domenica 20 maggio 2007

NEONATI TERMINALI SOLO PERCHE' A RISCHIO HANDICAP

Abbiamo paura di questi bimbi?
Abbiamo paura di loro o temiamo che ci rendano piu' seri di fronte alla vita?
Temiamo forse la fatica? perche' il messaggio che continuamente ci viene dato e di farci credere che la felicita' e' una vita priva di sacrificio!!!
Provare per credere vale la pena vivere la realta' che ci e' data.

È stato creato anche un termine apposta, handifobia, per indicare la paura della disabilità, e questa fobia incide culturalmente nella definizione di "figlio terminale" con la conseguenza di determinare su falsi presupposti quando sospendere l'attività rianimatoria nei bambini nati precoci.

L'eutanasia neonatale, nella gran parte dei casi, dunque non "cura" il neonato, ma cura noi stessi da queste fobie.



Da Roma
G.Rug.


È stato creato anche un termine apposta, handifobia, per indicare la paura della disabilità, e questa fobia incide culturalmente nella definizione di "figlio terminale" con la conseguenza di determinare su falsi presupposti quando sospendere l'attività rianimatoria nei bambini nati precoci.
Se ne parla all'ateneo Pontificio Regina Apostolorum, a conclusione del master di bioetica, e Carlo Valerio Bellieni, neonatologo, ha modo di precisare: «Oggi è definito terminale non il bambino che sta per morire, ma quello che ha possibilità di diventare disabile». In realtà, spiega il docente, questa neonatologia che conduce direttamente alla selezione naturale si basa su tre inesattezze: che sappiamo che sarà disabile già quando nasce; che i bambini prematuri sotto un certo numero di settimane saranno malformati e, ultima supposizione, che tutti i disabili sono infelici.Con il progresso della scienza medica, solo il 22 per cento dei bambini nato sotto le 25 settimane di gestazione e che pesano meno di mezzo chilo porteranno gravi disabilità che però a 6 anni, se opportunamente corrette, diventano disabilità medio-gravi. «La neonatologia - sostiene Bellieni, riprendendo il protocollo di Bologna del 2006 - deve assumersi l'onere della propria responsabilità, mostrando al pubblico che curare val la pena perché non si può cedere alla cultura di chi ha sull'esistenza uno sguardo così ristretto da vedere la fuga come una soluzione a difficoltà e a dolori». L'eutanasia neonatale, nella gran parte dei casi, dunque non "cura" il neonato, ma cura noi stessi da queste fobie. Un'altra paura è quella che Giuseppe Noia definisce «sindrome del feto perfetto» che induce e stravolge il concetto di screening. L'indagine servirebbe solo a individuare il feto anomalo e a sopprimerlo. «Questa dinamica - dice il docente di medicina prenatale - che sul piano antropologico sancisce un criterio eugenetico e selettivo e diventata una prassi consolidata».
Anche nella fase prenatale il concetto di "terminalità" è dato da parametri culturali, più che scientifici, se non addirittura da ignoranza in campo medico (si pensi ad esempio ai rischi in casi di infezione di rosolia). Noia riporta i dati europei riferiti a 537 cliniche; risulta che su 636.508 embrioni trasferiti è nato solo il 13,7 per cento. Ben 534.660 sono andati perduti. «È stata dunque solo una manipolazione culturale - conclude - che ha classificato come terminali questi embrioni sacrificati, mistificando il concetto stesso di terapia della sterilità».
Sui dati che Noia riporta nel libro Il figlio terminale, scritto con Sabrina Pietrangeli Paluzzi della onlus "La quercia millenaria", riflette Giuliano Ferrara: «È molto importate - dice - che il mondo cattolico e le istituzioni della carità cristiana esigano un impegno di riflessione su queste tematiche. La gente che per esclusione della cultura dominante è tenuta all'oscuro di questi problemi è invece importante e decisiva per cambiare queste tendenze». La "Quercia millenaria" è nata proprio per soccorrere i genitori che hanno un figlio terminale e accompagnare la piccola creatura nelle poche ore che le è dato di esistere.









Nessun commento: