lunedì 25 febbraio 2008

CESANA: TRE ANNI DOPO L'EREDITA' ANCORA VIVA DEL "GIUS"

Due uomini diversi, ma entram­bi profondamente cristiani e nel­lo stesso periodo storico. Ansiosi di fare ritrovare la speranza origi­naria. Quella di cui il poeta Jimé­nez scrisse: «Ora è vero. /Ma è sta­to così falso/ che ancora oggi sembra impossibile». Versi che Giussani in chiusura di quel libro commentava: «Quando uno in­tuisce il fatto cristiano come ve­ro, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile».


Comunione e Liberazione • Il leader di Cl ricorda la sua ansia radicale per un cristianesimo vivo «qui e ora» • «La speranza cristiana? Nasce dallo sperimentare un cambiamento che è già iniziato» • «Occorrono uomini che, come ha detto il Papa, rendano Dio credibile» • «Ha combattuto per la piena incidenza della fede nella realtà. Senza la quale il cristianesimo sarebbe un sogno»di Marina Corradi
Tratto da avvenire del 22 febbraio 2008


Tre anni oggi dalla morte di don Giussani. Chi ne cono­sce i libri, nella Spe salvi av­verte, nella pretesa di Benedetto XVI di un cristianesimo operante nella realtà, un’eco dell’ansia ra­dicale del sacerdote lombardo per un cristianesimo vivo «qui e ora».

In una prefazione per un libro di Giussani del 1994 –- Il senso di Dio e l’uomo moderno, (Bur) l’allora cardinale Ratzinger scriveva: «È inquietante che la voce della Chiesa appaia incapace di rag­giungere le orecchie e i cuori de­gli uomini... ».

Con Giancarlo Ce­sana, storico leader di Cl, parlia­mo della attualità di quest’ ansia di ritrovare il cristia­nesimo delle origini, comune a due uomi­ni per formazione e temperamento di­versi.

Cesana: «Giussani raccontava di un suo alunno al Berchet, studiosissimo, e che portava il distintivo di una organizzazio­ne cattolica. E a cui lui però rimprovera­va di 'rendere testi­monianza solo a se stesso'. Il punto era quello, già negli anni ’50: la novità di Cristo si deve ve­dere.

È, se opera, è il titolo di un li­bro di Giussani. Se 'è vero', deve agire sulla realtà. Dalla certezza di un evento nasce la speranza cristiana: noi speriamo, perchè vediamo in noi un cambiamento già iniziato.

L’altra sera parlavo in una città dove si era appena cele­brato il funerale di due ragazzi di Gs. Le loro famiglie non erano di­strutte perchè vivono dentro una esperienza che è più forte del­l’assurdo, di un dolore indicibile».

È dunque la speranza che il Papa dice già 'sostanza', già germe di ciò che si spera.
Essere cristiani è fare esperienza di un amore a sè che viene da qualcosa di molto più grande di noi. Che uno possa sperare nel dolore, è indice della presenza nella sua vita di qualcosa di più grande della morte. Giussani ha combattuto per questa piena in­cidenza della fede nella realtà; senza la quale il cristianesimo sa­rebbe allucinazione, o sogno. Il germe di vita vera è possibile den­tro la comunione dei cristiani, in una appartenenza che è un con­tinuo riprendersi, correggersi – soprattutto perdonarsi.

Nel mo­mento più inaspettato, trovi uno che ti abbraccia – «amatevi, come io ho amato voi»–. Per questo oc­corrono le facce dei fratelli, oc­corre, come ha detto il Papa re­centemente, «uomini che renda­no Dio credibile».

C’è un punto, in quel libro di Giussani, in cui l’analisi di ciò che è accaduto alla speranza cristia­na nella storia scorre parallela­mente a quella della «Spe salvi».

È la sottolineatura dell’Umane­simo come il farsi avanti di un uomo che si percepisce come au­tosufficiente, e la conseguente ri­bellione al Dio cristiano.

È l’affacciarsi alla storia di un uo­mo autosufficiente e quindi di­sperato - giacchè, poichè moria­mo, la nostra è una «autosuffi­cienza » a termine.

E quest’uomo è ostile alla Chiesa, perchè la Chiesa continua a affermare il suo bisogno di essere salvato –

la Chiesa come argine alla prepo­tenza dell’uomo. Un punto che il Papa sottolinea con preoccupa­zione: un pericolo per l’uomo che venga da questa pretesa di auto­sufficienza. Come disse De Mai­stre, l’uomo senza Dio non co­struisce un mondo contro Dio, ma contro l’uomo.

La critica del Papa però tocca an­che il cristianesimo moderno, perchè ha 'ridotto la speranza' originaria.

Giussani si chiese, riecheggiando Eliot, se la Chiesa non aveva «ab­bandonato l’umanità». In quello stesso senso di una riduzione del­la speranza originaria a consiglio morale.

Di valori proposti di­menticando l’evento di Cristo, su cui quei valori si fondano. Quan­te volte dal pulpito ci siamo sen­titi invitare a «essere buoni», ma senza capire in nome di che, giac­chè il fatto di Cristo, che fonda la bontà, passa in secondo piano, è scontato.

Il Papa scrive: «Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata ­buona - condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e per questo motivo non sarebbero per nulla strutture buone».

Il tema della libertà era molto ca­ro a Giussani. Ci diceva della pas­sione di Dio per la libertà del­l’uomo: di come avesse voluto che la sua creatura lo amasse, ma li­beramente. Ammettendo con ciò la possibilità del rifiuto e del ma­le. Contro il sogno ideologico – ed è ancora Eliot – di «sistemi tal­mente perfetti che nessuno a­vrebbe più bisogno di essere buo­no ».

La vita eterna, cioè il motivo del­la speranza, per il Papa è «rela­zione con Cristo».

Con Cristo, cioè con il Senso di tutto (il significato delle cose è il rapporto tra loro e con tutto) en­trato nella storia.

Era costante an­che in Giussani lo sforzo di mo­strare come le parole fondamen­tali della esperienza cristiana – fe­de, speranza, carità, quelle paro­le che il mondo svuota – sono at­tese originarie in ogni uomo. Chi, anche non credente, vuole spera­re che la sua vita possa cambiare, deve avere fiducia nel mondo, e deve legarsi a dei rapporti. La spe­ranza dunque è ontologicamente fondata sulla relazione.

Non na­sciamo monadi, fin dal primo i­stante non esistiamo soli.


Sembra di scorgere un’ansia co­mune alla radice, fra questi due uomini quasi coetanei.


Due uomini diversi, ma entram­bi profondamente cristiani e nel­lo stesso periodo storico. Ansiosi di fare ritrovare la speranza origi­naria. Quella di cui il poeta Jimé­nez scrisse: «Ora è vero. /Ma è sta­to così falso/ che ancora oggi sembra impossibile». Versi che Giussani in chiusura di quel libro commentava: «Quando uno in­tuisce il fatto cristiano come ve­ro, gli occorre ancora il coraggio di risentirlo possibile».

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