mercoledì 27 dicembre 2006

ROSETTA BRAMBILLA

"L'andare agli altri liberamente,il condividere un po' della loro vita e il mettere in comune un po' della nostra,ci fa scoprire una cosa sublime e misteriosa
E' la scoperta del fatto che proprio perche' li amiamo non siamo noi a farli contenti;e che neppure la piu' perfetta societa',l'organizzazione legalmente piu' salda e avveduta.la ricchezza piu' ingente,la salute di ferro,la bellezza piu' pura, la civilta' piu' educata li potra' mai fare contenti.
E' un ALTRO che li puo' fare contenti
Chi e' la ragione di tutto?DIO"(don GIUSSANI)(dal senso della caritativa)
Qui sotto sono riportati tre articolo che raccontano come queste parole prese sul serio da alcuni nostri amici abbiano generato un opera
.





Belo Horizonte - Quattro ragazzini ,con la camicia aperta e i calzoncini corti. La faccia giá segnata e insolente . Pochi metri più avanti due uomini su una macchina ferma a un angolo, a “sorvegliare”e a controllare il traffico di droga, crack soprattutto.I ragazzi guadagnano 100 reais al giorno, centomila lire, in un paese dove il salario minimo è di 180 reais al mese.
Siamo ai margini del quartiere “Primeiro de maio”, 50mila abitanti, un morto ammazzato al giorno, periferia nord di Belo Horizonte, terza città del Brasile. La strada dei giovani pusher sfocia in un grande spiazzo dove, con capitali olandesi, francesi e americani, è stato costruito un grande ipermercato. Sulle grandi insegne si legge: “lojas americanas”, negozi americani.
Le contraddizioni del Brasile restano identiche da decenni. Nello spazio di pochi metri, il degrado sociale e il supermercato , le favelas sulle colline e i grattacieli nella valle di fronte, la “vasca”per lo shopping di lusso nel centro della citta e i negozi di ogni tipo di merce nelle periferie. Qui, come si vive la globalizzazione ?
Una ragazzina di 16 anni, alla scuola municipale della favela Santa Maria, spiega: “Ne abbiamo sentito parlare tantissimo, ma nessun professore l’ha spiegata” La ragazzina, bella, mulatta, frequenta, il sabato mattina, un corso preparatorio che la porterà a diventare una studentessa lavoratrice: formazione professionale piu un lavoro. A consigliare e ad assistere lei e i suoi amici, tutti ragazzi che abitano nelle favelas (il 25 per cento della popolazione brasiliana vive in queste baracche) sono italiani e brasiliani dell’AVSI ( Associazione volontari per il servizio internazionale).
La storia dell AVSI parte da Belo Horizonte in Brasile. Nel 1964 ci arriva un sacerdore milanese, di porta Romana, Pierluigi Bernareggi. Nel 1974 si ferma Rosa Brambilla . Poi arrivano Livio e Anna Michelini. Oggi a dirigere l AVSI c ‘è Enrico Novara, un ingegnere. I Michelini sono tornati in Italia, don Pigi e la Rosetta abitano proprio nel “Primeiro de maio”. La storia di queste persone, quello che hanno realizzato e quello che continuano a fare, è un esempio su cui dovrebbero meditare in molti, quando si parla di “risolvere i problemi del mondo”.
Il sociologo Roland Robertson spiega la globalizazzione come una “compressione del mondo” o la “coscienza dell’unitarietà del mondo”. Piu brutalmente, il finanziere George Soros ha recentemente detto che la globalizzazione è soprattutto “spostamento di capitali in tutto il pianeta”. Non si è ancora capito bene che cosa della globalizzazione pensino Agnoletto, Casarini, Ramon Mantovani e Bertinotti. Ma tutti hanno una loro tesi , una loro spiegazione, un pò astratta, per difendere i “dannati della terra” dalla nuova svolta epocale portata dall’economia che corre alla velocità dell’elettronica. Forse dovrebbero ascoltare Rosetta Brambilla e i suoi amici.
Quando arriva a Belo Horizonte nel 1974, Rosetta lavora di notte all’ospedale come infermiera (il suo mestiere) e di giorno va a trovare le famiglie dei favelados. Nel suo “dna” culturale e umano c’è il concetto di carità che ha imparato da don Luigi Giussani: “Lo spettacolo della condivisione”come spesso dice il prete lombardo. Giussani non si è fermato alle immagini, ha spiegato: “Quando l’impegno con il bisogno non rimane pura occasione di reazione compassionevole, ma diventa carità, cioè coscienza di appartenenza a una unità più grande, imitazione nel tempo del mistero infinito delle misericordia di Dio, allora l’uomo diventa per l’ altro uomo compagno di cammino. Diventa un cittadino nuovo”.
