lunedì 21 maggio 2007

I RISCHI DELLA DITTATURA DEI DESIDERI

Un nostro amico ha scritto una lettera pubblicata su "Il Gazzettino" del 11 Maggio 207

I rischi della dittatura dei desideri


Avendo avuto il dono di poter seguire in questi giorni gli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, predicati a Rimini da don Julian Carròn, il successore di monsignor Luigi Giussani, davanti a più di 25 mila persone e a tante altre collegate via satellite da vari Paesi del mondo, ho colto due punti che mi sembrano importanti per la discussione sulle sfide culturali del nostro tempo che tutti noi, credenti e non credenti ci troviamo quotidianamente ad affrontare.
La prima sfida

mi sembra ben riassunta da una frase dello studioso statunitense Richard Rorty, secondo il quale "Niente ci è dato. Non c'è niente in noi che non sia stato messo da noi stessi". È questa la negazione della originaria dipendenza dell'uomo dal Creatore e quindi la negazione della religiosità che è riconoscimento dell'evidenza che nessuno si dà la vita da sé.
A tale negazione, che riduce l'uomo a reattività e a essere manipolabile, si può rispondere solo con l'educazione, che consiste innanzitutto nel risvegliare nella nostra vita e in quella degli altri il senso religioso, fino al gesto della preghiera, che, come diceva don Carròn "è coscienza ultima di sé, della propria dipendenza costitutiva".

LA SECONDA SFIDA:
riguarda la cosiddetta "dittatura dei desideri", che sta distruggendo in vari modi la vita delle persone, delle famiglie e delle comunità. Occorre qui una conversione dei desideri, che non sono da negare moralisticamente, perché l'uomo è mosso da essi.
"I sensi - diceva sempre don Carròn - sono nostri servitori che percorrono tutto il mondo per trovare la Bellezza", ovvero Cristo, che "me trae tutto, tanto è bello", come richiamava il motto degli esercizi tratto da un verso di Jacopone da Todi.
Ma come è possibile vivere così? Vivere come uomini liberi che non negano il proprio bisogno e la propria istintività, ovvero la propria umanità, ma la ordinano allo scopo, al suo oggetto, a Cristo stesso?
Si tratta di aiutarsi a sottomettere la ragione all'esperienza, con l'aiuto di una fede amica dell'intelligenza e caratterizzata dall'amore, come ci testimonia continuamente Benedetto XVI.f.to Roberto Castenetto

Nessun commento: