lunedì 17 dicembre 2007

BEATI VOI CHE AVETE IL PAPA

Tempi num.50 del 13/12/2007 0.00.00
«Non c'è differenza tra il Gesù storico e il Cristo della fede». Per Jacob Neusner,
lo studioso ebreo più citato da Benedetto, «quello che ci unisce è la verità»
di Persico Roberto

La celebrità è venuta col libro del Papa.
Ma da tempo Jacob Neusner è nel suo campo un'autorità indiscussa.

Nato nel Connecticut nel 1932, laureato ad Harvard, ordinato rabbino e specializzato in letteratura ebraica al Jewish Theological Seminary of America, dottorato alla Columbia University, con oltre 900 libri all'attivo è lo studioso di materie umanistiche più pubblicato al mondo.



Per dare un'idea del livello, basti dire che è il direttore dell'Enciclopedia ebraica e responsabile per l'ebraismo dell'Enciclopedia britannica. Oggi è membro di una mezza dozzina di prestigiose accademie, da Princeton a Cambridge, insignito di svariate lauree ad honorem, padre di quattro figli e nonno di nove nipoti.

Ora Un rabbino parla con Gesù - il libro ampiamente citato nel suo Gesù da Benedetto XVI - è stato ripubblicato anche Italia, e permette di incontrare un uomo che ha una concezione della fede, un'idea di dialogo tra le religioni e un'immagine della storicità di Gesù poco comuni: «Perché ho scritto questo libro? L'ho scritto perché mi piacciono i cristiani e perché rispetto il cristianesimo e volevo prendere sul serio la fede di persone che stimo. La mia vita professionale di studioso dell'ebraismo, all'interno del mondo universitario dello studio della religione, si è svolta perché i protestanti e i cattolici volevano che l'ebraismo venisse insegnato nelle università. Il mio sogno di studiare l'ebraismo si concretizzò in risposta ai miei insegnanti e poi ai colleghi, i quali vollero che le cose che io stimavo fossero presenti in quel centro vitale dell'insegnamento pubblico.

Questo è lo spirito con cui ho pensato questo libro: restituire qualcosa. Il cristianesimo - cattolico e protestante - ha fatto avanzare, nella mia vita, persone le cui convinzioni religiose le hanno spinte a rispettare la mia religione e a volerla conoscere meglio. L'unica maniera per ricambiare era dimostrare un ragionevole interesse per la loro religione e tentare di discutere con essa».
Il risultato è un libro straordinario, in cui Neusner, spazzando via tutti i sofismi che vorrebbero fare di Cristo una figura nebulosa o mitica, conduce il lettore davanti a un Gesù in carne e ossa, infinitamente più reale di quello di innumerevoli prediche cattoliche, e lo fa partecipare a un dialogo che ha tutta la concretezza di quel che è accaduto duemila anni fa sulle rive del Giordano.


Professore, cosa pensa della lettura che Benedetto XVI ha dato del suo libro?

È un uomo molto acuto, ha colto perfettamente l'essenza di quel che intendevo e risponde in maniera molto chiara. La sua risposta coglie il cuore della questione e comprende perfettamente quel che nel mio libro è in gioco.
Nel suo libro appare chiaramente che Gesù non può essere liquidato come un profeta tra tanti: egli pretende di essere Dio, e o è quel che pretende di essere o non è niente.
Il racconto evangelico appare chiaramente come un resoconto dell'insegnamento di Gesù, sulla base del quale si può svolgere il dialogo religioso.

Non vedo una distinzione tra il Gesù storico e il Cristo della fede. Uno dei punti chiave della mia lettura è che affermazioni come «il figlio dell'uomo è il signore del Sabato» e altre simili presentano il Gesù della storia come il Cristo della fede. Così il Vangelo propone una presentazione autentica della fede cristiana. La questione che individuo riguarda la Torah, e la questione che pongo è se Gesù insegna la Torah di Mosè, come afferma di fare. Il dialogo religioso comincia con la premessa che entrambe le parti sono sottomesse all'imperativo del Sinai.

Quando Gesù dice che non è venuto per distruggere ma per compiere la Torah, ci chiede di riportare il Discorso della montagna alla Torah del Sinai.
Una delle affermazioni più interessanti del suo libro è «una buona, argomentata discussione è considerata dalla Torah il mezzo più giusto di rivolgersi a Dio. Nella mia religione, la discussione rappresenta un aspetto della liturgia allo stesso titolo della preghiera. Non è soltanto un gesto di stima e di rispetto per l'altro, ma offre anche il dono dell'intelletto sull'altare della Torah». Un'idea lontanissima dall'immagine annacquata di dialogo corrente oggi.

Sì. Il Santo Padre e io concordiamo sul fatto che l'oggetto è la verità, e il culto reso a Dio è un atto di affermazione della verità. Credo che se noi prendiamo le nostre rispettive religioni seriamente abbiamo il dovere di paragonare le rispettive pretese alla verità. Così arriviamo a comprendere qual è il punto, ciò che affermiamo nelle nostre religioni, non solo quel che neghiamo nella religione degli altri. Le religioni non negoziano la verità. Insegnano la verità assoluta. Dobbiamo avere la stessa concezione di verità, altrimenti non può aver luogo alcun dialogo.

Non abbiamo da negoziare quel che credo io e quel che credi tu.
Quindi Israele ha il compito di insegnare al mondo il valore della discussione?

Sì. Noi ebrei abbiamo fatto della critica una forma di vita: pochi di numero ma fedeli alla verità del Sinai.

Lei crede che questo tipo di dialogo sia possibile anche con l'islam?

Difficile dirlo, perché l'islam è un mondo complesso [ma nel libro ha scritto «non posso immaginare che un ebreo, cresciuto in un paese islamico, potrebbe scrivere un libro simile su Maometto (e sopravvivere molto a lungo alla sua pubblicazione)», ndr]; è difficile definire cosa si intende per islam, non hanno un'autorità come il cristianesimo ha il Papa. È più facile dialogare con i cristiani attraverso il Papa: qui c'è un'affermazione chiara dei contenuti della fede, mentre ci sono molti islam.

Lo stesso vale per l'ebraismo: non c'è un Papa, e il papato non ha una controparte. La cristianità è fortunata ad avere il Papa, per la chiarezza che il papato le permette di avere.

Come è possibile però che due persone dicano una "sì" e l'altra "no" di fronte alla pretesa di Cristo, eppure rimangano amiche?

Quel che condividono è la verità religiosa, e questo è un solido fondamento per i rapporti umani. La fede è una sfida perpetua. Madre Teresa ha ricordato il dubbio che adombra la notte oscura dell'anima. Noi siamo confortati dalla fede degli altri, e quel che condividiamo è la ricerca di Dio nel mondo. Ogni religione ha qualcosa da insegnare alla vita spirituale dell'altra.

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