Rosa Brambilla segue questo principio. Non protesta, non propone rivoluzioni, non va ad arringare i favelados, ma li aiuta direttamente nella favela, condivide la loro condizione. Spiega che, persino in una baracca, si può difendere la propria dignità di uomini, di persone. Si possono allargare le strade, dipingere le pareti, organizzarsi per curare i bambini, far arrivare la luce elettrica, il gas, l’acqua.
Rosetta e i suoi amici fotografano le favelas di Belo Horizonte dall’alto. Ridisegnano le stradine, coinvolgono i favelados. Quando si tenta un primo intervento di risanamento nella favela di Nossa Senhora Aparecida, quelli dell’AVSI vengono scambiati per dei matti o addirittura per gente che non vuole cancellare i luoghi della miseria. Da destra e da sinistra, la favela è dipinta come un problema. Loro rispondono, con un paradosso, che la favela “non è un problema, è una soluzione”. E i favelados scelgono Rosetta e i suoi amici. Spacciatori, delinquenti, prostitute, emarginati di ogni tipo si mettono a difendere le loro baracche , a renderle per quanto possibile piu confortevoli. Avviene il miracolo, talvolta capita. Dieci anni fa , nei mesi di pioggia, la favela si sgretolava, rotolava dalle colline. E’ storia passata. Oggi Nossa Senhora Aparecida è diventata un modello di risanamento adottato dal comune di Belo Horizonte e in tante altre città del Brasile.
In definitiva, si potrebbe dire, la carità cristiana batte tutti i piani regolatori con le ideologie annesse e connesse. Ma sarebbe troppo semplice liquidare i problemi con l’applicazione del principio della caritativa.
In realtà, da quell’esperienza di umanità, di condivisione dei problemi , nasce lentamente una autentica impresa, che non rinnega mai il suo punto di partenza, ma adotta tutti i parametri professionali necessari per affrontare la realtà del Brasile. In questi anni il paese è cresciuto, il suo Pil è l’ottavo nel mondo, ma nella graduatoria ONU dello sviluppo umano resta al sessantanovesimo posto. L’AVSI che si trasforma impresa ha bisogno di tecnici, ingegneri, medici, urbanisti, professionisti in ogni settore. Dopo il risanamento delle favelas, ecco i corsi di formazione professionale e di ricerca di lavoro per i ragazzi, poi i programmi di educazione infantile. La Rosetta si schernisce e dice: “Le cose vengono cosi, da sole. E inutile fare programmi”. Ma in realtà, lei e i suoi amici hanno creato un’opera funzionante, che ha un grande valore sociale ed economico.
Nella realtà di violenta modernizzazione brasiliana, Rosa Brambilla e quelli dell’AVSI cominciano ad aprire consultori medici, poi fondano asili . Enrico Novara spiega la difficolta dei rapporti con le autorita locali: “Vivi con donazioni. Quando il comune si accorge della bontà di un progetto, ti aiuta con un terzo del costo giornaliero per un bambino. Ma il fatto importante è che le autorità civili si sono accorti della bontà di questi progetti, della loro funzionalità”.
Oggi Rosetta Brambilla dirige tre asili: “Jardin felicidade”, “Dora Ribeiro”, Ëtelvina Caetano de Jesus”. In tutto sono 550 bambini, che vivono nelle favelas, con una madre sempre certa e un padre che, in Brasile, piu che incerto, è saltuario o sconosciuto. Le madri portano i bambini all’asilo e qui ci sono volontarie italiane, brasiliane che li fanno mangiare, li lavano, li accudiscono e alla sera li restituiscono alle madri. Sabato 11 agosto, proprio nell’asilo dove stazionano i giovani pusher della droga si è tenuta la “Festa del peso’: medici universitari guardano lo sviluppo dei piccoli, li pesano li misurano, danno consigli alle madri. Poi fanno una festa.
In tutti questi anni, Rosetta Brambilla ha sentito parlare di “teologia della liberazione”, di marxismo latino-americano, di castrismo, di guevarismo, di “terapia choc” capitalista e adesso di globalizzazione e di antiglobalizzazione. Lei insieme all’AVSI ha creato un’opera che funziona ed riconosciuta da tutti. Bisognerebbe fare un calcolo approssimativo di quante persone ha salvato la Rosetta in confronto ai “redentori ideologici”e ai pianificatori di tutto il mondo.
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Rosetta Brambilla
Un Italiana all'estero
di
(Riccardo Piol)


La sera del 6 settembre, a Roma Rosetta Brambilla ha ricevuto il premio promosso dal Ministero per gli Italiani nel mondo per la sua opera all’interno delle favelas brasiliane: 35 anni spesi a costruire asili, dispensari, corsi di formazione e di igiene e un centro per bambini abbandonati
Con l’ex sindaco di New York e il proprietario della catena alberghiera inglese Forte. Con Rudolf Giuliani e lord Charles Forte c’è anche il nome di Rosetta Brambilla tra i dieci “illustri emigrati” insigniti del Premio “Italyani”, promosso dal Ministero per gli Italiani nel mondo e consegnato con una grande cerimonia svoltasi il 6 settembre nella scenografica cornice del Vittoriano a Roma. Ad applaudire questi dieci “italyani” c’erano volti noti della televisione, come Pippo Baudo e Maria Grazia Cucinotta, le più alte cariche istituzionali del Paese, tanta gente comune e le troupe di Rai International, pronte a rimandare, a oltre 1.600.000 di nostri immigrati e oriundi sparsi per il mondo, le immagini di questa iniziativa «nata - come ha spiegato il promotore, il ministro Tremaglia - per valorizzare gli italiani all’estero che onorano il nostro Paese con traguardi apprezzati non solo in Italia, ma in tutto il mondo».
Rudolf Giuliani è stato primo cittadino di New York ed è apprezzato in tutto il mondo per il grande senso di responsabilità con cui ha guidato la città dopo i fatti dell’11 settembre; Charles Forte ha costruito un impero alberghiero. E Rosetta Brambilla? In oltre vent’anni di vita nelle favelas del Brasile la sua presenza ha voluto dire aiuto e speranza per migliaia di persone, soprattutto mamme e bambini che in questi anni sono passati per gli asili nati dalla creatività e dalla passione per l’uomo di questa brianzola ormai poco italiana e molto brasiliana.
Classe 1943, di Bernareggio, in Brianza, Rosetta comincia a lavorare da giovanissima in un’azienda di ceramica. Incontra don Giussani e l’allora nascente Comunione e Liberazione e comincia ad andare in Bassa con i tanti che in quei primi anni del movimento facevano caritativa con le famiglie povere del sud di Milano.
Poi nel 1967 fa la scelta della sua vita: parte per il Brasile. Vive tre anni a San Paolo al servizio di famiglie povere e favelados. Dal ’75 al ’76 è in Amazzonia, dove lavora come infermiera e perde in un incidente di lavoro la funzionalità di due dita della mano sinistra. Nel 1978 si trasferisce a Belo Horizonte. Da allora abita nella favela 1° de Maio e dalla sua presenza sono nati asili che oggi ospitano centinaia di bambini. Di loro e delle loro mamme viene da pensare che molti non sappiano che Rosetta è italiana - sua sorella dice che «ormai è talmente brasiliana nella testa e nel cuore che quando viene in Italia non vede l’ora di tornare in Brasile» -, sanno però che vuole loro un bene dell’anima, che li guarda come nessuno li ha guardati mai. Sanno che Rosetta è così perché ha incontrato Cristo, sanno che li tratta così perché è stata trattata così e perché ha un gruppo di amici attorno a sé.
Infatti, da quando è sbarcata in terra brasiliana, Rosetta non si è mai stancata di incontrare e aiutare tutte le persone che ha incontrato lungo il suo cammino. Un cammino faticoso, passato attraverso gli anni della teologia della liberazione, delle crisi che hanno colpito il Brasile e della povertà che non sembra mai finire di crescere. Un cammino costellato di opere, a iniziare dalla pastorale delle favelas nei primi anni ’80, che riuniva comunità impegnate nella promozione dei diritti degli abitanti delle favelas, e dalla prima legge pro-favelas, imitata in tutto il Brasile: il favelado è riconosciuto come cittadino e non può esser cacciato. E poi scuole, dispensari, corsi di formazione e di igiene. Fino ad arrivare ai giorni nostri dove, insieme ad Avsi, Rosetta ha aperto tre asili, un doposcuola e un centro per bimbi abbandonati. Oggi gli amici con cui lavora, quella che in termini tecnici si direbbe la sua équipe, sono settantatre: italiani e soprattutto brasiliani, impegnati con gli oltre 800 bambini che popolano chiassosi gli asili di Belo Horizonte. A loro ripete sempre una sola regola ferra: «Dovete guardare ciascuno di questi bambini come fosse l’unico al mondo». E loro, i bambini, se solo potessero, darebbero a Rosetta e ai suoi amici un premio ogni volta che li incontrano per le stanze o nel cortile. Darebbero tutto per quella signora che nella sera di Roma era un po’ impacciata tra tutta quella gente famosa. Darebbero tutto. E ogni volta che la vedono l’abbracciano e le sorridono perché è tutto quello che hanno ed è anche il segno di tutto quello che Rosetta desidera per loro.


Tracce N. 2 > febbraio 2005
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Brasile
Costruire un pezzo di mondo nuovo
(Paola Bergamini)


Da Bernareggio a Belo Horizonte. Più di quarant’anni vissuti nelle favelas brasiliane. Una comunione che opera. -___Tracce N. 2 > febbraio 2005
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Brasile
Costruire un pezzo di mondo nuovo
Paola Bergamini
Da Bernareggio a Belo Horizonte. Più di quarant’anni vissuti nelle favelas brasiliane. Una comunione che opera. «Vivere è affermare Cristo»

Milano 1960. «Rosetta, domenica c’è una festa a casa di Lucia. Vieni? Si balla». Perché no? Rosetta, diciassette anni, lavora in fabbrica come decoratrice di porcellane, e a fine settimana ha voglia di divertirsi. Di soldi poi in tasca ne ha pochi perché lo stipendio lo dà in casa. Per sé solo 200 lire alla settimana… Giusto il cinema ogni tanto. Accetta. La festa è come le altre, si scherza, si balla. Rosetta è però colpita da un gruppetto. Non capisce perché, ma hanno un modo attraente di stare insieme, le sembra che ballino persino in modo diverso. Incuriosita gli si avvicina, ci parla. Si sta bene con loro. Salta fuori che sono amici di Antonio che lei conosce bene, che fanno parte di Gs. «Ma cosa è Gs?». «Domenica andiamo a fare una gita in montagna? Ti aspettiamo. Il ritrovo è ai piedi della Grigna. Un passo da casa tua. Non sei mica di Bernareggio? Vieni». In funivia, seduta accanto ad Antonio gli aveva chiesto: «Cosa avete di diverso?». «È Cristo, ciò che ci muove è Cristo. In ogni azione: che sia il ballare o l’andare in montagna». «Mi interessa, voglio stare con voi». «Ci vediamo a messa in Santo Stefano». Così di colpo la vita era cambiata. L’incontro con il don Giuss, la Scuola con lui in via Sant’Antonio, mangiare insieme e poi via in Bassa. Ogni istante diventa attraente. E Rosetta per potersi pagare treno, pullman, tram per arrivare a Milano e raggiungere questa compagnia nuova si trova il secondo impiego: tre sere alla settimana lavora in una ditta di gazzosa.

Lo strappo della divisione
Nel ’62 i primi partono per il Brasile e le decime le inviano là: è il modo concreto per stare vicino agli amici lontani che costruiscono un pezzetto di mondo nuovo, e con la caritativa è il modo per guardare la realtà senza manipolarla. A questo li educa il don Giuss: ad appassionarsi a Cristo. Rosetta, a un certo punto, capisce che vuole abbracciare tutto il mondo: vuole andare in missione. Ne parla con Giussani che le indica le Piccole Suore del Martinengo. Poi nel ’67 la partenza per il Brasile a raggiungere Pigi, Nicoletta, Luisa, Maria Rita e gli altri. Ma tra alcuni di loro è già in atto la frattura: l’abbandono della Chiesa in favore di una scelta marxista che doveva rispondere, secondo loro, al desiderio della costruzione di un mondo nuovo. Per Rosetta è uno strappo: quelli che erano più madre e padre dei suoi stessi genitori rinnegavano, anzi dicevano che la sua era una posizione infantile che bisognava cambiare. L’Umberto aveva attraversato l’Oceano proprio per spiegarglielo e riportarla a casa, per indicarle “la strada giusta”. Ma c’erano le lettere di Giussani, che mai l’aveva lasciata sola: «Cristo è ciò per cui tutto è fatto, e Cristo è il perché della tua vita: a lui dedicati con devozione totale, e allora anche gli sbagli degli uomini e le incomprensioni con cui ti possono trattare diventeranno pietre per la edificazione d’una tua grande anima». Umberto era ripartito e lei era stata lì con quelli che lui definiva sogni giovanili e lei fedeltà al Signore, unico motivo per cui valeva la pena spendere la propria vita.

Comunicare sé
Nel ’70 il rientro in Italia e la decisione di entrare nel Gruppo Adulto. E dentro questo desiderio di abbracciare il mondo. Così, nel ’72 riparte per il Sudamerica. Prima a San Paolo, poi a Macapà, nel cuore dell’Amazzonia, e infine nel ’78 nelle favelas di Belo Horizonte con Pigi Bernareggi. Sempre per costruire un pezzetto di mondo nuovo. E proprio a Belo Horizonte, seduta in strada su blocchi di cemento, mentre insegna catechismo ai bambini, le viene l’idea: ci vuole un luogo per tutti quei bambini abbandonati per la maggior parte della giornata, un luogo per loro, ma anche per le loro mamme, dove essere guardati come persone. E lì, all’aperto, sotto un telo cerato, dà vita a un asilo con l’aiuto di due ragazze della favela. Di giorno in giorno i bambini aumentano e dopo qualche anno riescono a prendere una baracca con i soldi… della mamma di Rosetta, che l’ha sempre sostenuta. Oggi, attraverso Avsi e le adozioni a distanza, i bambini seguiti sono più di 700, dai due mesi ai 15 anni. Alcuni educatori sono stati a loro volta alunni. A tutti Rosetta ripete che educare è comunicare sé in ogni gesto della giornata: dall’apparecchiare la tavola a insegnare a leggere, perché i bambini guardano dove tu guardi. Riverbero di quello che anni prima Giussani le aveva insegnato: vivere è affermare Cristo. Sempre.
Tracce N. 2 > febbraio 2005
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Brasile
Costruire un pezzo di mondo nuovo
(Paola Bergamini)

Da Bernareggio a Belo Horizonte. Più di quarant’anni vissuti nelle favelas brasiliane. Una comunione che opera. «Vivere è affermare Cristo»

Milano 1960. «Rosetta, domenica c’è una festa a casa di Lucia. Vieni? Si balla». Perché no? Rosetta, diciassette anni, lavora in fabbrica come decoratrice di porcellane, e a fine settimana ha voglia di divertirsi. Di soldi poi in tasca ne ha pochi perché lo stipendio lo dà in casa. Per sé solo 200 lire alla settimana… Giusto il cinema ogni tanto. Accetta. La festa è come le altre, si scherza, si balla. Rosetta è però colpita da un gruppetto. Non capisce perché, ma hanno un modo attraente di stare insieme, le sembra che ballino persino in modo diverso. Incuriosita gli si avvicina, ci parla. Si sta bene con loro. Salta fuori che sono amici di Antonio che lei conosce bene, che fanno parte di Gs. «Ma cosa è Gs?». «Domenica andiamo a fare una gita in montagna? Ti aspettiamo. Il ritrovo è ai piedi della Grigna. Un passo da casa tua. Non sei mica di Bernareggio? Vieni». In funivia, seduta accanto ad Antonio gli aveva chiesto: «Cosa avete di diverso?». «È Cristo, ciò che ci muove è Cristo. In ogni azione: che sia il ballare o l’andare in montagna». «Mi interessa, voglio stare con voi». «Ci vediamo a messa in Santo Stefano». Così di colpo la vita era cambiata. L’incontro con il don Giuss, la Scuola con lui in via Sant’Antonio, mangiare insieme e poi via in Bassa. Ogni istante diventa attraente. E Rosetta per potersi pagare treno, pullman, tram per arrivare a Milano e raggiungere questa compagnia nuova si trova il secondo impiego: tre sere alla settimana lavora in una ditta di gazzosa.

