venerdì 15 dicembre 2006

LA VERA TRAGEDIA DI WELBY

E' l'editoriale di Medicina e persona
In quest'articolo dei nostri amici medici ci ricordano che in tutte le situazioni e' possibile vivere .
Questa possibilita', i nostri amici dicono, e' possibile dentro un rapporto di amicizia."chi e' l'amico vero?""E’ amico chi permane in un rapporto con l’altro a qualunque condizione; l’amore per l’altro che soffre muove a cercare soluzioni appropriate, proporzionate per accompagnare, consolare, senza pretendere. Ma se questa amicizia non è più l’esperienza quotidiana, quando uno sta bene, come è possibile che oggi sia presente nelle situazioni di dolore e di malattia? La nostra società "tecnologica", la società del benessere, sta riuscendo a far credere a tutti (e in primis a coloro che si definiscono i "liberi pensatori") che la libertà dell’uomo consista nel disfarsi della domanda di senso presente e' ormai dilagante nel nostro contesto sociale

La vera tragedia di Welby.
MEDICINA & PERSONA Editoriale.
La vera tragedia di Welby sta nello sguardo di morte, senza speranza che i suoi amici hanno su di lui. Infatti, mentre la malattia, la sofferenza, il dolore fisico e psichico, affettivo, sono sempre in agguato per ciascuno di noi durante le tappe della vita – cioè sono inevitabili -, c’è la possibilità per ogni uomo di vivere senza disperazione la propria condizione. Questa possibilità è dentro un rapporto di amicizia, c’è bisogno di rapporti di amicizia. Ma chi è l’amico vero? Forse la persona che ti dà sempre ragione? Chi accondiscende a "farti fuori" appena sei in crisi oppure chi, comprendendo il tuo desiderio di stare bene (perchè è questo che desidera Welby con la sua domanda di porre fine alla fatica di vivere nelle sue condizioni) si fa carico delle tue angosce, e ti ricorda tutti i giorni che la tua vita ha comunque un senso,


che la tua sofferenza non è inutile? E’ amico chi permane in un rapporto con l’altro a qualunque condizione; l’amore per l’altro che soffre muove a cercare soluzioni appropriate, proporzionate per accompagnare, consolare, senza pretendere. Ma se questa amicizia non è più l’esperienza quotidiana, quando uno sta bene, come è possibile che oggi sia presente nelle situazioni di dolore e di malattia? La nostra società "tecnologica", la società del benessere, sta riuscendo a far credere a tutti (e in primis a coloro che si definiscono i "liberi pensatori") che la libertà dell’uomo consista nel disfarsi della domanda di senso presente e ormai dilagante nel nostro contesto sociale. Perchè Welby, insistentemente, ai suoi amici, innanzitutto, ma anche a noi, sta chiedendo il senso, il significato della sua condizione. In mancanza di un senso la vita non è più accettabile, diviene vita solo a precise condizioni, stabilite dall’uomo stesso e corrispondenti al suo progetto. Se alla sua mancanza di senso si aggiunge quella degli amici, il passo è breve. Due solitudini non possono sorreggersi. Un non senso non si regge di fronte a un altro non senso. Questa è l’unica differenza che possiamo oggettivamente scorgere tra Welby e chi, malato come lui, sta continuando la lotta della vita con serenità, aiutato dagli amici che continuamente sostengono insieme quello che resta della speranza di una vita, in quella particolarissima e difficile condizione. Queste persone, malate come Welby, ci insegnano (a noi, a Welby e ai suoi amici) che invece la vita umana questo senso ce l’ha per davvero. L’altro che soffre ci insegna chi siamo noi, ci insegna che la vita è più grande e terribilmente più imprevedibile delle nostre attese e dei nostri progetti. E’ forse questo che gli amici di Welby vogliono censurare, aiutandolo a farsi fuori. Forse inconsapevolmente, Welby rappresenta per loro il segno di un mistero che non è nelle loro mani, maledettamente diverso, così diverso e fuori dalla portata della loro invocata e ormai palesemente falsa "autonomia". L’augurio per Welby è che possa incontrare davvero una presenza costitutiva, che lo aiuti a vivere, non a morire e per questo continuare a vivere, non a morire. Lui ha bisogno di questo: poter sperimentare proprio nel momento della massima fragilità della sua vita la tenerezza profonda di chi vuole resistere da uomo davanti a lui, con la sua persona, così come è, e aiutarlo a vivere.

La Redazione


1 commento:

Tiziana Caggioni ha detto...

Ciao
vi ho gia' mandato quest'articolo ma e' troppo bello e' troppo vero
Uno dopo una lettura cosi' non puo' rimanere indifferente non puo' sentirsi al posto
Welby grida come se si fosse perso nel bosco di Venegono
Grida vuole una risposta
Come possiamo aiutarlo?
come possiamo condividere il suo strazio?
Come ci interroga personalmente questo uomo?
Come leggiamo noi questo fatto?
La disabilita' e' sull'uscio di casa di tutti noi
Tutti possiamo trovarci nel letto di welby
tuti possiamo trovarci al capezzale di Welby
Credo che si debba affrontare questo fatto immergendoci condividendo
per poter sentire le emozioni il dramma il dolore di lui
per poter condividere lo strazio l'impotenza di quelli che gli stanno accanto
Solo imparando a farci coinvolgere dagli avvenimenti impariamo a mettere Cristo al centro della nostra giornata
Cristo puo' diventare davvero tutto per noi
Solo nell'unita' verso la stessa meta e' possibile la nostra conversione
E' possibile cosi' ritrovarci un cuore diverso una capacita' non nostra di affrontare tutto quello che ci accade senza censurare nulla
Solo cosi' si puo' fare esperienza di Bene Abbandonandosi a Liui
Allora e' possibile fare esperienza di anticipo di Paradiso anche dentro circostanze che sembrano impossibili da vivere