mercoledì 19 dicembre 2007

QUEL SI CORALE CONTRO LO SCETTICISMO

Benedetto XVI e i giovani a Loreto
"Invincibile Speranza" è il titolo di un volume illustrato a cura di Giovanni Chiaromonte, edito dalla Libreria Editrice Vaticana, che raccoglie i discorsi pronunciati da Benedetto XVI in occasione dell'Agorà dei Giovani tenutasi a Loreto l'1 e il 2 settembre scorsi. Il corredo fotografico, accompagnato da alcune poesie di Davide Rondoni, è opera di Walter Ricardo Francone e del Servizio Fotografico de "L'Osservatore Romano". Allo stesso Rondoni si deve l'introduzione del libro che qui pubblichiamo.
Davide Rondoni



La giovinezza è l'epoca della solitudine. E dell'affollarsi.

Giorni, mesi, pochi anni dell'isolamento, e anche della moltitudine. Della scoperta delle rive del proprio continente, le spiagge del proprio corpo, le onde che battono venendo dal mare. E della scoperta di altre terre, misteriose, piene di inviti e timori, che appaiono all'orizzonte. Ma specialmente è l'epoca, breve e verticale, della solitudine.
Del sentimento a volte aspro della propria unicità. Della necessità di scorgere, di indovinare il profilo irripetibile della propria esistenza. Anni rischiosi.