Lo strappo della divisione
Nel ’62 i primi partono per il Brasile e le decime le inviano là: è il modo concreto per stare vicino agli amici lontani che costruiscono un pezzetto di mondo nuovo, e con la caritativa è il modo per guardare la realtà senza manipolarla. A questo li educa il don Giuss: ad appassionarsi a Cristo. Rosetta, a un certo punto, capisce che vuole abbracciare tutto il mondo: vuole andare in missione. Ne parla con Giussani che le indica le Piccole Suore del Martinengo. Poi nel ’67 la partenza per il Brasile a raggiungere Pigi, Nicoletta, Luisa, Maria Rita e gli altri. Ma tra alcuni di loro è già in atto la frattura: l’abbandono della Chiesa in favore di una scelta marxista che doveva rispondere, secondo loro, al desiderio della costruzione di un mondo nuovo. Per Rosetta è uno strappo: quelli che erano più madre e padre dei suoi stessi genitori rinnegavano, anzi dicevano che la sua era una posizione infantile che bisognava cambiare. L’Umberto aveva attraversato l’Oceano proprio per spiegarglielo e riportarla a casa, per indicarle “la strada giusta”. Ma c’erano le lettere di Giussani, che mai l’aveva lasciata sola: «Cristo è ciò per cui tutto è fatto, e Cristo è il perché della tua vita: a lui dedicati con devozione totale, e allora anche gli sbagli degli uomini e le incomprensioni con cui ti possono trattare diventeranno pietre per la edificazione d’una tua grande anima». Umberto era ripartito e lei era stata lì con quelli che lui definiva sogni giovanili e lei fedeltà al Signore, unico motivo per cui valeva la pena spendere la propria vita.

Comunicare sé
Nel ’70 il rientro in Italia e la decisione di entrare nel Gruppo Adulto. E dentro questo desiderio di abbracciare il mondo. Così, nel ’72 riparte per il Sudamerica. Prima a San Paolo, poi a Macapà, nel cuore dell’Amazzonia, e infine nel ’78 nelle favelas di Belo Horizonte con Pigi Bernareggi. Sempre per costruire un pezzetto di mondo nuovo. E proprio a Belo Horizonte, seduta in strada su blocchi di cemento, mentre insegna catechismo ai bambini, le viene l’idea: ci vuole un luogo per tutti quei bambini abbandonati per la maggior parte della giornata, un luogo per loro, ma anche per le loro mamme, dove essere guardati come persone. E lì, all’aperto, sotto un telo cerato, dà vita a un asilo con l’aiuto di due ragazze della favela. Di giorno in giorno i bambini aumentano e dopo qualche anno riescono a prendere una baracca con i soldi… della mamma di Rosetta, che l’ha sempre sostenuta. Oggi, attraverso Avsi e le adozioni a distanza, i bambini seguiti sono più di 700, dai due mesi ai 15 anni. Alcuni educatori sono stati a loro volta alunni. A tutti Rosetta ripete che educare è comunicare sé in ogni gesto della giornata: dall’apparecchiare la tavola a insegnare a leggere, perché i bambini guardano dove tu guardi. Riverbero di quello che anni prima Giussani le aveva insegnato: vivere è affermare Cristo. Sempre.

