giovedì 30 agosto 2007

IL DIRITTO A NON SOFFRIRE.DEL FIGLIO O DEGLI ADULTI?

Quando parliamo di bimbi malformati parliamo di bambini come lui.
parliamo di Giovanni e di tutti i suoi amici. Sono questi i bambini che temiamo,di cui abbiamo paura.
E' vero che per una mamma il proprio figlio e' sempre bello! c'e' anche un'oggettivita' Giovanni e' bello e soprattutto non mi sembra un bimbo sofferente (nonostante si stia raggiungendo la 50 anestesia)




Non e'facile portare avanti un atteggiamento positivo in una societa' in cui l'uomo desidera solo arrivare alla perfezione e soprattutto vuole eliminare sofferenza e dolore.
In una societa' in cui il concetto di felicita' non e' chiaro ed e' molto lontano dal desiderio vero dell'uomo.
Domandiamoci anche quanto ciascuno di noi e' responsabile di questa mentalita'.Soffermiamoci sulle difficolta' che un genitore ogni giorno incontra.Difficolta' ,non date da quello che molti chiamano "figlio deforme",ma dalla solitudine nella quale spesso la famiglia viene lasciata anche dagli amici piu' cari che restano disorientati dalla particolarita' della situazione.Tutti gli interventi che durante il meeting hanno parlato di dolore e sofferenza sono stati certamente una grossa possiilita'perche' ciascuno di noi recuperi un giudizio e soprattutto sono stati di grande aiuto a noi mamme che viviamo quotidianamente questa esperienza.
Riflessione sulle gemelline abortite
di Marina Corradi
Tratto da AVVENIRE del 29 agosto 2007

Il dramma del duplice aborto delle gemelle di Milano ha sollevato brutalmente la questione della ammissibilità di sopprimere un figlio malato. Il sacrificio della gemella perfetta - e non dell'altra, che non avrebbe interessato nessuno - ha posto la domanda su quale limite segni e scandisca il diritto a nascere di una creatura malformata.


Sulla Stampa, Michele Ainis rilegge la 194 e ammette che non vi è garantito un diritto a avere figli sani; è garantito, invece, afferma, un «diritto a non soffrire». E non solo alla madre, cui la 194 consente di tirarsi indietro nell'evenienza di una grave minaccia fisica o psichica alla sua salute derivanti da «rilevanti anomalie» del bambino. Secondo Ainis, questo diritto verrebbe assicurato «in qualche modo anche al nascituro». Cioè, abortire un Down dovrebbe essere ammesso per un diritto dello stesso figlio in grembo a «non soffrire». E viene citato il caso Perruche, il bambino cui i giudici francesi hanno assegnato un risarcimento - a lui, non ai suoi genitori - per essere nato malformato. Diritto a non soffrire assicurato "in qualche modo" anche al figlio, si teorizza. In qualche modo, appunto: cioè, a spanne, perché la legge italiana di questo presunto diritto non parla affatto, e le sentenze della Cassazione lo hanno negato. Il diritto non cambia nell'eco di una sentenza straniera. Il sentire comune sì, però, ed è proprio questo il senso della affermazione, sul piano giuridico fantasiosa, del corsivo della Stampa. Se altrove il diritto del nascituro a "non soffrire" è già operante, perché non da noi? E uno sguardo superficiale, manipolato dal sentimentalismo mediatico, facilmente potrebbe consentire.
Senonché, questo immaginario diritto di fatto coincide con la soppressione del nascituro malformato. In effetti, non nascere è il modo più sicuro per non soffrire. Tuttavia, non fare nascere un uomo è la negazione più totale del suo diritto fondamentale, che è vivere.
Che il nulla, l'annichilimento siano preferibili, nella cultura corrente, al nascere malati, è comprensibile. Che però ci si chini sul ventre di una donna, e diagnosticando una malattia si pratichi l'aborto affermando di difendere il figlio, è una notevole manipolazione della realtà. Quel figlio nel buio non può esprimere una volontà, ma tutto il suo essere, il crescere, il formarsi del cuore e dei polmoni e delle mani, tende alla vita: questa è un'evidenza. Meglio per te se non nasci, bambino, gli si vorrebbe dire, difettoso come sei. Ti eliminiamo, per liberarti dal tuo male.
E il bisturi lacera, strappa, sradicando caritatevolmente ogni possibilità di un futuro dolore. Futuro dolore, però, di quel figlio, o invece di chi lo pretendeva sano, e si ritrova con un handicappato tra le braccia?
Nella sentenza sulla vicenda della coppia portatrice di talassemia che chiedeva la selezione degli embrioni sani, e quindi un aborto eugenetico, il giudice negando il suo consenso scrisse: «Non si difende in realtà alcun figlio, ma la propria volontà di averne uno conforme ai propri desideri».
Parole nette, che non ne chiedono altre. Solo, un dubbio: a noi più o meno sani, a noi "normali", chi garantirà il diritto a non soffrire? Chi tutelerà questo diritto all'uomo nato perfetto, ma colpito poi da un'irrimediabile malattia? Se esiste un diritto a non soffrire, non dovremmo averlo tutti, e quale è il limite della sofferenza tollerabile, e a chi far causa, chi citare per danni, quando la sofferenza illegalmente ci tocca?
Cosa teorizzare allora, l'eutanasia per chiunque la chieda, o il suicidio come clausola cui appellarsi quando il certificato «diritto a non soffrire» sia violato?
L'unica certezza, è che un mondo che teorizza un diritto a non soffrire fino a giustificare di non far nascere, è tacitamente avviato al suo declino.



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