giovedì 14 dicembre 2006

UDIENZA GENERALE BENEDETTOXVI

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Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole, e proprio in questo tempo di Avvento essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore".

BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 13 dicembre 2006

Saluto ai pellegrini presenti nella Basilica Vaticana
Cari fratelli e sorelle!
Vi ringrazio per la vostra presenza e sono lieto di rivolgere a ciascuno di voi il mio cordiale benvenuto. Saluto anzitutto i fedeli delle Diocesi della Calabria, qui convenuti con i loro Vescovi in occasione della Visita ad Limina Apostolorum. Cari amici, la Chiesa che vive in Calabria e qui rappresentata nelle sue vive componenti – Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici – ha un ruolo fondamentale da continuare a svolgere nella società calabrese.

Mi riferisco innanzitutto alla sua missione evangelizzatrice, quanto mai urgente anche in questo nostro tempo per affrontare le attuali sfide culturali, sociali e religiose. Non stancatevi, pertanto, di attingere con coraggio dal Vangelo la luce e la forza per promuovere un’autentica rinascita morale, sociale ed economica della vostra Regione. Siate testimoni gioiosi di Cristo e infaticabili costruttori del suo Regno di giustizia e di amore. Esprimo, infine, già da ora, viva gratitudine alla Calabria per il dono dell’albero natalizio, che proprio oggi è stato collocato in Piazza S. Pietro.
Saluto, poi, i numerosi studenti ed in particolare quelli provenienti dall’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie. In questo tempo di Avvento, Maria ci accompagna verso l’incontro con Gesù, nel mistero del suo Natale. A Lei che ieri abbiamo venerato con il titolo di Vergine di Guadalupe, Patrona del Continente americano, affido tutti voi, cari ragazzi. L’invito che a Cana rivolse ai servi: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2,5) vi spinga ad aprire il cuore alla parola di Cristo e a farla fruttificare nella vostra vita. Vi benedico tutti con affetto.
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Timoteo e Tito
Cari fratelli e sorelle,
dopo aver parlato a lungo del grande apostolo Paolo, prendiamo oggi in considerazione i suoi due collaboratori più stretti: Timoteo e Tito. Ad essi sono indirizzate tre Lettere tradizionalmente attribuite a Paolo, delle quali due destinate a Timoteo e una a Tito.
Timoteo è un nome greco e significa «che onora Dio». Mentre Luca negli Atti lo menziona sei volte, Paolo nelle sue lettere fa riferimento a lui ben diciassette volte (in più lo si trova una volta nella Lettera agli Ebrei). Se ne deduce che agli occhi di Paolo egli godeva di grande considerazione, anche se Luca non ritiene di raccontarci tutto ciò che lo riguarda. L'Apostolo infatti lo incaricò di missioni importanti e vide in lui quasi un alter ego, come risulta dal grande elogio che ne traccia nella Lettera ai Filippesi: «Io non ho nessuno d'animo tanto uguale (isópsychon) come lui, che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre » (2,20).
Timoteo era nato a Listra (circa 200 km a nord-ovest di Tarso) da madre giudea e padre pagano (cfr At 16,1). Il fatto che la madre avesse contratto un matrimonio misto e non avesse fatto circoncidere il figlio lascia pensare che Timoteo sia cresciuto in una famiglia non strettamente osservante, anche se è detto che conosceva le Scritture fin dall’infanzia (cfr 2 Tm 3,15). Ci è stato trasmesso il nome della madre, Eunice, ed anche quello della nonna, Loide (cfr 2 Tm 1,5). Quando Paolo passò per Listra all'inizio del secondo viaggio missionario, scelse Timoteo come compagno, poiché «egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Iconio» (At 16,2), ma lo fece circoncidere «per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni» (At 16,3). Insieme con Paolo e Sila, Timoteo attraversò l'Asia Minore fino a Troade, da dove passò in Macedonia. Siamo inoltre informati che a Filippi, dove Paolo e Sila furono coinvolti nell'accusa di disturbatori dell’ordine pubblico e vennero imprigionati per essersi opposti allo sfruttamento di una giovane ragazza come indovina da parte di alcuni individui senza scrupoli (cfr At 16,16-40), Timoteo fu risparmiato. Quando poi Paolo fu costretto a proseguire fino ad Atene, Timoteo lo raggiunse in quella città e da lì venne inviato alla giovane Chiesa di Tessalonica per avere notizie e per confermarla nella fede (cfr 1 Ts 3,1-2). Si ricongiunse poi con l'Apostolo a Corinto, portandogli buone notizie sui Tessalonicesi e collaborando con lui nell’evangelizzazione di quella città (cfr 2 Cor 1,19).