Milano 1960. «Rosetta, domenica c’è una festa a casa di Lucia. Vieni? Si balla». Perché no? Rosetta, diciassette anni, lavora in fabbrica come decoratrice di porcellane, e a fine settimana ha voglia di divertirsi. Di soldi poi in tasca ne ha pochi perché lo stipendio lo dà in casa. Per sé solo 200 lire alla settimana… Giusto il cinema ogni tanto. Accetta. La festa è come le altre, si scherza, si balla. Rosetta è però colpita da un gruppetto. Non capisce perché, ma hanno un modo attraente di stare insieme, le sembra che ballino persino in modo diverso. Incuriosita gli si avvicina, ci parla. Si sta bene con loro. Salta fuori che sono amici di Antonio che lei conosce bene, che fanno parte di Gs. «Ma cosa è Gs?». «Domenica andiamo a fare una gita in montagna? Ti aspettiamo. Il ritrovo è ai piedi della Grigna. Un passo da casa tua. Non sei mica di Bernareggio? Vieni». In funivia, seduta accanto ad Antonio gli aveva chiesto: «Cosa avete di diverso?». «È Cristo, ciò che ci muove è Cristo. In ogni azione: che sia il ballare o l’andare in montagna». «Mi interessa, voglio stare con voi». «Ci vediamo a messa in Santo Stefano». Così di colpo la vita era cambiata. L’incontro con il don Giuss, la Scuola con lui in via Sant’Antonio, mangiare insieme e poi via in Bassa. Ogni istante diventa attraente. E Rosetta per potersi pagare treno, pullman, tram per arrivare a Milano e raggiungere questa compagnia nuova si trova il secondo impiego: tre sere alla settimana lavora in una ditta di gazzosa.

Lo strappo della divisione
Nel ’62 i primi partono per il Brasile e le decime le inviano là: è il modo concreto per stare vicino agli amici lontani che costruiscono un pezzetto di mondo nuovo, e con la caritativa è il modo per guardare la realtà senza manipolarla. A questo li educa il don Giuss: ad appassionarsi a Cristo. Rosetta, a un certo punto, capisce che vuole abbracciare tutto il mondo: vuole andare in missione. Ne parla con Giussani che le indica le Piccole Suore del Martinengo. Poi nel ’67 la partenza per il Brasile a raggiungere Pigi, Nicoletta, Luisa, Maria Rita e gli altri. Ma tra alcuni di loro è già in atto la frattura: l’abbandono della Chiesa in favore di una scelta marxista che doveva rispondere, secondo loro, al desiderio della costruzione di un mondo nuovo. Per Rosetta è uno strappo: quelli che erano più madre e padre dei suoi stessi genitori rinnegavano, anzi dicevano che la sua era una posizione infantile che bisognava cambiare. L’Umberto aveva attraversato l’Oceano proprio per spiegarglielo e riportarla a casa, per indicarle “la strada giusta”. Ma c’erano le lettere di Giussani, che mai l’aveva lasciata sola: «Cristo è ciò per cui tutto è fatto, e Cristo è il perché della tua vita: a lui dedicati con devozione totale, e allora anche gli sbagli degli uomini e le incomprensioni con cui ti possono trattare diventeranno pietre per la edificazione d’una tua grande anima». Umberto era ripartito e lei era stata lì con quelli che lui definiva sogni giovanili e lei fedeltà al Signore, unico motivo per cui valeva la pena spendere la propria vita.

Comunicare sé
Nel ’70 il rientro in Italia e la decisione di entrare nel Gruppo Adulto. E dentro questo desiderio di abbracciare il mondo. Così, nel ’72 riparte per il Sudamerica. Prima a San Paolo, poi a Macapà, nel cuore dell’Amazzonia, e infine nel ’78 nelle favelas di Belo Horizonte con Pigi Bernareggi. Sempre per costruire un pezzetto di mondo nuovo. E proprio a Belo Horizonte, seduta in strada su blocchi di cemento, mentre insegna catechismo ai bambini, le viene l’idea: ci vuole un luogo per tutti quei bambini abbandonati per la maggior parte della giornata, un luogo per loro, ma anche per le loro mamme, dove essere guardati come persone. E lì, all’aperto, sotto un telo cerato, dà vita a un asilo con l’aiuto di due ragazze della favela. Di giorno in giorno i bambini aumentano e dopo qualche anno riescono a prendere una baracca con i soldi… della mamma di Rosetta, che l’ha sempre sostenuta. Oggi, attraverso Avsi e le adozioni a distanza, i bambini seguiti sono più di 700, dai due mesi ai 15 anni. Alcuni educatori sono stati a loro volta alunni. A tutti Rosetta ripete che educare è comunicare sé in ogni gesto della giornata: dall’apparecchiare la tavola a insegnare a leggere, perché i bambini guardano dove tu guardi. Riverbero di quello che anni prima Giussani le aveva insegnato: vivere è affermare Cristo. Sempre.





1 commento:

Miriam ha detto...

Bellismo!
Grazie per questa condivisione!
Buon 2007