Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato". Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci - su ogni bambino, anche su quello non ancora nato.
Il Signore mi ha detto: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato"". Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Una volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell'incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d'Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. Siccome il re era la personificazione di quel popolo, la sua intronizzazione era vissuta come un atto solenne di adozione da parte di Dio, nel quale il re veniva, in qualche modo, coinvolto nel mistero stesso di Dio. Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l'espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d'amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso, Dio da Dio, si è fatto uomo. A Lui il Padre dice: "Tu sei mio figlio". L'eterno oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. Dio è così buono da rinunciare al suo splendore divino e discendere nella stalla, affinché noi possiamo trovarlo e perché così la sua bontà tocchi anche noi, si comunichi a noi e continui ad operare per nostro tramite. Questo è Natale: "Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato". Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci - su ogni bambino, anche su quello non ancora nato.
Ascoltiamo una seconda parola della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del profeta Isaia: "Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse" (9, 1). La parola "luce" pervade tutta la liturgia di questa Santa Messa. È accennata nuovamente nel brano tratto dalla lettera di san Paolo a Tito: "È apparsa la grazia" (2, 11). L'espressione "è apparsa" appartiene al linguaggio greco e, in questo contesto, dice la stessa cosa che l'ebraico esprime con le parole "una luce rifulse": l'"apparizione" - l'"epifania" - è l'irruzione della luce divina nel mondo pieno di buio e pieno di problemi irrisolti. Infine, il Vangelo ci racconta che ai pastori apparve la gloria di Dio e "li avvolse di luce" (Lc 2, 9). Dove compare la gloria di Dio, là si diffonde nel mondo la luce. "Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre", ci dice san Giovanni (1 Gv 1, 5). La luce è fonte di vita.
Ma luce significa soprattutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore, emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme è apparsa la grande luce che il mondo attende. In quel Bimbo giacente nella stalla, Dio mostra la sua gloria - la gloria dell'amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell'amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, "li ha avvolti di luce". Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità - la bontà verso gli altri, l'attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi - da Paolo ed Agostino fino a san Francesco e san Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa di Calcutta - vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino.
Insieme con l'albero di Natale, i nostri amici austriaci ci hanno portato quest'anno anche una piccola fiamma che avevano acceso a Betlemme, per dirci: il vero mistero del Natale è lo splendore interiore che viene da questo Bambino. Lasciamo che tale splendore interiore si comunichi a noi, che accenda nel nostro cuore la fiammella della bontà di Dio; portiamo tutti, col nostro amore, la luce nel mondo! Non permettiamo che questa fiamma luminosa accesa nella fede si spenga per le correnti fredde del nostro tempo! Custodiamola fedelmente e facciamone dono agli altri! In questa notte, nella quale guardiamo verso Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa' che lì rifulga la tua luce! Fa' che lì arrivi la pace!
Con il termine "pace" siamo giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato "Principe della pace". Del suo regno si dice: "La pace non avrà fine". Ai pastori si annuncia nel Vangelo la "gloria di Dio nel più alto dei cieli" e la "pace in terra...". Una volta si leggeva: "...agli uomini di buona volontà"; nella nuova traduzione si dice: "...agli uomini che egli ama". Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono persone singole - Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna ecc. Ma ci sono anche due gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, i cosiddetti re magi. Soffermiamoci in questa notte sui pastori. Che specie di uomini sono? Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l'Annuncio dell'angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità - disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue. Ma alcune persone hanno chiuso la loro anima; il suo amore non trova presso di loro nessun accesso. Essi credono di non aver bisogno di Dio; non lo vogliono. Altri che forse moralmente sono ugualmente miseri e peccatori, almeno soffrono di questo. Essi attendono Dio. Sanno di aver bisogno della sua bontà, anche se non ne hanno un'idea precisa. Nel loro animo aperto all'attesa la luce di Dio può entrare, e con essa la sua pace. Dio cerca persone che portino e comunichino la sua pace. Chiediamogli di far sì che non trovi chiuso il nostro cuore. Facciamo in modo di essere in grado di diventare portatori attivi della sua pace - proprio nel nostro tempo.
Tra i cristiani la parola pace ha poi assunto un significato tutto speciale: è diventata una parola per designare la comunione nell'Eucaristia. In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all'Eucaristia costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella "casa del pane". Cristo si dona a noi e ci dona con ciò la sua pace. Ce la dona perché noi portiamo la luce della pace nel nostro intimo e la comunichiamo agli altri; perché diventiamo operatori di pace e contribuiamo così alla pace nel mondo. Perciò preghiamo: Signore, compi la tua promessa! Fa' che là dove c'è discordia nasca la pace! Fa' che emerga l'amore là dove regna l'odio! Fa' che sorga la luce là dove dominano le tenebre! Facci diventare portatori della tua pace! Amen.
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