mercoledì 16 gennaio 2008

BRUNETTA C'E' E ADERISCE

- mar 15 gen
Arriva il sì del presidente dell’Associazione ligure thalassemici: “L’aborto è una pena di morte decretata in un privato studio medico Se siamo contro le esecuzioni capitali, allora escludiamole tutte”
di Angelo Loris Brunetta

Tratto da LIBERO del 15 gennaio 2008



Caro direttore - Ho la certezza che in qualunque circostanza non sia mai da ritenersi cosa superflua l’esternazione dei sentimenti personali riguardo ai grandi temi che la realtà in cui viviamo ci pone d’innanzi, per questo motivo le esprimo il mio grazie sentito e la mia piena adesione alla proposta di moratoria sull’aborto da lei lanciata nei giorni scorsi.

Devo riconoscere però che sono stato tentato di non entrare in questo dibattito non perché non ne condivida l’utilità ma piuttosto per una sorta di pudore che molto spesso mi trattiene dall’espressione libera del mio pensiero per la rappresentanza associativa che sostengo che è trasversale anche su temi così eticamente sensibili.

Ma la lettura attenta dei contenuti del dibattito così puntualmente redatta sul suo giornale mi ha sbigottito per talune affermazioni ricorrenti che meriterebbero, a mio avviso, ben più delle poche righe che forse riuscirò a scrivere. Mi riferisco in maniera prevalente ai suoi detrattori a coloro che imbottiti di “sano” ideologismo fanno finta di non saper andare al di là del naso e vedono nella sua proposta un attacco a quella che considerano una conquista di civiltà, almeno in Italia, vale a dire la legge 194. Non capire che la sua provocazione di richiedere una moratoria a livello internazionale per fermare quello che Antonio Socci chiama il “genocidio nascosto” ha un respiro assai più ampio che non la semplice ambizione di modificare i contenuti di una legge nazionale, significa fare esattamente quello che è stato fatto per anni vale a dire la politica dello “struzzo” ficcando comodamente la testa sotto la sabbia senza volersi rendere conto di ciò che succede in superficie.

Lungi da me il pensiero di voler criticare i risvolti sociologici, pure ampiamente criticabili, della rivoluzione del ’68, con la conquista di tutta una serie di diritti che allora venivano richiesti prevalentemente dalle donne, giustamente, stufe di una sopraffazione maschile e maschilista.

Da allora si sono messe in atto delle politiche che hanno minato fortemente alla base i principi ed i valori che avevano sostenuto per centinaia di anni il nostro vivere sociale; politiche improntate ad un maggior individualismo cercando di convincere che istituzioni, sacre e radicate, come la famiglia costituissero un impedimento alla realizzazione di se stessi, politiche che hanno portato a perdere il concetto di collettività a favore dell’interesse personale, che ci hanno condotto per mano verso le problematiche attuali di disgregazione sociale in cui i rapporti personali sono ormai soppiantati da quelli virtuali.

La sensazione è che finché non ci si riuscirà a liberare da molti degli errori del passato non saremo capaci di guardare al futuro con iniziative che siano magari un po’ più organizzate che il semplice navigare a vista.

Ma uno dei retaggi di quegli anni, che ha fortemente influenzato le scelte ed i costumi sociali dell’epoca successiva, è stato proprio il diritto a porre in essere l’interruzione di gravidanza, e questo sbandierato come una conquista di civiltà anziché definirlo per quello che in effetti è un omicidio.

La società preso atto di questo nuovo strumento disponibile non ritenendo utile analizzarne criticamente le applicazioni ed i significati intrinseci che portava con sé ma adeguando docilmente il proprio modo di pensare e di agire; come se procedere ad un aborto fosse una pratica tutto sommato accettabile, una specie di male minore da usare per i “figli di un Dio minore”.

L’avvento della pratica di diagnostica prenatale, grande conquista scientifica perché permette di salvare molti bambini prima della nascita, è stata però anche utilizzata per giustificare quello strumento legislativo, la legge 194, che andava applicato e non solo per combattere, legittimamente, la piaga dell’aborto clandestino.

La categoria che io rappresento, quella dei malati di una malattia genetica prevenibile, è stata così decimata, a norma di legge, da scelte consapevoli e “sapientemente” condotte, che avevano però come scopo principale non quello di mettere in evidenza la bellezza dell’accoglienza di un figlio ma la condanna perpetua, decretata da un Dio senza cuore, a dover convivere con la sofferenza.

Meglio quindi optare per la convivenza col rimorso, soprattutto se riguarda qualcun altro, senza farsi troppe domande e senza considerare che dalla sofferenza non possiamo oggettivamente slegarci mentre dal rimorso si perché è figlio delle scelte che facciamo.

Spesso, durante i molti dibattiti cui ho partecipato quando un paio di anni fa si ridiscutevano i medesimi argomenti ma relativamente al referendum sulla procreazione assistita, i detrattori della legge 40 sussultavano quando si utilizzava il termine eugenetica e cercavano di spiegare con il ricorso ad inutili sofismi che l’eugenetica fosse un’altra cosa.

Lei sa benissimo che io sono stato testimone di questo agire, che difficilmente può essere messo in discussione; l’eugenetica è una pratica diventata consueta, checché ne pensi la Prof. Mancina, sebbene celata, in clandestinità, proprio come quell’aborto che si consumava pericolosamente e senza diritto alla salute delle donne sui tavoli delle mammane.