Ritroviamo Timoteo a Efeso durante il terzo viaggio missionario di Paolo. Da lì probabilmente l’Apostolo scrisse a Filemone e ai Filippesi, e in entrambe le lettere Timoteo risulta co-mittente (cfr Fm 1; Fil 1,1). Da Efeso Paolo lo inviò in Macedonia insieme a un certo Erasto (cfr At 19,22) e poi anche a Corinto con l'incarico di recarvi una lettera, nella quale raccomandava ai Corinzi di fargli buona accoglienza (cfr 1 Cor 4,17; 16,10-11). Lo ritroviamo ancora come co-mittente della Seconda Lettera ai Corinzi, e quando da Corinto Paolo scrive la Lettera ai Romani vi unisce, insieme a quelli degli altri, i saluti di Timoteo (cfr Rm 16,21). Da Corinto il discepolo ripartì per raggiungere Troade sulla sponda asiatica del Mar Egeo e là attendere l'Apostolo diretto verso Gerusalemme a conclusione del terzo viaggio missionario (cfr At 20,4). Da quel momento sulla biografia di Timoteo le fonti antiche non ci riservano che un accenno nella Lettera agli Ebrei, dove si legge: «Sappiate che il nostro fratello Timoteo è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui» (13,23). In conclusione, possiamo dire che la figura di Timoteo campeggia come quella di un pastore di grande rilievo. Secondo la posteriore Storia ecclesiastica di Eusebio, Timoteo fu il primo Vescovo di Efeso (cfr 3,4). Alcune sue reliquie si trovano dal 1239 in Italia nella Cattedrale di Termoli nel Molise, provenienti da Costantinopoli.
Quanto poi alla figura di Tito, il cui nome è di origine latina, sappiamo che di nascita era greco, cioè pagano (cfr Gal 2,3). Paolo lo condusse con sé a Gerusalemme per il cosiddetto Concilio apostolico, nel quale fu solennemente accettata la predicazione ai pagani del Vangelo libero dai condizionamenti della legge mosaica. Nella Lettera a lui indirizzata, l'Apostolo lo elogia definendolo «mio vero figlio nella fede comune» (Tt 1,4). Dopo la partenza di Timoteo da Corinto, Paolo vi inviò Tito con il compito di ricondurre quella indocile comunità all’obbedienza. Tito riportò la pace tra la Chiesa di Corinto e l’Apostolo, che ad essa scrisse in questi termini: «Dio che consola gli afflitti ci ha consolati con la venuta di Tito, e non solo con la sua venuta, ma con la consolazione che ha ricevuto da voi. Egli infatti ci ha annunziato il vostro desiderio, il vostro dolore, il vostro affetto per me... A questa nostra consolazione si è aggiunta una gioia ben più grande per la letizia di Tito, poiché il suo spirito è stato rinfrancato da tutti voi» (2 Cor 7,6-7.13). A Corinto Tito fu poi ancora rimandato da Paolo - che lo qualifica come «mio compagno e collaboratore» (2 Cor 8,23) - per organizzarvi la conclusione delle collette a favore dei cristiani di Gerusalemme (cfr 2 Cor 8,6). Ulteriori notizie provenienti dalle Lettere Pastorali lo qualificano come Vescovo di Creta (cfr Tt 1,5), da dove su invito di Paolo raggiunse l'Apostolo a Nicopoli in Epiro (cfr Tt 3,12). In seguito andò anche in Dalmazia (cfr 2 Tm 4,10). Siamo sprovvisti di altre informazioni sugli spostamenti successivi di Tito e sulla sua morte.
Concludendo, se consideriamo unitariamente le due figure di Timoteo e di Tito, ci rendiamo conto di alcuni dati molto significativi. Il più importante è che Paolo si avvalse di collaboratori nello svolgimento delle sue missioni. Egli resta certamente l'Apostolo per antonomasia, fondatore e pastore di molte Chiese. Appare tuttavia chiaro che egli non faceva tutto da solo, ma si appoggiava a persone fidate che condividevano le sue fatiche e le sue responsabilità. Un’altra osservazione riguarda la disponibilità di questi collaboratori. Le fonti concernenti Timoteo e Tito mettono bene in luce la loro prontezza nell’assumere incombenze varie, consistenti spesso nel rappresentare Paolo anche in occasioni non facili. In una parola, essi ci insegnano a servire il Vangelo con generosità, sapendo che ciò comporta anche un servizio alla Chiesa stessa. Raccogliamo infine la raccomandazione che l'apostolo Paolo fa a Tito nella lettera a lui indirizzata: «Voglio che tu insista su queste cose, perché coloro che credono in Dio si sforzino di essere i primi nelle opere buone. Ciò è bello e utile per gli uomini» (Tt 3,8). Mediante il nostro impegno concreto dobbiamo e possiamo scoprire la verità di queste parole, e proprio in questo tempo di Avvento essere anche noi ricchi di opere buone e così aprire le porte del mondo a Cristo, il nostro Salvatore.

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