lunedì 10 dicembre 2007

IL BASKET CHE FA " RINASCERE I DISABILI"


Sul blog "Alza lo sguardo"non puo' mancare quest'articolo.
Si parla sempre di integrazione,si cercano parole nuove per chiamare con maggior educazione chi viene considerato tutto sommato ultimo ma fortunatamente a volte si trova gente che riempie questi vocaboli.
Persone che cominciano a credere che i bambini down,autistici,celebrolesi,ecc...sono bambini con gli stessi desideri,con le stesse voglie di protagonismo di tutti gli altri.Bambini che possono giocare fra loro con gli altri (trovando strategie)ricevendo e dando gioia.
La grande integrazione dei nostri bimbi "diversi" troppo spesso sembra che la vogliano solo i genitori,le persone ti guardano con sguardo assai stupito.
A volte alcuni cercano di nascondere la loro perplessita' o altri (in genere sono quelli che si ritengono esperti)ti dicono che per LORO(intendendo i nostri figli) e' meglio un ambiente costruito a doc.Questa esperienza qui raccontata,dimostra come sia possibile un cambiamento imparando a guardare l'altro con occhi diversi.


La testimonianza di una madre: «Faccio grande sacrifici per portare qui mio figlio, ma perfino i medici si sono meravigliati del miglioramento che ha manifestato Umberto» • Lo stimolo dello sport e squadre miste con i normodotati: idea italiana di successo
di Massimiliano Castellani
Avere il coraggio di guardare al cielo, stare finalmente a testa alta. Facile direte voi. Una chimera fino a poco tempo fa per Alessandro (un ragazzino autistico) e i suoi compagni di una squadra di basket davvero speciale, che ogni martedì si ritrova alla stessa ora (14.30): appuntamento all'Oratorio di San Salvatore, quartiere di San Mauro, Pavia. Sono i ragazzi dello Special Team Annabella '87. Un gruppo stupendo di cestisti in erba che hanno scoperto i benefici del "Metodo Calamai": «Una concreta integrazione attraverso il gioco della pallacanestro tra giocatori diversamente abili e giocatori normodotati ».
Potere del basket e di un Metodo ideato da un italiano, che per la prima volta nel mondo è riuscito a rompere i ghetti delle diverse disabilità e mettere in comunicazione, sullo stesso campo, down, cerebrolesi, autistici, psicotici, caratteriali e normodotati, consapevoli di far parte di un'unica squadra. Da Bologna, dove il Metodo ha mosso i primi passi, l'anno scorso è arrivato qui a Pavia con il progetto "A canestro in modo speciale...".

A introdurlo e crederci fin dall'inizio sono stati proprio due ex giocatori del coach Marco Calamai: Chicco Falerni e Dante Anconetani. Lo hanno fatto con l'entusiasmo dei ventenni di ieri, del quintetto fantastico dell'Annabella '87, che si è rimessa insieme contando sull'apporto del medico sportivo di quella squadra, il dottor Albino Rossi, e della stessa sponsorizzazione, concessa dai fratelli Ruggero e Riccardo Ravizza, i figli del compianto commendator Giu- liano. Uno sponsor che consente alle famiglie di usufruire di un servizio alla modica cifra di 20 euro al mese. «È la somma simbolica, necessaria a coprire le spese d'assicurazione -spiegano Riccardo e Ruggero Ravizza -, ma le famiglie che non possono permetterselo mandano i loro ragazzi gratis».

L'importante è giocare, stare insieme, divertirsi, suscitando e ottenendo in cambio emozioni. Quelle che si provano vedendo il "cucciolo"Matteo, 5 anni, un bimbo down che si fa trasportare fin sotto al canestro a bordo di un carrello da supermercato, o Massimo, un ragazzone di 190 centimetri che prima di indossare la canottiera dello Special Team si presenta con il sorriso: «Piacere Massimo, adesso guardami che faccio un tiro da tre...».

C'è poi Lara la "dolce", e Stefania, un'altra ragazzina down, minuta, tutta concentrata nello slalom fino alla lunetta, e lì l'incanto: si ferma, respira e alza il suoi occhi scuri verso il canestro. Lo sguardo non striscia più a terra, ma rimbalza sempre più in alto. Una schiacciata alla solitudine, all'emarginazione, a quel senso di isolamento che si è rotto con il Metodo Calamai, ovvero con la scoperta di poter vivere in mezzo agli altri e fare gruppo anche con ragazzi normodotati.

