Questa recensione del film "Alla ricerca di Nemo mi e' stata segnalata da ANTONIO mio figlio di 19 anni (DI RIFONDAZIONE COMUNISTA) molto attento alla realta'.
Di Alessandro Capriccioli
Mi capita con una certa frequenza di guardare un film, o più spesso un cartone, insieme al più grande dei miei due figli, Andrea, che ha compiuto cinque anni il giorno di primavera, e che ha conosciuto la disabilità da quando è al mondo grazie al confronto quasi quotidiano con mio fratello.E’ un’abitudine che coltiviamo con un certo compiacimento ogni fine settimana: lo vado a prendere il sabato mattina, ce ne andiamo al supermercato a scegliere quello che mangeremo insieme nel week end, portiamo il cane a fare un giretto e poi pensiamo al cartone che guarderemo insieme la sera; il che, in genere, si risolve in una disputa accesa e articolata, che finisce per essere il momento più divertente della giornata. Tuttavia qualche settimana fa, quando nei negozi è apparso il DVD di “Alla ricerca di Nemo”, ci siamo risparmiati la solita mezz’ora di concertazioni e siamo tornati a casa con pochi dubbi e con la scatola nuova di zecca nella bustina di Blockbuster.Tendo a immedesimarmi molto, forse troppo, nel ruolo di educatore che è insito nella figura del papà; ogni volta che guardo un film con Andrea non resisto alla tentazione di chiedergli se quel film ci insegna qualche cosa, o più semplicemente se se ne può trarre una morale, e di spiegargli quale sia, secondo me, il significato di quello che abbiamo appena visto insieme. Per non sbagliare, spesso mi sorprendo a prepararmi il discorsetto mentre il film è ancora in corso, col risultato che mi trovo a rifletterci per primo io stesso, molto più attentamente di quanto mi capiti quando sono da solo.
La storia del film è quella di Marlin, un pesce pagliaccio che, dopo l’aggressione di un barracuda alla propria casetta appena costruita sotto un corallo, si ritrova ad allevare da solo l’unico figlioletto superstite, Nemo per l’appunto; il piccolo è sveglio e curioso, ma è nato con una pinna atrofica, il che gli attira addosso le ansie del papà, che vorrebbe preservarlo per sempre da tutti i pericoli dell’oceano sconfinato.Ben presto per Nemo la situazione diventa intollerabile, al punto che il pesciolino, pur di dimostrare al padre di essere in grado di condurre una vita normale nonostante la pinna “fortunata”, si allontana nelle acque profonde, viene intrappolato da un pescatore subacqueo e finisce prigioniero nell’acquario di un dentista australiano.Papà Marlin si lancia coraggiosamente al suo inseguimento, ma per trovarlo dovrà egli stesso vincere le proprie insicurezze, attraversando l’oceano per arrivare all’altro capo del mondo: in questa impresa verrà aiutato da una pesciolina in cui si imbatte strada facendo, Dori, che soffre di perdita di memoria a breve termine e si dimentica continuamente dove sia e cosa stia facendo.Il piccolo Nemo, da parte sua, riceve aiuto e conforto dai pesci che incontra nell’acquario: fra questi Branchia, un pesce tropicale catturato dagli umani dopo una vita vissuta in all’insegna del pericolo e dell’intensità, nonostante sia affetto dalla medesima disabilità di Nemo. E’ proprio lui a nutrire verso il pesciolino quella fiducia che il papà, troppo apprensivo, non aveva saputo riporre in suo figlio; è grazie a lui che Nemo trova la forza di saltare fuori dall’acquario, andando incontro al padre e alla ritrovata libertà.Il salvataggio, ovviamente, va a buon fine, e tutti i pesci della storia si ritrovano felici e contenti nel gran finale in stile Disney; ma la cosa più importante è che Marlin si rende conto di aver formulato una serie di giudizi sbagliati: nei confronti di suo figlio, che riteneva incapace di condurre una vita autonoma nonostante la malformazione che lo affligge; nei confronti della smemorata Dori, che lui considerava un peso, e che invece si rivela fondamentale per il buon esito dell’avventura; nei confronti di se stesso, fino a quel momento troppo ansioso ed apprensivo per affrontare la vita con la necessaria leggerezza.
Mentre scorrevano i titoli di coda pensavo a quello che avrei detto a mio figlio: immaginavo di raccontargli quanto sia vero che anche le persone con disabilità sono esseri umani capaci di percorrere la loro strada in modo autonomo; quanto quelle persone possano essere utili agli altri, se si riesce ad abbattere il pregiudizio secondo il quale non possono costituire che un peso e una preoccupazione; quanto spesso succeda, al di là delle definizioni, che i disabili siamo noi, i cosiddetti “normali”, talora vittime dei nostri stessi limiti, che ci precludono la possibilità di impiegare al meglio i mezzi di cui disponiamo. Gli avrei voluto spiegare che tutti, proprio tutti, a ben guardare, abbiamo una pinna “fortunata” da qualche parte, e che aiutare ed essere aiutati fanno parte dello stesso meccanismo, basato unicamente sul rispetto e sulla fiducia nei confronti degli altri.
Poi, proprio mentre stavo per aprire la bocca, mi sono reso conto che la morale del cartone non era diretta a mio figlio, ma a me. Mi sono alzato, sono andato fino al frigorifero, ho tirato fuori due gelati e ho chiesto a lui di spiegarmi il film che avevamo appena guardato.
Ovviamente, Andrea aveva già capito tutto da solo.
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