venerdì 14 dicembre 2007

ROSETTA BRAMBILLA

Un’italyana all’estero
Riccardo Piol



La sera del 6 settembre, a Roma Rosetta Brambilla ha ricevuto il premio promosso dal Ministero per gli Italiani nel mondo per la sua opera all’interno delle favelas brasiliane: 35 anni spesi a costruire asili, dispensari, corsi di formazione e di igiene e un centro per bambini abbandonati

Con l’ex sindaco di New York e il proprietario della catena alberghiera inglese Forte. Con Rudolf Giuliani e lord Charles Forte c’è anche il nome di Rosetta Brambilla tra i dieci “illustri emigrati” insigniti del Premio “Italyani”, promosso dal Ministero per gli Italiani nel mondo e consegnato con una grande cerimonia svoltasi il 6 settembre nella scenografica cornice del Vittoriano a Roma. Ad applaudire questi dieci “italyani” c’erano volti noti della televisione, come Pippo Baudo e Maria Grazia Cucinotta, le più alte cariche istituzionali del Paese, tanta gente comune e le troupe di Rai International, pronte a rimandare, a oltre 1.600.000 di nostri immigrati e oriundi sparsi per il mondo, le immagini di questa iniziativa «nata - come ha spiegato il promotore, il ministro Tremaglia - per valorizzare gli italiani all’estero che onorano il nostro Paese con traguardi apprezzati non solo in Italia, ma in tutto il mondo».

Rudolf Giuliani è stato primo cittadino di New York ed è apprezzato in tutto il mondo per il grande senso di responsabilità con cui ha guidato la città dopo i fatti dell’11 settembre; Charles Forte ha costruito un impero alberghiero. E Rosetta Brambilla? In oltre vent’anni di vita nelle favelas del Brasile la sua presenza ha voluto dire aiuto e speranza per migliaia di persone, soprattutto mamme e bambini che in questi anni sono passati per gli asili nati dalla creatività e dalla passione per l’uomo di questa brianzola ormai poco italiana e molto brasiliana.

Classe 1943, di Bernareggio, in Brianza, Rosetta comincia a lavorare da giovanissima in un’azienda di ceramica. Incontra don Giussani e l’allora nascente Comunione e Liberazione e comincia ad andare in Bassa con i tanti che in quei primi anni del movimento facevano caritativa con le famiglie povere del sud di Milano.

Poi nel 1967 fa la scelta della sua vita: parte per il Brasile. Vive tre anni a San Paolo al servizio di famiglie povere e favelados. Dal ’75 al ’76 è in Amazzonia, dove lavora come infermiera e perde in un incidente di lavoro la funzionalità di due dita della mano sinistra. Nel 1978 si trasferisce a Belo Horizonte. Da allora abita nella favela 1° de Maio e dalla sua presenza sono nati asili che oggi ospitano centinaia di bambini. Di loro e delle loro mamme viene da pensare che molti non sappiano che Rosetta è italiana - sua sorella dice che «ormai è talmente brasiliana nella testa e nel cuore che quando viene in Italia non vede l’ora di tornare in Brasile» -, sanno però che vuole loro un bene dell’anima, che li guarda come nessuno li ha guardati mai. Sanno che Rosetta è così perché ha incontrato Cristo, sanno che li tratta così perché è stata trattata così e perché ha un gruppo di amici attorno a sé.

Infatti, da quando è sbarcata in terra brasiliana, Rosetta non si è mai stancata di incontrare e aiutare tutte le persone che ha incontrato lungo il suo cammino. Un cammino faticoso, passato attraverso gli anni della teologia della liberazione, delle crisi che hanno colpito il Brasile e della povertà che non sembra mai finire di crescere. Un cammino costellato di opere, a iniziare dalla pastorale delle favelas nei primi anni ’80, che riuniva comunità impegnate nella promozione dei diritti degli abitanti delle favelas, e dalla prima legge pro-favelas, imitata in tutto il Brasile: il favelado è riconosciuto come cittadino e non può esser cacciato. E poi scuole, dispensari, corsi di formazione e di igiene. Fino ad arrivare ai giorni nostri dove, insieme ad Avsi, Rosetta ha aperto tre asili, un doposcuola e un centro per bimbi abbandonati. Oggi gli amici con cui lavora, quella che in termini tecnici si direbbe la sua équipe, sono settantatre: italiani e soprattutto brasiliani, impegnati con gli oltre 800 bambini che popolano chiassosi gli asili di Belo Horizonte. A loro ripete sempre una sola regola ferra: «Dovete guardare ciascuno di questi bambini come fosse l’unico al mondo». E loro, i bambini, se solo potessero, darebbero a Rosetta e ai suoi amici un premio ogni volta che li incontrano per le stanze o nel cortile. Darebbero tutto per quella signora che nella sera di Roma era un po’ impacciata tra tutta quella gente famosa. Darebbero tutto. E ogni volta che la vedono l’abbracciano e le sorridono perché è tutto quello che hanno ed è anche il segno di tutto quello che Rosetta desidera per loro.


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