«Intendiamoci -dice Chicco Falerni -non è stato sempre così, all'inizio perfino il pallone per molti era un oggetto sconosciuto. Oggi invece sanno che la palla è una compagna sincera, da tenere sempre stretta tra le mani». Un concetto, questo del «pallone amico», che piace anche ai volontari (una ventina), come l'avvocato Andrea Fiocchi, che il martedì pomeriggio lascia il suo studio, si toglie giacca e cravatta, indossa la tuta, puntuale all'appuntamento con lo Special Team. «La palla da basket, per molti di loro che non parlavano è diventata lo strumento per una nuova forma di comunicazione -spiega la professoressa Stella Lana -. Con il passaggio al compagno si innesca automaticamente un fraseggio, un modo per esprimersi. E questa è anche una nuova forma di apertura al mondo dal quale spesso o si nascondevano o non riuscivano assolutamente a farsi vedere». Ora i loro sguardi si alzano e si incontrano con quelli degli altri.

Alessandro, per tutti "Alex", quando è arrivato non parlava con nessuno e non voleva che qualcuno lo toccasse. Adesso va a canestro e poi abbraccia istruttori e compagni ai quali lo scorso Natale ha scritto una lettera che il dottor Albino Rossi non può fare a meno di commuoversi quando la rilegge. Il dottor Rossi è l'«uomo-spogliatoio» che cura anche le mamme e le nonne che aspettano la fine dell'allenamento socializzando nella saletta dell'Oratorio.

Elena e Pinuccia sono le «mamme ultrà», rispettivamente di Umberto 22 anni, la faccia da ragazzino «con due barre di Harringhton sulla schiena», e di Andrea, 11 anni, un bambino down di una dolcezza infinita. «Noi abitiamo oltre Salice Terme, per portare Umberto e un suo compagno agli allenamenti faccio 80 chilometri in macchina ogni settimana -dice mamma Elena -. Ma ne vale davvero la pena, perché il basket e questo Metodo ci hanno cambiato la vita. I medici si sono meravigliati del miglioramento fisico di Umberto». Anche Pinuccia è raggiante e con loro tutti i genitori che ormai si sono affidati allo Special Team. Una squadra dove tutti stanno sullo stesso piano. «Veloce, atletico, dai Maurizio..., -urla Dante Anconetani -. Nessuna concessione ai pietismi, per noi sono tutti uguali, si gioca per condividere così come esige uno sport di squadra completo come il basket». Alle 17,30 palloni a terra, foto di gruppo per il calendario di Natale. Si spengono le luci della palestra i ragazzi si abbracciano, le mamme si salutano, la felicità resta impigliata alla retina di quel canestro e martedì prossimo, alla stessa ora, a testa alta saranno ancora tutti qui a riprendersela.


La lettera di Alex

Sono contento di giocare con persone così gentili.
Persone che fanno stare bene altri bambini poco fortunati. Tornate sempre a fare i buoni con noi. Devo dire grazie a Dante persona speciale, aiuta me sempre.
Voglio restare a fare basket.
Devo diventare campione.
Fare capire alla gente che noi siamo speciali. Riusciamo a fare tante cose in modo diverso. Ale fa tanti auguri a tutti.
(Alex)


La mappa
I centri in espansione, quasi 300 gli utenti

In Italia ci sono oltre 250 persone con disabilità mentale che giocano rifacendosi al Metodo Calamai e con i prossimi centri in partenza si arriverà a 300 utenti, seguiti da 100 tra educatori, istruttori e volontari. In questo progetto sono coinvolte le Asl, la Fip, il Cip, varie Università e le società di basket professionistiche di serie A. I centri in funzione (oltre Pavia e Milano) sono: Ravarino di Modena, Centro di Terapia integrata per l’infanzia La Lucciola (30 minori); Bologna, Fortitudo Overlimits Emil Banca e i minori a San Lazzaro di Savena (65); Rimini, gruppo Special Crabbs (70); Cattolica (Rimini), Sporting Club Cattolica e Associazione il Pellicano (12); San Giovanni in Marignano (Rimini), Associazione di volontariato Pacassoni (20); Roma, Associazione Filo della Torre (10) Pesaro, Polisportiva Millepiedi e cooperativa il Labirinto (12); Fano, Ancona e Firenze sono i centri di prossima apertura nel 2008.


«Palla in mano, si superano i propri limiti»
Già guida di squadre professionistiche, ha avuto l'«illuminazione» visitando una comunità nel Modenese: «Adesso anche il ministro Melandri ne ha capito il valore»
di Massimiliano Castellani

«Il basket è l’unico sport che tende al cielo e questa è una rivoluzione per chi è abitua­to a guardare sempre per terra. La pal­la è un mediatore per far esprimere a pieno se stessi e riuscire a superare i propri limiti...». Parola del “filosofo” della pallacanestro Marco Calamai.

Se gli americani hanno inventato il ba­sket, Calamai è l’ideatore di un “Me­todo” per l’integrazione fra le persone meno abili e quelle normodotate rag­giunta grazie alla palla a spicchi. Dei tanti incontri fatti in campo dall’ex coach di serie A (oltre 300 partite alla guida di Venezia, Livorno, Pavia e For­titudo Bologna), fondamentale per lui è stato quello con la squadra che de­finisce semplicemente dei «miei ra­gazzi ». Dei globetrotters con tutti i pro- blemi possibili: dalla sindrome di Down all’autismo. Ex ragazzi al mar­gine e dissociati che ora convivono con volontari, studenti e quegli alle­natori dalla sensibilità unica, come Calamai, che dettano i tempi e le re­gole di un gioco che va ben oltre le due ore di allenamento settimanale.

«È cominciato tutto 13 anni fa – rac­conta Calamai – con un’illuminazio­ne. E la luce me l’ha trasmessa la co­munità la “Lucciola” di Ravarino di Modena, che ospitava ragazzi con gravissimi problemi psi­chici. Vedendoli fare sport (nuoto o equitazione), ho capi­to che forse il basket poteva dar loro una mano in più. Ma oc­correva andare oltre il basket tradizionale: quello che avevo giocato e che stavo insegnando da al­lenatore. Non ero uno specialista del­la disabilità e così ho puntato tutto su quella che io oggi chiamo “la compe­tenza incompetente”».

Da Ravarino il Metodo ha traslocato a Bologna, per poi arrivare nelle pale­stre e gli oratori di mezza Italia. «All’i­nizio qualcuno dei tecnici ha legitti­mamente pensato che fosse un’im­presa impossibile. A Falerni e Anco­netani, la prima volta che li incontrai a Pavia, dissi: se siete riusciti a far gio­care insieme certi zucconi di ameri­cani perché non dovreste farcela con questi ragazzi? Ce l’abbiamo fatta... Il segreto? Non accontentarsi, andare ol­tre. Aprirsi all’alto e agli altri grazie al basket, è servito a molti per cambiare postura fisica e ad alcuni ha consen­tito di cominciare a comunicare con il mondo, per la prima volta».

E poi c’è la parte del sano agonismo, perché il Metodo prevede tassativa­mente squadre miste, il quin­tetto «3+2» e cioè 3 normodati più 2 disabili in campo. «Con la Fortitudo siamo arrivati in fi­nale sia nel 2006 che nel 2007 al Torneo degli Oratori e l’ultima finalissima l’abbiamo persa so­lo di 3 punti». Ma per il coach Calamai non sono queste le sconfitte. «L’unica sconfitta che riconosco, che mi fa star male, è quando mi accorgo di aver perso qualche ragazzo per pro­blemi di adattamento o situazioni lo­gistiche, come genitori che non pos­sono accompagnarlo. Senza genitori il gioco finisce».

Perché il gioco si faccia sempre più se­rio ora serve anche il sostegno delle i­stituzioni. «Qualcosa si sta muoven­do. Recentemente ci siamo seduti a un tavolo con il giovane staff (cinque donne) del ministro dello Sport Me­landri: hanno capito l’importanza del nostro lavoro». E il Metodo Calamai, il cui messaggio già fa scuola anche negli Stati Uniti, a gennaio diventerà anche un libro.


Milano
«Velocifero» a canestro ma ora serve il pulmino

L’“allieva” imita il maestro. E in questo caso l’allieva è Laura Granata, una laurea in Scienze motorie e un tirocinio durato un anno alla palestra bolognese della Fortitudo del maestro Calamai, suo correlatore alla tesi in Psicologia dello Sport. Insegnamenti che alla Granata sono serviti a far decollare il “Metodo” anche a Milano, grazie all’apporto dell’Associazione sportiva dilettantistica “Il Velocifero”.

Una realtà consolidata nel recupero sociale dei disabili con attività avviate in 5 palestre milanesi. E con il Metodo Calamai anche qui è scattata la febbre da basket ed è nato il Dream Team Over-Limits.«Dallo scorso anno – dice il presidente del “Velocifero”, Maria Cristina Foresio Daprà – abbiamo raddoppiato i gruppi e le ore di allenamento utilizzando due palestre, quella di via Biraghi e quella del Liceo Berchet. In tutto ora abbiamo 30 ragazzi che seguono il Metodo». E i risultati anche qui sono stati eccellenti. «Il miglioramento più eclatante è stato quello di Paola, una ragazza affetta dalla sindrome di Down. Prima la sua frase idiomatica era “mi fa schifo”, e rifiutava il rapporto diretto con me. Ora sono la sua amica, perché la “presidentessa” ai suoi occhi è colei che la fa giocare a pallacanestro». Un gioco che ha un costo per “Il Velocifero”, e anche necessità primarie, «come un pulmino per portare i ragazzi da casa agli allenamenti, quello sì ci servirebbe tanto». (M.cast.)

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