lunedì 25 dicembre 2006

PERCHE' DIO SI E' FATTO UOMO

Predicatore del Papa: perché Dio si è fatto uomo?

Commento di padre Raniero Cantalamessa, OFMCap., alla liturgia del giorno di Natale



PERCHE’ DIO SI E’ FATTO UOMO?




Andiamo diritti al vertice del Prologo di Giovanni che costituisce il vangelo della terza Messa di Natale, detta “del giorno”. Nel Credo c’è una frase che in questo giorno si recita in ginocchio: “Per noi uomini e per la nostra salvezza, discese dal cielo”. È la risposta fondamentale e perennemente valida alla domanda: “Perché il Verbo si è fatto carne?”, ma ha bisogno di essere compresa e integrata. La domanda infatti rispunta sotto altra forma: E perché si è fatto uomo “per la nostra salvezza”? Solo perché noi avevamo peccato e avevamo bisogno di essere salvati? Un filone della teologia, inaugurato dal beato Duns Scoto, teologo francescano, scioglie l'incarnazione da un legame troppo esclusivo con il peccato dell’uomo e le assegna, come motivo primario, la gloria di Dio: “Dio decreta l'incarnazione del Figlio per avere qualcuno, fuori di sé, che lo ami in modo sommo e degno di sé”.

Questa risposta, pur bellissima, non è ancora definitiva. Per la Bibbia la cosa più importante non è, come per i filosofi greci, che Dio sia amato, ma che Dio “ama” e ama per primo (cf. 1 Gv 4, 10.19). Dio ha voluto l'incarnazione del Figlio non tanto per avere qualcuno fuori fuori della Trinità che lo amasse in modo degno di sé, quanto piuttosto per aver qualcuno da amare in modo degno di sé, cioè senza misura!

A Natale, quando viene alla luce Gesù Bambino, Dio Padre ha qualcuno amare in misura infinita perché Gesù è uomo e Dio insieme. Ma non solo Gesù, anche noi insieme con lui. Noi siamo inclusi in questo amore, essendo diventati membra del corpo di Cristo, “figli nel Figlio”. Ce lo ricorda lo stesso Prologo di Giovanni: “A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio”.

Cristo è dunque disceso dal cielo “per la nostra salvezza”, ma quello che l’ha spinto a scendere dal cielo per nostra salvezza, è stato l’amore, nient’altro che l’amore. Natale è la prova suprema della “filantropia” di Dio come la chiama la Scrittura (Tt 3,4), cioè, alla lettera, del suo amore per gli uomini. Questa risposta al perché dell’incarnazione era scritta a chiare nella Scrittura, dallo stesso evangelista che ha scritto il Prologo: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3, 16).

Quale deve essere allora la nostra risposta al messaggio del Natale? Il canto natalizio Adeste fideles dice: “Come non riamare uno che ci ha amato tanto?”. Si possono fare tante cose per solennizzare il Natale, ma la cosa più vera e più profonda ci è suggerita da queste parole. Un pensiero sincero di gratitudine, di commozione e di amore per colui che è venuto ad abitare in mezzo a noi, è il dono più squisito che possiamo dare al Bambino Gesù, l’ornamento più bello intorno al suo presepio.

Per essere sincero, però l’amore ha bisogno di tradursi in gesti concreti. Il più semplice e universale – quando è pulito e innocente – è il bacio. Diamo dunque un bacio a Gesù, come si desidera fare con tutti i bambini appena nati. Ma non accontentiamoci di darlo solo alla sua statuina di gesso o di porcellana, diamolo a un Gesù bambino in carne ed ossa. Diamolo a un povero, a un sofferente e lo abbiamo dato a lui! Dare un bacio, in questo senso, significa dare un aiuto concreto, ma anche una parola buona, un incoraggiamento, una visita, un sorriso, a volte, perché no?, un bacio reale. Sono le luci più belle che possiamo accendere nel nostro presepio.



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