domenica 23 dicembre 2007

INTERVISTA A FERRARA


L’aborto è la sentenza di morte di una creatura creata e distrutta dal potere del desiderio: quello di avere dei figli e non averli, di amare e di odiare se stessi e l’umanità che è in se stessi al punto di amputarsi del frutto di quell’amore. È lo scandalo supremo che ci rattrista tutti.
DI PAOLO VIANA
Avvenire, 20 dicembre 2007



Il barrito dell’elefantino spezza i peana degli abolizionisti a senso unico: il giorno dopo la 'storica vittoria', il direttore del Foglio rilancia.

«Quella decisa dall’Onu contro la pena di morte è una Piccola Moratoria - sentenzia Giuliano Ferrara - che contiene in premessa le ragioni di una Grande Moratoria che invece passa sotto silenzio».

Quale sia l’ha scritto in prima pagina ieri mattina, firmando con il suo logo, appunto l’elefantino dei repubblicani statunitensi, un appello-editoriale che non dà spazio ad equivoci: «Ora la moratoria per l’aborto».

Ferrara, prima di tutto, cosa pensa della moratoria sulla pena di morte?

Sono contrario alla pena di morte. Ma sono un abolizionista che ragiona e mi chiedo se questo rallegrarsi nazionale non nasconda ipocrisia o facile umanitarismo. La giornata di martedì è stata storica perché la tesi abolizionista, attraverso la decisione delle Nazioni Unite, ha fatto un salto di qualità.

Non è più la scelta di un popolo ma una teoria dei diritti umani universali. Per questo ci rallegriamo, ma per lo stesso motivo non possiamo far finta di nulla se per ogni pena capitale legalmente comminata a un essere umano vivente e dotato di certificato anagrafico ci sono migliaia, milioni di pene capitali comminate, altrettanto legalmente, a esseri umani sprovvisti di quel certificato eppure altrettanto viventi, concepiti nell’amore e nel piacere e lasciati uccidere.

Considera l’aborto un omicidio di Stato?

L’aborto è una pratica legale che porta a sopprimere un concepito attraverso la chirurgia, oppure attraverso la pillola Ru486, che avrà sempre maggior diffusione. Quel concepito, che con il passare del tempo chiamiamo feto, è un essere umano: non lo è per l’anagrafe ma lo è per struttura cromosomica, perché ha un corpo, perché prova dolore, perché talvolta viene abortito vivo, com’è avvenuto a Firenze. Si chiamava Paolo e l’hanno battezzato prima di seppellirlo.

Perché il voto dell’Onu dovrebbe essere la premessa di una moratoria mondiale sugli aborti?

L’Onu ha deciso di considerare la pena di morte un male in sé, sia che derivi da un giusto processo, sia che derivi dalla sharia o da un sistema autoritario e totalitario. In entrambi i casi si uccide un uomo ma le premesse sono diverse. Se oggi ci rallegriamo è perché tanti paesi si sono trovati d’accordo sul fatto che non importa il modo dell’omicidio ma la sostanza.

Il mio appello alle 'buone coscienze' è che la smettano di chiudere gli occhi di fronte a quella dell’aborto, esecuzione legale di un essere umano che ha l’unica 'colpa', rispetto ai condannati a morte che non saranno uccisi in virtù di questa moratoria, di essere sprovvisto di certificato anagrafico. Una questione di 'forma' che permette tra l’altro di usare l’aborto come pratica anticoncezionale, chiaramente razzista, eugenetica e sessista in taluni paesi.

Si potrebbe dire lo stesso dello sfruttamento degli embrioni?

È una diversa dimensione del medesimo problema. E allo stesso titolo l’appello di Avvenire per una moratoria non verrà sommerso dagli applausi dei laici, anche se devo ammettere che la verità sta liberando molte menti.

Quanto peso ha in questa ritrosia quella che chiama 'schizofrenica e grottesca ideologia della salute della Donna'?

C’è chi si scandalizza che le verità laiche e religiose possano incontrarsi, e chi mi accuserà di considerare le donne delle assassine. Potrei replicare che il Concilio Vaticano II ha distinto perfettamente tra errore ed errante. Mi limiterò a ricordare invece che la società descrive l’aborto come un’extrema ratio ma si volta dall’altra parte quando viene praticato come semplice scelta relativista.

Clinton, che è un progressista, ha detto chiaramente che l’aborto deve essere sempre più raro.

La Chiesa e il Movimento per la vita, intelligentemente, non sono immediatamente abrogazionisti, ma chiedono che la legge 194 venga applicata realmente, restringendo in modo drastico, molto drastico e severo, i casi di praticabilità dell’aborto a tutela della salute femminile, perché i termini legali di quest’omicidio e la sostanza morale del suo peso nella nostra vita si riducano sempre di più. Nel mondo perfetto non ci dovrebbero essere aborti; anche in quello di un laico che ha a cuore la salute della donna.

Questa società dominata dal desiderio è pronta ad accogliere un simile appello?

L’aborto è la sentenza di morte di una creatura creata e distrutta dal potere del desiderio: quello di avere dei figli e non averli, di amare e di odiare se stessi e l’umanità che è in se stessi al punto di amputarsi del frutto di quell’amore. È lo scandalo supremo che ci rattrista tutti.

L’unico grande pensatore laico del nostro tempo, Benedetto XVI, ci ha indicato però una strada per cogliere l’evidenza della verità. Da illuminista cristiano ha parlato di un uomo che può avere o no la fede dei cristiani o altre fedi religiose, ma che riconosce dentro e fuori di sé i dati della ragione e con essi si entra in contatto al cospetto della realtà. È quello che chiedo di fare con il mio appello.

E la politica italiana è in grado di discuterne pacatamente?

Malgrado tutto, c’è un leader di partito come Veltroni che riconosce il diritto di chi ha la fede di portarla nell’attività politica e un ministro come il comunista riformato Ferrero che cita il Vangelo di Matteo come un testo che lo definisce, senza vergognarsene. Un buon segno, la stupidità laicista mi pare per lo meno in ribasso.

«La Chiesa e il Movimento per la vita non sono immediatamente abrogazionisti, ma chiedono ¬intelligentemente - che la 194 venga applicata realmente, restringendo i casi di praticabilità dell’interruzione di gravidanza per tutelare la salute della madre. Nel mondo politico si muove qualcosa: penso a Veltroni e a Ferrero» © Copyright Avvenire, 20 dicembre 2007


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