La giovinezza sono mesi, pochi anni di fuoco interiore. E a volte anche espanso in gesti e avventure.
Un fuoco chiaro e oscuro. Uno slancio verso non si sa bene cosa, verso il segreto del proprio nome, l'oro del proprio corpo, le vetrate della propria intelligenza.
La giovinezza è senso di una promessa.
È vento. Un dolce e anche aspro vento.
Chi lo tradisce, gli adulti che lo fraintendono, chi lo deprime e chi lo mortifica sono da fuggire come un demonio. Eppure con mille libri, mille slogan, e infinite maschere, con turlupinature lo tradiscono, lo irridono. Quello slancio, e quel fuoco. Noi adulti lo tradiamo, nei nostri figli, dopo averlo forse tradito in noi stessi. Come se fosse, la giovinezza, una promessa a vanvera. Un sorriso destinato a rompersi, o a spegnersi contro i cieli lividi del tempo.
Molti, troppi adulti non credono più che la vita sia la realizzazione della promessa della giovinezza. E pensano, e fanno in modo che la vita sia il tradimento di quella promessa. Lo dicono con gli atti. Con le azioni e le parole spente. E con visi spenti. Lo proclamano dalle strabilianti réclame dei loro prodotti, poiché illusorie, lo infliggono con il becco dei loro spot, e con la risacca delle loro chiacchiere annoiate o brevemente effervescenti su tutto: sulla politica, su Dio, sull'amore...
Ma tu certo, tu sai - diceva Leopardi nei versi struggenti e radicali rivolti alla luna - "a qual suo dolce amore rida la primavera": È sempre stato così, lo sarà sempre. Per quanti stordimenti, per quanti invasamenti, insomma per quante distrazioni buttino tra le gambe dei ragazzi e delle ragazze sarà sempre vivo se non la certezza almeno il sospetto che il vento della giovinezza, il breve soffio ardente di quegli anni può trovare vele da colmare e un degno viaggio. Può trovare l'altra riva che attende gli avventurosi. Per quante pesanti eredità di cinismo, per quanti riversamenti di scetticismo, e per quante occhiate morte dietro occhiali eleganti, non si spegne né si spegnerà la radicale certezza che si è giovani per qualcosa. E che la primavera della vita, come quella della natura, rida verso un amore che ne può soddisfare e render fertile lo slancio. Verso una metamorfosi delle linfe e dell'aspetto che non lascia l'ultima parola all'inverno. "E la morte non avrà dominio", scriveva il bruciante poeta Dylan Thomas. Radicale certezza vissuta in solitudine, nella unicità dei propri ardori e dei propri abissali incanti. Nella singolare, dolcissima e tremante furia - chiusa o clamante - di ogni giovinezza. Nulla estirpa il segno di questa promessa dal cuore e dalle facce, dai corpi dei nostri ragazzi.
Il Papa lo sa. Perché lo sapeva Gesù. E perché lo sa Dio.
Oltre che ai saggi anziani profeti, ai Padri, Dio si rivolse ai ragazzi. Al ragazzo pastore Davide. E Gesù chiamò giovani uomini, e giovani donne. Il Dio di Abramo non ebbe paura della giovinezza ribollente di Davide. La chiamò, la lanciò al suo più alto destino. È così da allora. Uno diventando re, o un altro diventando un buon operaio, o un buon padre. O un buon artista.
Quel che è successo nella piana di Loreto non è altro che quella dimostrazione di coraggio di Dio. Che è come dire una dimostrazione di amore. Perché è facile, è senza rischio amare qualcosa di quieto, qualcosa che è già maturo, insomma qualcosa che difficilmente fa degli scherzi. È semplice, in un certo senso, amare il già disposto, una vita già salda, una forza già impegnata e costruttiva. Ci vuole invece più coraggio, bisogna attraversare il timore, per amare qualcosa che è in pieno rischio, che sta cercando la temperatura più alta, che si lancia in molte direzioni. Che è inquieto. Sarebbe più semplice giudicarla, attenderla al varco. Sì, la giovinezza è più comodo osservarla, analizzarla, e magari deprecarne gli eccessi. Come fanno i moralisti di oggi, e quelli di sempre. Dio invece ha preso il rischio di amare i giovani. E come lui il Papa. Specialmente, se così si può dire, gli ultimi Papi. Avendo imparato da tanti santi prima e intorno a loro. Da uno come san Francesco, o da uno come don Bosco. Da uno come san Filippo o da una come madre Cabrini, e poi dai tanti santi uomini all'origine del fenomeno detto dei Movimenti.
Questi pensieri venivano tra gli altri vedendo la moltitudine. Veniva il pensiero della solitudine. Della unicità. Non era una massa di giovani. Certo, era anche una straordinaria raccolta di giovani. Che non erano lì per qualcosa di secondario. Per qualcosa di intrattenimento. Ma erano lì per una risposta personale, solitaria e moltiplicata, all'azzardo di Dio. L'azzardo d'amore di Dio che ha la voce, la testimonianza, la figura del Papa. Che dice: io stimo la tua giovinezza e ti assicuro che è fatta per qualcosa di grande. Erano lì per rispondere. Forse con mille idee confuse o diverse in testa. Ma con un'unica risposta. Erano con diverse attitudini, diverse proposte, diversi stili, e diversi gradi di consapevolezza. Con diversi gradi di santità, e pure con diversi gradi di fede. Molti con molta fede, e molti con una fede così così. Però con un'unica risposta.
L'evento non è quello della moltitudine. Non è solo il grande abbraccio, il colpo d'occhio stupefacente. L'evento non è tanto quello dei pendii colmi, del silenzio infinito d'ascolto. Ma è, per così dire, l'evento dentro l'evento.

Quello della personale, della solitaria risposta. Del sì che un ragazzo dentro la sua esperienza di ragazzo dice a Dio, dicendolo al Papa. Questo è l'evento che insorge contro tutto lo scetticismo. Il colpo contro tutta la marea di no. Di presuntuoso diniego della promessa.

La parola "esperienza" è quella che più si adatta al momento della solitudine della giovinezza. Nella sua radice latina, è implicato il senso del rischio, della possibilità di perdersi e perire. Ognuno viene chiamato a scoprire avventurosamente il senso del suo destino, nell'esperienza che inizia a compiere poiché inizia a giudicare la vita. Senza giudizio non c'è esperienza, infatti, ma solo un ammasso di cose addosso agli occhi, addosso al corpo, alla testa.

Un ammasso utile a tener immobili e sotto controllo i giovani. Il Papa propone invece un giudizio, ovvero uno sguardo più profondo e più ampio sulle cose della vita dei giovani.

Uno sguardo che non sorvola sul male, proprio poiché è concentrato sul bene. Che non tace sul sacrificio, e proprio perché parla dell'amore. Perciò ne legge l'esperienza meglio di altri. E vede per che cosa è fatto l'abisso della giovinezza. A questo sguardo rispondono: sì. Come se lo dicessero a un destino buono promesso in tutte le fibre della loro giovane vita.
(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2007)

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