli altri 4.999, che desiderano ardentemente vivere, che lottano come leoni (il caso di Carlo Marongiu è da manuale) e che hanno manifestato davanti al parlamento di Roma per chiedere un'assistenza sanitaria migliore? Niente. Non se li fila nessuno. Il che significa che siamo davvero alla frutta. Com'è il ritornello in questi casi? «Tu non lo faresti, ma perché vuoi impedire agli altri di farlo?». Rispondiamo: scusate, ma la vostra è un'idea di libertà che prima ancora della democrazia (dove ognuno deve poter esprimere e difendere le proprie convinzioni) uccide l'appartenenza a un mondo comune. Perché, si capisce, se io non ho torto ma gli altri hanno sempre ragione anche quando potrebbero avere torto, non c'è più dialogo possibile, non c'è più mondo comune, non c'è più altra legge che l'anarchia. Infine, non occorre essere cattolici per ricordare, come molto opportunamente ha ricordato monsignor Rino Fisichella, che è inconcepibile la pretesa di prendere spunto da un caso per fare una legge. Altrimenti si dovrebbe dire che le leggi devono seguire non la giustizia, ma chi grida più forte. Cioè chi ha più potere.

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