giovedì 17 maggio 2007

DA SAN GIOVANNI A SANT' UBALDO,SCENDE IN PIAZZA ANCHE BETORI


Roma, 16 mag (Velino) -

È stato un fulmine a ciel sereno: nessuno si aspettava oggi parole come quelle pronunciate a Gubbio, nella festa del santo patrono Ubaldo, da monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei. Non ha fatto sconti a nessuno, non ha tralasciato i temi forti su cui negli ultimi due anni si sono registrati scontri anche duri, non ha ammorbidito i toni.



Il numero due della Cei, originario di Foligno, ricordando il vescovo Ubaldo ne ha messo in luce il carattere di “servitore della comunità ecclesiale e civile”, ben descritto da una frase del Siracide: “Premuroso di impedire la caduta del suo popolo fortificò la città contro un assedio”. Fu sant’Ubaldo, infatti, a porre fine all’assedio di Gubbio da parte del Barbarossa. Allo stesso modo i cattolici sono chiamati a combattere i “nuovi nemici che tentano di espugnare le nostre città”, ovvero il relativismo e il nichilismo, da cui discendono una serie di postulati “noti”: aborto, eutanasia, crisi della famiglia, sessualità intesa come opzione culturale anziché come dato oggettivo della natura, omologazione contro l’accoglienza.

Ciò che si rintraccia nel discorso di monsignor Betori – posto che è pur sempre un’omelia e non una prolusione – non è una novità nei contenuti: le battaglie che la Chiesa italiana indica sono pressochè le stesse da qualche anno. Gli stessi temi sono stati e sono del cardinale Ruini e di monsignor Bagnasco. E non c’è neanche una novità nei “toni”. Nonostante le reazioni – in gran parte delle associazioni omosessuali e della sinistra estrema – si concentrino su questi aspetti, non sono in realtà questi gli aspetti di novità che emergono dall’intevento del segretario della Cei. Più lecita sarebbe invece la domanda sulla tempistica dell’intervento: il segretario della Cei parla a pochi giorni dalla manifestazione laica del Family day e a ridosso della 57esima Assemblea generale dei vescovi italiani che si aprirà il 21 maggio prossimo e, soprattutto, torna a far sentire forte la voce della Chiesa italiana, dopo due mesi di “basso profilo” dovuto alle minacce rivolte al suo presidente, monsignor Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, e in un momento di “bocce ferme”, in cui apparentemente non ci sono cause scatenanti che richiedessero un intervento “forte”.

Apparentemente, perché il legame al laico Family day non è in realtà così remoto. L’evento ha avuto certamente un forte impatto sull’opinione pubblica, un impatto che non deve essere lasciato cadere e di cui la Chiesa vuole fare tesoro per le sue "battaglie". Il 24 maggio si aprirà anche la Conferenza sulla famiglia a Firenze, voluta dal ministro Rosy Bindi, e proprio la Bindi è stata inviata come esponente del governo ad accogliere Papa Benedetto al rientro dal Brasile. Scelte non casuali, e su cui la Chiesa non vuol fare calare il sipario. Betori ha ricordato che vincere una battaglia – come quella di San Giovanni – non significa aver vinto la guerra; l’assedio (per rimanere alla metafora) è ancora lungo. Basta leggere i giornali – dove la festa di piazza ha ben presto lasciato il posto alla querelle politica - per rendersi conto che i cattolici non possono lasciare la presa sui Dico e ancor più sulla famiglia. L’intervento di Betori segna anche una iniziale novità all’interno della Chiesa italiana. Rimanendo inalterata la sintonia col presidente – prima Ruini, ora Bagnasco – la lontananza di quest’ultimo dalla Capitale, nel caso unita a una particolare condizione di “sorvegliato”, lascia sicuramente più spazio di azione al numero due.

C’è un ultimo aspetto che emerge dalla lettura dell’omelia nella sua interezza: la logica con cui Betori propone le argomentazioni è rigorosamente ratzingeriana. Egli snocciola i suoi argomenti facendoli seguire uno all’altro secondo l’impronta propria di Benedetto XVI: dall’esempio all’attualità, e nell’attualità la preoccupazione principe del Papa: la deriva relativistica e nichilista, con quel che ne segue (gli effetti sono precisamente descritti). Poi il punto centrale: “Occorre avere consapevolezza di questa battaglia in corso attorno alla persona umana e alla sua dignità” e “riconoscere che può salvarci solo il riferimento al Dio creatore e alla sua legge scritta nei nostri cuori, e a noi rivelata in pienezza da Gesù che ci offre anche la grazia di adempierla”. È Gesù, il Gesù di Nazaret, uomo e Dio, il centro della predicazione del Papa, che qui viene riproposta. Betori chiude con l’invito – anche questo di ratzingeriana memoria – a vivere “etsi Deus daretur”, “come se Dio esistesse”. “La meta della santità, costituisce anche nel tempo presente il compito affidato alla testimonianza dei credenti” ha detto Betori ricordando l’invito di Giovanni Paolo II a vivere la santità come “‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria’” e quello di Benedetto XVI a vivere, rispondendo con il “sì” della fede al “grande sì che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza”. “Così – ha concluso Betori - sperimenteremo per noi e saremo capaci di testimoniare agli altri la bellezza della vita cristiana”.
(Marinella Bandini) 16 mag 19:


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