mercoledì 29 agosto 2007

SEMPRE SULL'ABORTO

Selezioni uno, elimini due
Aborto &C - mar 28 ago
Al San Paolo di Milano abortite entrambe le gemelle.Per Roccella, senza cambiare la 194, servono nuove linee guida che esplicitino la contrarietà all’eugenetica • L’Osservatore Romano contro la “cultura della perfezione”



Tratto da il foglio del 28 agosto 2007

Una delle due gemelle aveva, secondo i risultati dell’amniocentesi, la sindrome di down. L’altra no. L’aborto avrebbe dovuto eliminare la bambina malata (alla diciottesima settimana, quindi al quinto mese), ma nelle tre settimane trascorse tra l’amniocentesi, i pensieri, i consigli, la decisione e l’intervento, le piccole si erano scambiate il posto nella pancia.

Si erano mosse, è normale. Così i medici hanno sbagliato bambina (“l’interruzione di gravidanza della mia paziente è andata storta per un rischio non ponderabile… in futuro bisogna studiare un sistema per marchiare il feto, ad esempio con un colorante” ha detto la ginecologa del San Paolo, a Milano) e subito dopo lo sbaglio hanno eliminato l’altra gemella, quella probabilmente down. E’ andata così, cioè malissimo, è successo in giugno e la madre, quarantenne con un figlio, ha denunciato l’ospedale: vuole essere risarcita per la gemella sana uccisa, per un aborto selettivo sbagliato. Solo che aborto selettivo è un’espressione brutta, soprattutto se l’obiettivo è una bambina down di diciotto settimane che si muove nella pancia, la parola eugenetica fa venire i brividi quasi a tutti: selezionare il più forte, eliminare l’imperfetto e ammettere che non merita di vivere. Così il ministro della Salute, Livia Turco, ha detto al Corriere della Sera che non si è trattato di aborto selettivo perché “la legge parla di aborto terapeutico”. La legge è sempre la 194 del 1978 (scritta quando non c’erano quasi nemmeno le ecografie, scritta quando non si sapeva cosa fosse la diagnosi prenatale, scritta per difendere la vita e aiutare le donne), e parla soltanto di “interruzione volontaria di gravidanza”, entro e dopo i novanta giorni (dopo i novanta giorni deve essere certificato il rischio per la vita della madre o per la sua salute fisica e psichica). “Se il ministro Turco ritiene che questo sia stato un aborto terapeutico – terapeutico per chi? non per il bambino malformato, che non c’è più – allora lo scriva: senza toccare la legge, ovviamente, scriva linee guida largamente condivise, per spiegare se siamo a favore o contro l’aborto selettivo, se siamo contro l’eugenetica, visto che le pratiche mediche attuali consentono di andare molto al di là dello spirito della 194” dice, al Foglio, Eugenia Roccella, già portavoce del Family Day e presidente di SAlute FEmminile (Safe). “Basta con i dubbi etici e con l’equivicinanza: il ministro spiega di essere a disagio e di porsi molte domande sui limiti della scienza e sulla responsabilità individuale, ma allora dovrebbe trovare, lasciando la 194 così com’è, un accordo per stabilire, con linee guida la contrarietà all’eugenetica e all’aborto selettivo”.

Quel che è successo, spiega Carlo Bellieni, neonatologo e membro della Pontificia accademia per la vita, “è riduzione fetale, o feticidio selettivo, una pratica non rara, nel caso di gravidanza plurigemellare o anche di gemelli non voluti: se non si chiama aborto selettivo come si può chiamare? Interruzione di gravidanza no, perché quella, se la procedura non avesse fallito, sarebbe continuata. Certo è una storia tragica, ma non più di quelle che avvengono ogni giorno: negare un diritto all’esistenza per le persone malate e allo stesso tempo parlare di ‘terapeutico’. Non c’è niente di terapeutico (e la legge 194 non usa mai quest’espressione) nell’eliminare il feto difettoso. In una gravidanza di cinque gemelli l’aborto di un feto potrebbe essere terapeutico, dare cioè agli altri quattro più possibilità di sopravvivere, ma anche in questo caso non sarebbe senza rischi”. Ora che nessuno è sopravvissuto, ora che di nuovo il Vaticano condanna, attraverso l’Osservatore Romano, “la cultura della perfezione”, ora resta, secondo Bellieni, “solo il dubbio profondo su ciò che sarebbe stato”.

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