giovedì 16 agosto 2007

NON CI SI PUO'SEPARARE PER IL SESSO

Libero 15 agosto 2007
di RENATO FARINA
Cos'è più coraggioso? Salire montagne in solitaria attingendo la gloria, o sopportare la vecchia zia al rifugio alpino, infilandole la busta con la camomilla nella tazzina? Pulire il culetto al bambino e cambiare il pannolone al marito vecchio o scegliere audacemente la famosa vita libera e delegare all'assistente sociale parecchi compiti, dato che il coniuge a quell'età è difficile abbia molto da dare in quel certo campo?


Intervengo, dopo due donne, sulla questione del tradimento. Anzi del "dopo" tradimento. La professoressa S.R. di 44 anni su Libero di domenica chiede un consiglio. E racconta. Non mi ritrovo più con mio marito, con cui mi intendevo su tutto; lo spegnersi della passione ha tolto luce e brividi alla camera da letto. Ho avuto amplessi fugaci. Che faccio, gli voglio bene (...) ancora, ma mi devo separare? Annamaria Bernardini De Pace ieri ha risposto: certo che sì. Meglio darsi l'addio, è un dovere intimo e sociale, guai a lasciar trionfare l'ipocrisia. Le due signore partono da una comune constatazione: la fedeltà è impossibile, se cessa l'intesa sessuale. Un cornetto qui, uno là, sono inevitabili. Una volta - ma era una balla pareva prerogativa degli uomini, adesso è ufficiale la perfetta reciprocità delle protuberanze frontali. La Bernardini ne trae un dovere morale: occorre coraggio, ma bisogna spezzare il cerchio, rompere. Si deve preferire l'audace amore per la libertà all'opportunismo dei mediocri, che infila le pantofole e aborre il rischio. In fondo il sesso è praticamente tutto. Ehi, cara Bernardini mi sa che confondi l'eroismo con l'erotismo. Comincio a contraddirti proprio sul lato estetico. Sei sicura che sia tanto glorioso fare fagotto e affittare una soffitta, mollando la prole e il marito, in nome dell'orgasmo e annessa illusione sentimentale? Su questa base, il mondo si fermerebbe. Nessuno andrebbe al lavoro, perché è routine. I negozi aprirebbero a caso, ci sarebbe una specie di eterna bohème, che peraltro possono sopportare solo i benestanti, con un bel patrimonio che permette loro di godere di un avvocato discreto e della moltiplicazione di famiglie, case e spese. Cos'è più coraggioso? Salire montagne in solitaria attingendo la gloria, o sopportare la vecchia zia al rifugio alpino, infilandole la busta con la camomilla nella tazzina? Pulire il culetto al bambino e cambiare il pannolone al marito vecchio o scegliere audacemente la famosa vita libera e delegare all'assistente sociale parecchi compiti, dato che il coniuge a quell'età è difficile abbia molto da dare in quel certo campo? Se poi il compagno finisce in galera, consumare amplessi è piuttosto improbabile e con le grane giudiziarie in quel campo si alza solo la bandiera bianca. Che si fa? Si vola via per non essere ipocriti? Complimenti. Per favore. Non condiamo di poesia da baci perugina post moderni le pulsioni descritte benissimo dalla Bibbia e da Balzac. O per venire più vicino a noi, da Thomas Mann nei Buddenbrook. Matrimoni e tradimenti, divorzi e decadenza. E molta infelicità. È una vecchia storia. Io credo che resistere. Perdonarsi. Accettare il limite reciproco. Dividere tutto, persino la delusione del letto, le fragilità, sia il vero coraggio. Per cui ricominciare il mattino obbedendo al desiderio di costruire qualcosa di buono. E se c'è un po' di noia, pazienza, guardi tuo figlio, vedi il nipote e capisci che c'è una parola più grande: si chiama responsabilità, che è il vero nome dell'amore. Il quale non è un sentimento che si pratica soprattutto in letti casuali, ma è un giudizio commosso su che cosa è importante davvero. Tra le due possibilità quale? 1) Soddisfare la nobile voluttà del momento, e renderla addirittura diritto eterno con la teoria della fuga dalla famiglia. 2) Scegliere la stabilità, le fondamenta, il trasmettere qualche cosa di saldo dentro i nostri mille errori: si chiama tradizione, e non è una muffa del passato, ma il senso della vita. Io voto la seconda che ho scritto. Qui non annoierò il popolo agostano con una predica sulla bellezza della fedeltà, eccetera. Ci credo, ma la tengo per me. Mi concentro sull'idea di matrimonio. La soluzione proposta dalla nostra grande Annamaria è la radice della disgregazione e della solitudine. Le quali non sono il prezzo eroico di una purezza di sentimenti, ma frutti velenosi che alla lunga ammazzeranno la società e la famiglia. Mi ha colpito molto in questo senso quanto detto alla nostra Barbara Romano da Roberto Castelli. Lui che si è separato e risposato, pur amando la sua attuale sposa, confessa che ha fatto del male e non doveva. Pensi ai figli, cara professoressa S.R. Ma pensi anche a se stessa. Di che cosa vivono gli uomini (e le donne)? Di sesso e posteriore raccolta di indumenti sparsi? Lo sa anche lei. Gli ideali della giovinezza erano quelli giusti, proprio quelli che insegna ai suoi figli e agli studenti. Cioè quello di un sì a un uomo/donna che sia per sempre. E questa promessa rende la vita avventurosa. Per questo si accetta di avere figli, perché non c'è solo il dolore, ma anche qualcosa d'altro, di durevole e forte. La famiglia è questo, la costruzione di una casa solida, per cui si dividono il pane e le due o tre cose importanti, la malattia, le effusioni e il desiderio di baci e altro. Poi si sbaglia, ci si perde dietro strane cose. L'uomo (maschio e femmina) è sempre stato carnale, attaccato al sesso, al denaro e al potere. Non sono cose cattive. Niente affatto. Noi siamo di codesta pasta. Ma qualcosa dentro di noi ci ricorda sempre quando li trasformiamo in idoli, perdendo noi stessi. Chiamiamo sentimento la volubilità, travestiamo l'incoscienza con la maschera della libertà. Signora, resista, glielo dico perché è mia parente, noi di Libero come sa bene - se no non ci avrebbe inviato una lettera così personale e fiduciosa - siamo parenti. Una famiglia. Fa niente se qualche volta scappa in un angolo con un altro giornale. Ma poi è importante che torni da noi. Va be', omnis comparatio claudicat, le metafore zoppicano. Però. Guardi in faccia suo marito. Quando scendete in ascensore insieme, gli dia un pizzicotto sulla guancia. Non c'è bisogno di dirselo a parole, ma con questa mossa chieda perdono e lo dia. Mi viene in mente Papa Wojtyla, in Francia scandalizzò tutti, nel settembre del 1996, dicendo che l'adulterio non doveva diventare il pretesto per chiudere un matrimonio. Me lo ricordo, c'era molto vento: «Il perdono! L'esperienza del perdono! Questa è la forma più alta di unione, impegna tutto l'essere che, per volontà e amore, accetta di non fermarsi all'offesa, e crede che un futuro è sempre possibile». Un futuro è sempre possibile, signora, senza buttar via gli ideali che insegna ai suoi figli, compresa la fedeltà.

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