giovedì 13 dicembre 2007

MARIO E I RIBELLI

Tempi num.49 del 06/12/2007 0.00.00
Il libro, l'appello, il centro di cura al Niguarda di Milano. Per quelli come Melazzini la Sla non è una condanna. Perché non c'è cura alla voglia di vivere
di Cavallari Fabio

«La malattia non porta via le emozioni, i sentimenti e fa anzi capire che l'essere conta più del fare. Può sembrare paradossale, ma un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l'anima».



Così il professor Mario Melazzini nel suo libro Un medico, un malato, un uomo. Come la malattia che mi uccide mi ha insegnato a vivere, scritto con la collaborazione di Marco Piazza, giornalista e responsabile della comunicazione della Fondazione Telethon. L'oncologo pavese narra la sua storia, cominciata nel febbraio del 2002 quando scoprì di essere affetto da sclerosi laterale amiotrofica (Sla) fino ai giorni d'oggi, il calvario di un uomo di successo, lo sconforto, la sofferenza, il desiderio di farla finita prima di diventare un vegetale. E poi la reazione, la riscoperta della vita nonostante la malattia, anzi proprio grazie ad essa. Mentre la sua stessa professione acquista nuova profondità: il medico diventa malato e comprende la solitudine del paziente.
Oggi Melazzini non vuole più morire, ma «godere ogni minuto del miracolo di essere vivo». Attraverso questo percorso la sua battaglia personale è diventata una battaglia tout court per la vita. S'inserisce in questo solco l'appello "Liberi di Vivere" rivolto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, discusso alla Camera il 4 dicembre scorso. Nell'occasione sono stati presentati Un medico, un malato, un uomo e L'inguaribile voglia di vivere (ed. Ares) di Massimo Pandolfi (caporedattore del Resto del Carlino-Qn), un libro che raccoglie le testimonianze di otto persone affette da Sla o patologie simili. «Scopo dell'appello - spiega a Tempi Melazzini - è quello di sollecitare il presidente della Repubblica a stimolare maggiormente gli organi istituzionali nel supporto (economico e culturale) e nell'assistenza nei confronti del malato, con particolare attenzione ai pazienti affetti da Sla.

Attraverso questo testo chiediamo misure legislative adeguate a sostenere l'abbattimento del dolore nel percorso di cura e l'impegno a sostenere tutte quelle organizzazioni impegnate nello stare accanto ai malati e alle loro famiglie».

In un'epoca in cui il dibattito si concentra sulla richiesta della libertà di poter morire «noi chiediamo alle istituzioni che i malati e le loro famiglie siano finalmente messi nelle condizioni di essere liberi di vivere».
Per questo il 30 novembre è stato inaugurato al Niguarda di Milano il Centro clinico Nemo (NeuroMuscular Omnicentre), nato dall'idea di rispondere in modo specifico alle necessità di chi è affetto da malattie neuromuscolari.


Nemo si pone come primo e unico punto di riferimento per tutti i problemi fisici e psicologici che queste malattie comportano per i pazienti e i loro familiari.

Il progetto è nato dalla sinergia di Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare), Fondazione Telethon, Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e dall'Azienda ospedaliera Niguarda, diretta da Pasquale Cannatelli. Un buon esempio di sussidiarietà.

Melazzini, presente all'inaugurazione, ha parlato di «un progetto dove al centro ci sarà la persona nella sua globalità fisica, psichica, affettiva e relazionale. Un centro voluto dal malato per il malato e costruito dal malato stesso, nel quale il concetto di carico globale sarà uno dei requisiti fondamentali cui i professionisti che ci lavoreranno dovranno rifarsi».


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