domenica 19 agosto 2007

L'ITALIA LO CONSEGNA AGLI STATI UNITI RISCHIA A PENA DI MORTE

Libero 18 agosto 2007
di RENATO FARINA
Forse è un assassino. Forse no. Di certo è un italiano. E invece di giudicarlo noi, come fanno in tutti i Paesi del mondo, l'abbiamo impacchettato e dato agli americani. Potrebbe finire sul patibolo. In America, se fosse stato tradotto in Italia un loro concittadino per rispondere di un delitto, la pratica sarebbe finita sulle prime pagine dei giornali e tra i titoli dei Tg.

Invece noi siamo provinciali e non è successo niente. Forse perché non è un presunto terrorista o magari un terrorista condannato, ma è soltanto un indagato per omicidio plurimo a sfondo passionale. Si chiama Benedetto Cipriani, ha 54 anni, ed è stato estradato nel Connecticut, Usa. La vicenda è questa. Il 30 luglio del 2003 tre sicari ventenni dal nome latino - Guzman, Martinez e Castillo - sequestrano a Windsor Locks, nel Connecticut, un uomo d'affari, il suo socio e un loro impiegato nel garage di un'autofficina. Li fanno sdraiare a terra, tirano loro un colpo di pistola nella nuca e li liquidano. Anni più tardi, per circostanze fortuite, confesseranno di aver ucciso per 5000 dollari ciascuno. Erano stati ingaggiati in Florida. Cipriani che c'entra? Sarebbe il mandante. Era l'amante della moglie di una delle vittime. Ha collaborato con la polizia, sostenendo di non entrarci per nulla. E c'erano dissapori tra le donne dei soci. Insomma un pasticcio. I tre assassini materiali hanno confessato. Per evitare la pena di morte hanno concordato la versione con la Procura scansando il processo. Uno starà all'ergastolo, gli altri si beccano 25 anni. Nell'accordo è prevista la loro confessione accusatrice nei confronti di Cipriani. Il quale si proclama innocente. La tesi accusatoria è basata sulla parola dei tre, per il resto - tabulati telefonici, testimonianze di terzi - pare ci siano tracce labilissime. I sicari potrebbero essere stati pagati da altri e, una volta scoperti, aver diretto per comodo le accuse contro un tizio destinato a patire. Non a caso, le mogli dei due soci hanno riscosso una congrua polizza assicurativa. Cipriani sostiene che a quel tempo aveva già mollato la donna da anni. Insomma, una storiaccia. Alla fine del 2003, Cipriani rientra in Italia. Gli Usa ne chiedono conto all'Italia. Richiesta accolta dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, con la chiara indi- cazione: «L'estradizione è subordinata alla condizione che sia consentito al Cipriani, qualora condannato a pena detentiva e ne faccia richiesta, di scontare la pena in Italia». Era ovvio si dovesse escludere il patibolo. Non è consentito dal nostro ordinamento consegnare un cittadino nel cui Paese è accusato di fatti passibili della morte. Anche la giustizia americana ha i suoi tempi. Il giudice del Connecticut deve stabilire se si debba procedere contro Cipriani, trasformando l'accusa in imputazione, e quindi sottoporlo a processo. A questo punto - regnante Clemente Mastella - è stato arrestato, incarcerato e spedito negli Usa in due giorni. Mastella ha spiegato che non rischia assolutamente la pena di morte. Infatti è stato estradato sulla base di un reato che prevede al massimo 60 anni di carcere, che per tre - come usa in America - fanno 180 anni. Niente da dire se è l'assassino. Ma le procedure ci paiono incredibili. La condanna è già stata scritta. Il giudice, senza processo, ha già venduto l'immobile newyorkese di Cipriani e distribuito il ricavato ai figli delle vittime. E c'è quell'accordo che incapretta il nostro connazionale. Inoltre gli americani possono benissimo - è un diritto del tribunale - cambiare il nome del reato ed aggravarlo, fino a contemplare l'uso della siringa letale. Noi siamo contro la pena di morte. Ci atteniamo alla nostra Costituzione. Sarà balorda, ma è la nostra. E non ci piace che sia messa sotto i piedi. L'articolo 27 comma 3 sostiene: «Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato». Non pare sia un criterio americano. L'Italia è in prima fila nel domandare - su istanza radicale - la moratoria universale della pena di morte. Disperiamo si riesca. Ma almeno cerchiamo di non indurre il prossimo in tentazione. La morale? Questa è una storia che gronda ingiustizia e dichiara una sudditanza verso lo straniero che ci pare poco decorosa. Ci dedichiamo a essa perché riguarda un signore che non ha peso né colore politico. È un tizio qualsiasi. Non è mica Cesare Battisti, già condannato all'ergastolo, e fuggito in Brasile che ce lo rifiuta. Cipriani è un italiano. Assistiamolo da qui, in tutto e per tutto. Lungi da noi insegnare agli americani il diritto. Confermo inoltre che - a mio parere - Roberto Castelli e Clemente Mastella sono stati i migliori Guardasigilli che potessero capitarci. Ma qui occorrerebbe farsi sentire. Ora che Cipriani è in America, ci si dia da fare. Ci rendiamo conto che non è la Baraldini, rimpatriata a Roma con tutti gli onori nel 2000. Cipriani non è un estremista di sinistra già condannato, ma è solo uno per cui in Italia vige la presunzione di innocenza. Avremmo un consiglio per Cipriani: confessi di essere delle Brigate rosse. Vedrà che Diliberto viene a prenderla, assassino o no che sia.
Foto: UNA STORIA CON MOLTI PUNTI OSCURI Sopra, a sinistra, Benedetto Cipriani. Nella foto accanto, Anne Rossi e Linda Stevens, mogli di due delle vittime AP Photo
LA VICENDA
L'ACCUSA Benedetto Cipriani è accusato dalle autorità del Connecticut di essere il mandante di un triplice omicidio a Windsor Locks nel luglio 2003: Bobby Stears, il suo socio in affari Barry Rossi ed il meccanico Lorne R. Stevens. L'ESTRADIZIONE Cipriani è stato arrestato in Italia nell'aprile 2005. Nel giugno scorso la IV Sezione del Consiglio di Stato ha deciso di estradarlo, capovolgendo la precedente decisione del Tar di Latina, accogliendo invece l'appello del Ministero di Grazia e Giustizia e del Governo Usa.


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