domenica 19 agosto 2007

Cl, l’America, la felicità e il paradosso della “God’s country

Tratto da il foglio del 18 agosto 2007

Roma. Uno dei paradossi più sorprendenti del nostro tempo è che il “nuovo risveglio” religioso provenga dalla “nazione più religiosa e più secolarizzata d’occidente”, come era solito affermare il teologo protestante Reinhold Niebuhr. Con una riflessione sulla religiosità americana si apre a Rimini



la ventottesima edizione del Meeting di Comunione e liberazione (19-25 agosto), che quest’anno si richiama al tema della verità come destino.
Domani alle ore 15, a inaugurare il ciclo di incontri culturali sarà un seminario moderato da Stefano Alberto (successore di don Luigi Giussani sulla cattedra di Introduzione alla teologia dell’Università Cattolica) sul modello statunitense di libertà religiosa, la “God’s Country”, per usare il titolo del prossimo libro della coppia dell’Economist, John Micklethwait (direttore del settimanale) e Adrian Woolridge, curatore della column Lexington. A Rimini ci saranno Stanley Hauerwas, “miglior teologo americano” del 2001 secondo Time magazine e autore di “A Community of Character: Toward a Constructive Christian Social Ethic” (selezionato come uno dei cento libri più importanti sulla religione del XX secolo), e David Schindler, docente di Filosofia all’Istituto Giovanni Paolo II di Washington, direttore dell’edizione americana di “Communio”, la rivista fondata nel 1972 da Hans Urs von Balthasar, Joseph Ratzinger e Henri de Lubac, scelto da Giovanni Paolo II come consultore del Pontificio consiglio per i laici.
In America la politica come “ricerca della felicità”, per riprendere il titolo dell’incontro, non è pura convenzione umana, si fonda su qualcosa che la trascende. All’effervescenza religiosa americana, con il suo misto di pragmatismo spirituale e messianesimo secolare, dedicò uno studio importante anche don Luigi Giussani nel 1969, titolo “Teologia protestante americana”. Il fondatore di Cl notava lo scadere “del senso drammatico dell’incommensurabilità di Dio per l’uomo” in un “pietismo e perfezionismo moralista” e affermava che molte delle involuzioni secolariste che abbiamo osservato nella Riforma avrebbero portato a una “protestantizzazione del cattolicesimo”.
David Schindler spiega che in America “la missione essenziale della religione consiste nel risvegliare e sostenere la memoria di ciò che siamo”. Ribadendo la lezione del sociologo ebreo Will Herberg, secondo il quale la religiosità americana è “puritanesimo secolarizzato”, Schindler ritiene però che il protestantesimo americano abbia trasformato la libertà in “un indifferente gesto di scelta”, dimenticando che si tratta invece del “potere della gratitudine e del rendere grazie”, un potere particolarissimo che si manifesta nel giorno del Thanksgiving. Hauerwas legge la religiosità americana come “il primo luogo in cui il protestantesimo ha definito se stesso non contro il cattolicesimo. L’America è l’esemplificazione dell’immaginazione sociale protestante”.

Secondo lo studioso che ha insegnato alla Notre Dame University e che afferma di provenire “dal lato cattolico del protestantesimo”, il pregiudizio anticattolico è stato fomentato negli anni dalla stampa progressista: “Dalla prospettiva del New York Times, un buon cattolico è uno che sarebbe visto dal Vaticano come un pessimo cattolico”.
Hauerwas ritiene che l’America, per dirla con il teologo Dietrich Bonhoffer, sia un “protestantesimo senza riforma”: “L’America è una sintesi del protestantesimo evangelico, ideologia politica repubblicana e common sense morale”. Autore di una ventina di monografie, Stanley Hauerwas pensa che stiamo assistendo alla “fine del protestantesimo così come noi lo conosciamo in America. Sta morendo del proprio successo”. L’intellettuale americano afferma anche che l’11 settembre è stato capitale nell’ondata di risveglio religioso, “la paura della morte è necessaria a garantire quel livello di cooperazione fra persone che non hanno nulla in comune. In America gli ospedali sono diventate le nostre cattedrali e i medici sono i nostri preti”.
Gli americani non hanno bisogno di credere in Dio, “loro credono nella fede”, per questo “non siamo mai stati in grado di produrre atei seri in America” e l’unica forma diffusa di ateismo consiste nel “mettere in discussione la proposizione secondo cui ognuno ha il diritto alla vita, alla libertà e alla felicità”. L’America non ha bisogno di stabilire neanche una chiesa nazionale di stato, come avevano capito quei rivoluzionari religiosi dei Padri fondatori, “la chiesa in America viene virtualmente fondata dall’atteggiamento quotidiano della vita pubblica. L’America è l’esemplificazione del progetto della modernità”. Di fronte alla crisi del protestantesimo, conclude Hauerwas, “avremo una chiesa che in America non ha niente da perdere. E quando non hai nulla da perdere tutto ciò che ti resta è la verità”. (gm)


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