Altroché se ha ragione, caro direttore, gli strumenti legislativi che gli stati hanno messo a disposizione sono stati, e sono, utilizzati come vero e proprio controllo delle nascite, ma vigliaccamente ritorti contro delle povere famiglie sulla cui ignoranza e superstizione si è fatto perno per darsi una ripulita alla coscienza, perché la decisione finale è sempre di qualcun altro. E non voglio ricorrere agli esempi che sono stati ampiamente esposti in questi giorni, come il caso della soppressione delle femminucce in Cina, oppure in India ed ovunque la nascita di una figlia è percepita come una sciagura.

Il caso che lei solleva è talmente universale e talmente incidente nella nostra società globalizzata che non può lasciare indifferenti e che deve provocatoriamente scuotere la coscienza di ognuno di noi affinché si dia il massimo per risolvere le molte piaghe che affliggono gli esseri umani.

Ma, per restare in Italia, ad esempio, non è che la legge sull’aborto preveda esplicitamente un controllo delle nascite, questa è stata redatta certamente con le migliori intenzioni, sono le letture date successivamente a distorcerne l’applicazione per dare il via allo sterminio di massa perpetrato a danno degli indifesi.

Quando molto freudianamente si è deciso di introdurre la “psiche” all’interno del concetto di salute si è aperta la porta a qualunque cosa; recentemente il tribunale di Cagliari ha sentenziato a favore della diagnosi pre-impianto dell’embrione vietata dalla legge 40 arrogandosi così quel diritto a legiferare che dovrebbe essere prerogativa solo del Parlamento.

In casi come questo si sminuisce a tal punto il ruolo della politica, di una politica non più in grado di decidere, e che quando decide lo fa male, che sembra difficile individuare i percorsi attraverso i quali dar seguito alla sua lodevole proposta.

Sa, caro direttore, quanto queste decisioni incidono sulla vita quotidiana dei malati se il messaggio è quello che le malattie si combattono eliminando i potenziali, malati?

Sa quanto si complica la speranza di guarigione per quelli che ci sono? La società civile, laica, è assolutamente colpevole di aver lasciato solo alla chiesa l’opportunità di combattere questo relativismo contrapponendogli la cultura di matrice cattolica che annovera tra le proprie fila una base solidamente convinta delle tematiche sostenute legate ai valori che altri si sono lasciati bellamente alle spalle accettando senza discuterlo questa sorta di nichilismo.

Solo la Chiesa, animata da una filosofia positivista, ha continuato a combattere contro queste tendenze autolesioniste della società tant’è che manifesta contro l’aborto, così come contro la manipolazione degli embrioni, così come contro la pena di morte, così come contro la guerra, così come contro la povertà, così come contro ogni forma di degenerazione che non porti rispetto alla dignità dell’essere umano.

Questo a dispetto di quanto si cerca di affermare riguardo all’ideologia cattolica dipinta in termini macchiettistici allo scopo di screditarne i contenuti, ed anche a dispetto della denigrazione spesso rivolta ad uno dei pochi e lucidi pensatori rimasti ad illuminare noi poveri uomini riguardo ai grandi temi della vita e della morte, dell’essenzialità dell’uomo e dell’inessenzialità con la quale l’uomo considera se stesso, cioè Benedetto XVI il cui elevato obiettivo è ragionare sull’essere umano ed il suo futuro e non certo discutere dei contenuti di una legge.

Che possiamo dire! Solo restare sbigottiti per questa sorta di società che pare una farfalla dal volo impazzito in cui ci si commuove per una moratoria sulla pena di morte ma non per il quotidiano sterminio di chi non viene curato dall’AIDS in Africa per meri interessi economici, in cui ci si infervora per ottenere il diritto a morire ma non si vuol riconoscere il diritto a vivere, in cui la sinistra fa politiche di destra e la destra non si schiera sui suoi temi forti per paura di perdere consensi.

Oggi posso, fortunatamente, osservare che un po’ di quell’ideologia vagamente di sinistra e di questa pseudo cultura imposta alla nostra società viene criticata anche dall’interno così come da chi ha saputo riallacciare un filo col buon senso, ed il risultato del referendum di due anni fa ne è stata la specchiata testimonianza, peccato solo per coloro che non ne hanno saputo cogliere il senso.

Cosa ci resta in tutto questo sfacelo per ottenere risultati se non investire in cultura, in una cultura della vita, scacciando il nichilismo dal cuore dei nostri giovani, non come fa Galimberti nel suo ultimo libro affermando che Dio è morto, ma dimostrando loro che Dio è vivo ed è in ognuno di noi anche in chi non appare così dotato di qualità.

Un buon punto di partenza potrebbe essere quello che il sociologo John Thompson chiamerebbe dissequestro dell’esperienza, cioè reintrodurre nel contesto sociale tutti coloro che questa cultura dell’apparenza più che della sostanza ci ha sottratto dalla vista, per imparare che intorno a noi è necessario favorire l’accoglienza e non penalizzarla.

Allora perché non recuperare i valori che sono propri della nostra cultura occidentale, e non aderire a questa proposta di moratoria sull’aborto che, se andasse a buon fine, alimenterebbe i lucciconi agli occhi di molte più persone che non quelle del solo ministro Bonino. L’aborto è una pena di morte decretata in un privato studio medico e non in un tribunale pubblico, la manipolazione embrionale è una pena di morte decretata in un laboratorio, il tagliare finanziamenti alla ricerca ed alla cura dei malati è una pena di morte decretata nei palazzi della politica, se siamo contro le esecuzioni capitali, e lo siamo, allora escludiamole tutte dalla nostra vita. Cordialmente



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