giovedì 10 maggio 2007

LETTURE INTERESSANTI


All'interno trovate i vari articoli.
Buona lettura

Cl, 26mila a Rimini: attratti dalla bellezza di Cristo


Ci battiamo per la famiglia quella rinnovata nella modernità
Costituisce la massima acquisizione della civiltà

AVVENIRE 9 maggio 2007
Lucetta Scaraffia


Gli studenti che lavorano puniti da Cacciari
Libero 8 maggio 2007
di LUIGI SANTAMBROGIO


Cari politici, non basta esser giovani
Libero 8 maggio 2007
di VENEZIANI


Con etica e idee la destra vince
LIBERO 8 MAGGIO 2007
di GIANFRANCO MORRA

Non basta la bellezza: la sconfitta di Ségo è la rivincita delle femmine vere
Libero 8 maggio 2007
di MAURIZIO GASPARRI


Benedetto XVI in Brasile. Ma intanto i "latinos" invadono il Nord
La quinta nazione al mondo con popolazione latinoamericana sono ormai gli Stati Uniti. Un'inchiesta del Pew Forum su un'emigrazione che cambia il volto del cattolicesimo, nel paese guida dell'Occidente
di Sandro Magister

Le lezioni di Carron agli esercizi spirituali con 26 Paesi collegati in videoconferenza Rylko: c'è bisogno di persone che rendano credibile Dio in una società che vuole farne a meno
Di Giorgio Paolucci

«Cristo me trae tutto, tanto è bello». Lo scriveva settecento anni fa Jacopone da Todi: un grido e insieme un desiderio inesausto, che abitavano il cuore del grande poeta medievale. Con quelle parole, con quel grido si sono misurati i 26 mila che hanno partecipato agli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e liberazione, da venerdì a domenica scorsi alla Fiera di Rimini. E insieme a loro, molti altri che hanno seguito le meditazioni di don Julian Carron - presidente della Fraternità di Cl - trasmesse in videoconferenza in altri 26 Paesi.
È stata la celebrazione del cristianesimo come bellezza, come fascinosa attrattiva per l'uomo contemporaneo che si guarda intorno smarrito alla ricerca di ciò che può reggere il peso dell'esistenza. Perché vale la pena, oggi, essere cristiani? Per l'ossequio a una serie di regole, per l'osservanza di un codice etico, o per una convenienza umana? È solo perché si «assaggia», perché si fa esperienza di una convenienza in termini umani, che si decide - e, come per molti che erano a Rimini, si ri-decide, spesso in età adulta - di dire «sì» a Gesù.
Il punto di partenza, seguendo il metodo proposto per cinquant'anni da don Luigi Giussani, è stato il paragone con l'esperienza elementare, con le domande ultime sul significato dell'esistenza, con il desiderio di felicità che abita il cuore di ogni uomo. Non si può incontrare Cristo, ha detto Carron, se anzitutto non si fanno i conti con i bisogni della propria umanità. Perciò il filo rosso che ha legato questi esercizi spirituali è stato il continuo, provocatorio richiamo alla vita quotidiana, l'invito a misurarsi con le sfide che si incontrano sul lavoro, negli affetti, in famiglia, nell'educazione dei figli, nelle battaglie civili, nella vita della Chiesa. Il cristiano è uomo sempre in lotta, come amava ripetere il «Gius»: guarda in faccia la fragilità e i limiti della condizione umana, e insieme si misura con un clima culturale ostile o indifferente, che fa coincidere l'essere moderni, l'essere «adulti», con l'emancipazione da Dio. Una tentazione che è insieme dentro e fuori di lui, e con la quale si deve misurare anche la comunità cristiana. Ma se è onesto con se stesso, l'uomo riconosce che l'esistenza è segnata dal limite. Oltre quel limite, c'è un Mistero che lo può colmare. Quel Mistero nella storia ha assunto il volto di Gesù e, attraverso la Chiesa, si fa esperienza contemporanea, fisicamente incontrabile, umanamente conveniente. Nell'omelia della messa celebrata sabato mattina, il presidente del Pontificio Consiglio per i laici, l'arcivescovo Stanislaw Rylko, ha sottolineato quanto ci sia «bisogno di persone che rendono credibile Dio in un mondo che l'ha dimenticato» e ha esortato i presenti a continuare la loro opera di testimonianza coraggiosa sulla strada inaugurata dal fondatore. Chi ha incontrato la Bellezza se ne sente «tutto attratto», come cantava Jacopone e come è accaduto a don Giussani e ai tanti che l'hanno seguito.
Poche settimane fa, incontrando 100 mila ciellini in piazza San Pietro, Benedetto XVI aveva ricordato che «lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere». E aveva rilanciato il mandato missionario di Giovani Paolo II al popolo di Cl perché questa testimonianza non conosca confini. Viviamo spalancati al mondo, ha ricordato Carron, perché la legge della vita è il dono di sé commosso. E ha citato le parole dell'Annuncio a Maria di Claudel: «Che vale la vita se non per essere data?». C'è chi l'ha data partendo per la missione in uno degli ottanta Paesi in cui il movimento oggi è presente. E c'è chi la offre tra le mura di casa, mentre lava i piatti e cresce i figli, testimoniando l'irriducibile positività dell'esistenza anche nella costruzione di una famiglia. Tutti, come Jacopone, attratti dalla bellezza di Cristo.


Ci battiamo per la famiglia quella rinnovata nella modernità
Costituisce la massima acquisizione della civiltà

AVVENIRE 9 maggio 2007
Lucetta Scaraffia
La famiglia che affermiamo con il Family day non è solo quella naturale, formata da una donna e un uomo che possono procreare, ma anche quella costruita storicamente, il laboratorio dove abbiamo sperimentato il problema fondamentale della modernità: cioè il conflitto fra diritti individuali e importanza dei legami sociali e affettivi per la vita umana e la società, fra desideri e necessità. Questa famiglia, infatti, ha salvato gli individui dalla cancellazione che le dittature del Novecento avevano provato a mettere in atto, costituendo una rete di protezione che ha funzionato - come racconta l'autrice del bellissimo romanzo Cigni selvatici - perfino nella rivoluzione culturale, atrocemente pervasiva, della Cina maoista. Dall'altra parte, la famiglia, con le sue leggi e i suoi legami, ha impedito finora che gli individui si riconoscessero solo in ciò che consumano e nell'immagine di sé che rimandano all'esterno. La famiglia è il luogo dove impariamo, fin da piccoli, a limitare le nostre esigenze e i nostri desideri di fronte ai desideri e ai bisogni degli altri, cioè a contenere la nostra onnipotenza in nome di legami affettivi, e a fare fronte alle dure esigenze della vita. Proprio per questo, nell'ultimo secolo, la famiglia è stata oggetto di un incessante lavoro di aggiornamento, prima sociale e culturale, poi legislativo. Così, per esempio, si è tolto al padre il potere nei confronti della moglie e dei figli, e in parte anche la responsabilità nei loro confronti, che oggi è condivisa con la moglie, come impone giustamente una società nella quale le donne hanno raggiunto l'eguaglianza con gli uomini. Diversi esperti - in primo luogo psicanalisti e psicologi - le offrono consulenze nei momenti di difficoltà, mentre il welfare, se pure non sempre efficiente, la solleva dalla cura dei malati gravi e dalla paura del futuro, garantito dalle pensioni. Tutto ciò, che è stato acquisito nella seconda metà del XX secolo, ha alleggerito la famiglia dai doveri più pesanti, e permesso che i rapporti familiari, liberi dalla necessità, si sviluppassero in senso affettivo e personale: ami di più tuo padre e sei più interessato a lui come persona se non sei costretto a lavorare per mantenerlo, e lo stesso succede con i figli che vanno alla scuola materna, o con i malati accuditi in ospedale. Ma questa nuova realtà, cioè tutto ciò che permette alla famiglia di essere liberata da molti pesi e la fa riscoprire come nucleo educativo e affettivo, ma soprattutto come scelta libera e non imposta, non sembra averne migliorato la sorte. Sembra quasi che, una volta liberi, troviamo meno interessante raccogliere la sfida di valorizzare quanto c'è di buono e di indispensabile nell'istituzione familiare per innestarlo nella libertà moderna. La scelta di fuggire dalla famiglia, scegliendo tipi di relazioni più "moderne" come le coppie di fatto, significa infatti abbandonare la sfida, e dimenticare con cecità e ingratitudine il nostro passato. Questo è il momento, invece, e il Family day lo afferma, di vivere appieno la famiglia rinnovata nella modernità, e di godere di quella che costituisce la massima acquisizione della società occidentale: essere individui liberi. Che sanno però difendere e valorizzare i legami sociali importanti, anche se - o proprio perché - questi non sono più imposti, ma costituiscono una scelta libera e consapevole.




Gli studenti che lavorano puniti da Cacciari
Libero 8 maggio 2007

di LUIGI SANTAMBROGIO
Con una mano dà, con l'altra prende. Prende ai poveri per dare ai ricchi, ancorché sinistri. Parliamo di Max, il sindaco Massimo di Venezia, che di cognome fa Cacciari. Filosofo per vivere, politico e teologo part-time per arrotondare. Il Doge della Laguna ne ha combinata un'altra delle sue. Anzi due. Prima fa il cascamorto con i fuoridizucca no global, poi sfodera il pugno di ferro o lo picchia sulla testa di alcuni studenti brianzoli. il comunista devoto, si lascia andare, derapa e sbraca, forse in sbornia di ossigeno dopo la conferenza in Vaticano sul libro di Ratzinger. Sentite la sua omelia, ieri, ai bravi ragazzi del Rivolta: «Se i Comuni non vi danno retta», ha solennemente scandito il barbuto lungagnone, «fate bene ad occupare. Anche un capannone del centro storico di Venezia. Poi, in qualche maniera ci si mette d'accordo». Incredibile, ma Cacciari. Il nipotino del sindaco è ancora sotto shock: lo zione, il papista, il frequentatore di Curie e Monsignortonini di tutta Italia, è finalmente tornato all'ovile natale. Più probabile che il filosofo si sia bevuto socraticamente il cervello e, data la location , pure fumato qualcosa di forte. Infatti aggiunge: «Siete stati davvero bravi, avete gestito il centro con imprenditorialità e competenza. Avete dimostrato con i fatti di avere la forza per vincere le gare d'appalto».

Occupate e vi sarà dato
Bingo! Eccola lì la parolina magica: appalto, commessa, contributi. Insomma, purissimi e sonanti schei . Casarini, informano le cronache, quasi in lacrime, abbraccia il sindaco che offre lo spettacoloso harakhiri e commenta: «Cacciari dice sempre cose intelligenti. Creative e talvolta provocatorie. Ha dato atto che noi siamo l'esperienza di quel Veneto che produce autonomia». Sì, l'autonomia di negriana memoria, nel senso di Toni Negri, altro ex filosofo con la canna (stavolta della pistola). Cambiamo ora scena e andiamo alla seconda balordaggine. Succede qualche giorno prima, giovedì 3 maggio. Di questo i giornali non danno notizia. Una gruppo di studenti (una trentina) di una scuola professionale del Milanese è fermo all'imbarcadero, al check point Tronchetto dove tutti i turisti pagano il dovuto balzello per poter accedere alla città. I ragazzi sono quelli di In-presa , Fondazione Emilia Vergani, un'associazione che opera nel sociale e per la formazione al lavoro. Vengono da Carate, in Brianza, ma non quella dei sciuri e tutta danèe : a scuola non ci vanno come i figli dei Ranzani in Cayenne: molti di loro sono di famiglie immigrate dal Sud, qualcuno extracomunitario, quasi tutti troppo vivaci o troppo normali (a seconda del punto di vista) perché la scuola pubblica li possa facilmente tollerare. Seguono corsi triennali e alla fine saranno un giorno cuochi, pasticceri, camerieri, parrucchieri. Per tutti, In-Presa è la prima vera chance e forse l'unica speranza. Perché anche un aspirante elettricista ha diritto di godere, per un giorno, della bellissima Venezia. Il gruppetto è diretto a San Marco, vuole assistere allo splendore delle lampade che indorano la piazza e la Basilica. Quando tireranno i cavi di un impianto elettrico o cercheranno il filo giusto tra gli intrecci di un pannello, il ricordo di quella luce forse renderà più lieve il lavoro. Bene, all'ingresso, chiedono il ticket ridotto; tutti gli studenti delle scuole ne hanno diritto. Ma i ragazzi brianzoli no: a loro tocca pagare il prezzo pieno. L'insegnante reagisce, chiede spiegazioni, protesta, s'incazza, strepita e minaccia. Alla fine, telefona in Comune. Ma è proprio dall'ufficio del sindaco che arriva la conferma del niet . Niente sconti, né due per tre: devono pagare tutto o menare le tolle dalla Laguna. Carta canta: c'è una delibera della giunta. E a questo punto, non resta che capitolare e consegnare il malloppo ai gabellieri del filosofo: 340 euro (al posto dei 120 scontati) uno sull'altro. Come i ricchi turisti americani. La lezione del Tronchetto vale di più di un intero ciclo di conferenze. Ragazzi dell' In-Presa , avete capito la filosofia del sindaco ostregheta? Chiara no? Okkupate e vi sarà dato, reclamate e vi sarà concesso, sfondate e vi sarà aperto, sfasciate e sarete coccolati & premiati. Tanto poi, come snicchia il Serenissimo da barricata (e da baraccone) «con il Comune ci si può sempre mettere d'accordo». Come Venezia insegna e Casarini impara. Se il paffuto Luca ha diritto alla libera occupazione, pure voi, ragazzi della Brianza, qualcosina la dovete pur pretendere. O no?
L'amico del cardinale
A meno che per il neo squatter che si crede sindaco, valga l'antica legge del dos pesos, dos misuras (e sempre la stessa faccia de tolla). L'anticristo (la definizione è di quel tipo tosto di Antonio Socci) della Laguna oscilla a giorni alterni tra il democristiano saggio, moderato, pacioso e l'estremista col passamontagna. E dire che, quanto lo vedi in tv, non puoi fare a meno di pensare all'altro veneto di classe, lo psichiatra Paolo Crepet. Stesso charme, stesso chic, stesso alito quaresimale, stesso modo di servirti la verità (la loro) con fastidio e sufficienza. Una coppia perfetta, separata alla nascita o forse solo dalle debolezze modaiole. Il pulloverino puro cachemire per lo strizzacervelli che deve le sue fortune (televisive, si intende) a una località turistica alpina di nome Cogne. Il completo fresco-lana e girocollo per il comunista pensante. Stiamo scherzando, ma è ben amara consolazione. Epperò, dopo tanto strologare, Cacciari deve finalmente chiarirsi e sciogliere il filosofico dubbio. È in ballo il fatale principio di non contraddizione, l'atout per chi ha fatto della filosofia il suo pane (e pure la pietanza) quotidiano. Insomma, Massimo, ci sei o ci fai? Delle due l'una, tertium non datur . Il latinorum è d'obbligo per lui che predica spesso e razzola volentieri nelle Cattedrali italiane, su invito di vescovi e cardinaloni. Che come il Massimo Bellabarba, amano di più i lontani e i non credenti, che i cattolici caciaroni (con una c sola) e un po' ignorantotti. Così volgari che andranno perfino in piazza per difendere fatti e principi non negoziabili (ogni riferimento al Family Day e alla Curia di Milano non è puramente casuale). Dopo aver svuotato chiese e parrocchie, magari con l'aiuto di sindaci, filosofi e intellettuali, la santa compagnia vorrebbe impedirne al popolo di godere dei tesori di città che hanno per via elettorale hanno conquistato. Ci vien voglia di prenderli sul serio e di mandare una squadra di senza tetto ad okkupare i loro bei uffici vista mare.
FILOSOFIA DI PACE Sabato mattina Massimo Cacciari ha inaugurato un centro sociale a Marghera. Ai no global ha detto: giusto occupare se i Comuni non vi danno retta Agf





Cari politici, non basta esser giovani

Libero 8 maggio 2007

di MARCELLO VENEZIANI
«Sin dalla più tenera età avverto l'orgoglio indicibile di appartenere ad una nazione grande, antica e bella, l'Italia. Amo l'Italia come si amano le persone care che ci hanno dato tutto. Adesso è arrivato il turno di restituire quello che mi ha dato... intendo riabilitare il lavoro, l'autorità, la morale, il rispetto, il merito. Voglio dare nuovo onore alla nazione e all'identità nazionale. Voglio restituire agli italiani l'orgoglio di essere italiani. Voglio farla finita con i sensi di colpa, che sono una forma di odio di sè, e con le recriminazioni, che alimentano l'odio altrui». Quando sentiremo un neo eletto presidente che fa questo discorso agli italiani, che è esattamente quello che ha fatto domenica sera Sarkozy ai francesi? Quando avremo un leader di destra cinquantenne, schietto e diretto, che si esprima in questo modo, senza complessi e tentativi di imitazione della sinistra? Lo dico pensando ai nostri leader che nella migliore delle ipotesi si vantano d'essere europei o occidentali, magari alleati e amici dell'America e nella peggiore si vergognano di essere italiani e che non citerebbero mai parole toste come identità, autorità, morale, onore, rispetto e merito. Lo dico ai Gracchi della politica italiana, Fini e Casini, ma anche agli altri pretendenti al trono. Tutti sono in preda al delirio mimetico, alla voglia di somigliare a Sarkozy e di stabilire una sorta di associazione di idee tra la propria candidatura e quella del neopresidente francese. Ma non basta avere la stessa età per sentirsi come lui; a quel punto meglio il gagliardo settantenne... Siate orgogliosi di essere di destra
Non vergognatevi di essere di destra, a viso aperto, magari senza l'ossessione di ripeterlo e di richiamarsi all'etichetta, ma puntando alla sostanza, ai contenuti. Invece qui stiamo tra gli equidistanti che si barcamenano e che si dichiarano centristi, credendo di essere più furbi e con un target più largo; e quelli che credono di acquistare credito presso la stampa, i poteri forti e gli avversari, scimmiottando le loro posizioni e attenuando, anzi sbiadendo la propria identità e la propria origine. Ha puntato sulla sicurezza, Sarkozy, mentre noi continuiamo a pensare che basti dichiararsi per la libertà, o per la libertas come recitava lo scudo crociato di una volta. Ma la libertà la devi pure riempire di contenuti, devi pure distinguerla da liberazione, che sia in senso storico che in senso ideologico assu- me un significato opposto a quello di chi invece ha il coraggio di coniugarla con la sicurezza. Perché liberazione implica il desiderio di liberarsi da qualcosa, dalla propria identità, dalla propria civiltà, dall'appartenenza ad una famiglia, a un luogo, a una lingua, a una religione, a ogni tradizione. E invece libertà come la intende la gente di destra, implica libertà non da qualcosa ma per qualcosa, ovvero implica la responsabilità, il dovere, e si coniuga con la tradizione, con il merito, con il riconoscimento del valore personale e dei compiti da assolvere. È una libertà per l'essere e non per disfarsi dall'essere. Una libertà che non è solo quella dei libe- rali e che riguarda l'individuo più il libero mercato; ma una libertà che implica anche il legame con una storia, una civiltà, una comunità e una famiglia. Si è anche liberi per qualcuno, in vista di qualcosa, per costruire e per partecipare ad un progetto comune. L'attacco al Sessantotto
Sarkozy si è richiamato alla comunità francese, e perfino all'orgoglio nazionale, pur essendo europeista e persino più aperto all'alleanza atlantica di tanti suoi predecessori, gollisti o socialisti. E non ha avuto timo- re di attaccare la madre di tutte le presenti sinistrerie, riformiste o radicali, vale a dire il sessantotto, indicando come sua stella polare il principio opposto allo spirito della contestazione: il richiamo all'autorità, senza la quale le società si sfasciano. L'autorità garantisce la libertà molto più di ogni altra cosa, garantisce il diritto e il rispetto della legge, e la gerarchia delle responsabilità; chi è più in alto ha più responsabilità, si carica di più doveri. I suoi onori vanno di pari passo con i suoi oneri. Non è facile esercitare un'autorità e soprattutto non è comodo. Sarko queste cose le ha dette, poi vedremo se saprà pure farle; come ministro dell'interno ha già dato un buon biglietto da visita. Badate che non sto parlando di un politico che viene dalla destra classica e nemmeno di uno imbevuto di ideologia: ma parlo di un pragmatico, di uno che si sa muovere nel presente, tra i cocci infranti della modernità e delle vecchie ideologie, che sa essere duttile e flessibile. Sarà conservatore, ma è tutt'altro che antiquato. Mi piacerebbe piantare anche in Italia l'albero dei Sarkozy ovvero la pianta da cui germogliano leader che sanno interpretare con decisione, calma e pazienza, il rigore di una posizione di destra, ben radicata ma anche attuale. Se dovrà vedersela con la nostra Ségolène che è Madame Walter Veltronì, e non con un mezzo democristiano di sinistra come Prodi, il candidato del centro-destra dovrà saper incarnare il rovescio di Veltroni l'afroromano, tutto fiction, bambineria e pappa umanitaria. Uno come Veltroni non farà mai un discorso come quello di Sarko ma il suo esatto opposto; e invece quelle parole che abbiamo riportato in testa a queste righe, sono esattamente quello che la maggioranza degli italiani vorrebbe sentirsi dire da un leader vero e affidabile di un'Italia che riscopre la sua dignità. Libertè, securitè, identitè, la nuova triade della rivoluzione conservatrice francese. Ma in versione italiana.





Con etica e idee la destra vince
LIBERO 8 MAGGIO 2007
di GIANFRANCO MORRA
Che avrebbe vinto era previsto. I francesi hanno preferito il gallo ruspante alla gallina d'allevamento. Ruspante il primo per formazione politica, esperienza di governo, coraggioso decisionismo. D'allevamento l'altra per gli arretrati luoghi comuni della "gauche", il grigiore del politicamente corretto, il sentimentalismo ideologico vittimista e risentito. Eppure Sarkozy, ancor più che con la forte personalità, ha vinto con le idee, con il programma che ha saputo proporre e far accettare dai francesi. Che non era solo politico, ma qualcosa di più. Era un appello a ricostruire la comunità sui fondamenti morali e civili della nazione. Sulla vittoria di Sarkozy dovrebbero riflettere a lungo i nostri politici, soprattutto quelli della Casa delle Libertà, sempre più sbandata e dispersa. In politica servono i sondaggi, gli spot, gli staff, il video, le convention e gli show. Ma più di tutto servono le idee. E anche se, per fortuna, le idee impazzite della politica, le utopie totalitarie, sono cadute, non perciò si può fare politica alla giornata. L'uomo d'azione non è il pragmatico che morde l'ora che fugge, ma colui che sa giorno dopo giorno inserire in una realtà che continuamente muta un disegno ideale di lunga durata. Tale disegno, che con Sarkozy ha vinto, ha un nome: destra democratica. Proprio ciò di cui, in Italia, non c'è la minima traccia. La destra democratica di Sarkozy non ha battuto soltanto la sinistra di Ségolène, ma anche il centro di Bayrou e la destra sciovinista di Le Pen. Tre avversari che hanno i loro corrispondenti anche in Italia. Una destra democratica, infatti, non deve opporsi solo, per incompatibile Dna, a ogni sinistra, radicale o riformista che sia. Ma anche a quel centro che, con la sua "moderazione" (intrallazzo) e con le sue "convergenze" (opportunismo), costituisce una palude politica che inghiotte ogni progetto di rinnovamento. E nulla ha in comune con quella destra velleitaria e antidemocratica, che ha ereditato il suo oltranzismo sociale proprio dal fascismo di sinistra. Trascorsi gli anni della "destra storica" (1860-76), l'Italia non ha più avuto niente che assomigliasse alla destra. Solo con la fine del sistema dei partiti nacque un Polo di centrodestra: che tale era solo perché rivale del centro-sinistra, anche se in esso la destra si scoloriva sempre più. Di centro il Cdu, erede della centrista Balena Bianca; alleata con la destra, ma non di destra, Fi; lontano e insieme vicino a destra e sinistra la Lega, partito regionalista pedemontano disposto ad allearsi con chi le concede briciole di "federalismo", cioè spazi di potere nel Nord-Est; sempre più centrista (non senza occhiate a sinistra) An di Fini, nel comprensibile intento di sostituire Fi nella leadership della coalizione. Il Polo e la Casa furono alleanze elettorali, che non sono mai divenute, in senso proprio, politiche. Per la mancanza di idee e per l'idiosincrasia per la cultura dei principali leader. In tal modo da noi la destra democratica deve ancora nascere. E proprio nel momento in cui, come mostra il successo di Sarkozy, gli europei attendono un mutamento radicale rispetto alla politica dello Stato assistenziale inventata e fatta fallire dalla sinistra. Che ha prodotto crisi economica, individualismo sociale, invasione extracomunitaria, paralisi dei servizi, insicurezza dei cittadini, distruzione della famiglia e della scuola, degradazione della gioventù. Ciò che il nuovo presidente francese ha proposto è la giusta convergenza di tradizione e riforme, di idealismo e realismo politico (mai utopia o machiavellismo), di identità nazionale e dialogo fra le civiltà (mai nazionalismo o perdita dell'identità). Un progetto che, contro le vecchie e fallite ricette del welfare, assume il liberalismo economico, ma lo utilizza per aumentare il reddito e la solidarietà. Sarkozy ha espresso le sue idee in due brevi fortunati libri ("La Repubblica, la religione, la speranza", 2005, e "Testimonianza", 2006). Con linguaggio chiaro e deciso, così raro nei politici, ha mostrato che le radici della crisi attuale non sono in prima istanza economiche o politiche, ma morali e religiose. E che solo la convergenza delle due tradizioni cattolica e liberale può consentire alle nazioni europee di ritrovare, insieme con la loro "anima", anche le energie per riprendersi e progredire. Destra democratica significa, anche, liberalismo religioso, che Sarkozy ha riassunto con le parole «giustizia, ordine, merito, lavoro, responsabilità» - l'equivalente attuale del trinomio della destra: «Dio Patria Famiglia». E i francesi lo hanno premiato.





Non basta la bellezza: la sconfitta di Ségo è la rivincita delle femmine vere
Libero 8 maggio 2007

di MAURIZIO GASPARRI
Ed ora tutti ad applaudire Nicolas Sarkozy, anche quelli che non lo avrebbero mai votato. Gli scrive Prodi, ne parla Amato, plaudono Mastella e Capezzone. Ma il nuovo Presidente della Repubblica francese non ha nulla a che fare con la balbettante e ridicola politica all'italiana di certi esponenti. Con Sarkozy ha perso la retorica del "politicamente corretto". Quell'insieme di comportamenti e di affermazioni equivoche, equidistanti o equivicine, che impongono di non prendere mai una posizione chiara. Il "politicamente corretto" è quella sindrome, molto diffusa nella politica italiana, per cui bisogna compiacere gli avversari o gli editorialisti dei grandi giornali progressisti invece di farsi capire dai cittadini, che vogliono affermazioni nette e comprensibili. L'esempio francese chiarirà le idee a molti politici italiani? La finiremo con i balletti in cui troppi sembrano essere d'accordo, mentre un sano e democratico confronto bipolare deve fare emergere idee diverse? Seppelliremo il "politicamente corretto" insieme alla sconfitta di Ségolène Royal e alla crisi della sinistra italiana. E poi faremo anche qui il processo al '68. Faccio parte di una generazione politica che, a destra, troppe volte si è sentita dire che anche noi avremmo perso l'occasione in quegli anni della contestazione. Ce lo siamo sentiti ripetere troppe volte, in anni in cui il nostro spazio politico veniva compresso. E invece il '68 era pieno di errori. Ha portato la diffusione della droga, il germe della violenza politica e quindi del terrorismo. Il '68 continua a produrre effetti nefasti in Europa e Sarkozy ha avuto il coraggio di attaccarlo in maniera diretta e frontale. Tra poco ci sarà l'orgia delle celebrazioni dei 40 anni dal '68. Organizziamo invece anche noi un processo al '68 ed agli errori che ha causato. E poi pensiamo ai temi dell'identità, dell'immigrazione, sui quali Sarkozy ha parlato chiaro mentre in Italia troppi si mostrano esitanti. C'è poi da dire qualcosa sulla presenza delle donne in politica. Voglio essere "politicamente scorretto". È giusto incrementare la presenza femminile ai vertici delle istituzioni. Su questo fronte siamo ancora troppo indietro. Il centrodestra è in ritardo. Ma è un tradimento della valorizzazione delle donne in politica trasformarle soltanto in oggetti del desiderio. Da proporre con grandi operazioni mediatiche. Diciamoci la verità, questa è stata la performance di Ségolène Royal. Chiamata per nome in tutto il mondo da persone che non l'avevano sentita nominare fino a qualche mese fa e che ne parlavano come se fosse la sorella o la vicina di casa. La Royal ha detto cose false durante la campagna elettorale, smentita e tritata dalle verità di Sarkozy. Si è puntato più sul suo innegabile impatto estetico che sulla sua traballante qualità politica. Le donne devono avere più spazio, ma non si può scambiare un duro e aspro confronto elettorale con un concorso di bellezza. È un tradimento proprio dell'universo femminile agire secondo queste logiche estetico-maschiliste di altri tempi. E ora auguriamoci che l'era Sarkozy produca effetti anche in Italia. Ricordando che la preparazione della vittoria è partita dalla costituzione di un nuovo e grande partito unitario del centrodestra. A qualcuno fischiano le orecchie? Al lavoro fratelli. L'Italia - e l'Europa - s'è destra... gasparri@tin.it


Benedetto XVI in Brasile. Ma intanto i "latinos" invadono il Nord
La quinta nazione al mondo con popolazione latinoamericana sono ormai gli Stati Uniti. Un'inchiesta del Pew Forum su un'emigrazione che cambia il volto del cattolicesimo, nel paese guida dell'Occidente

di Sandro Magister



ROMA, 9 maggio 2007 – Il viaggio di Benedetto XVI in Brasile è il primo che egli compie, da papa, al di fuori di quel mondo che appare essere più suo: l'Europa e l'Occidente.

Ma i confini tra l'America latina e il Nord del mondo non sono più così netti. Con 37 milioni di immigrati ispanici, gli Stati Uniti sono ormai la quinta nazione al mondo – e presto saranno la quarta – per quantità di popolazione latinoamericana, dopo Brasile, Messico, Colombia e Argentina e davanti a tutti gli altri paesi del Centro e Sudamerica. Un cattolico su tre degli Stati Uniti proviene dall'America latina, parla spagnolo o portoghese e frequenta preferibilmente le chiese dove trova fedeli anch'essi venuti dal Sud.

Inoltre, quasi la metà degli immigrati ispanici negli Stati Uniti si identificano come carismatici, esattamente come avviene nei paesi di provenienza. E questo modifica sensibilmente il paesaggio religioso degli Stati Uniti, anche per quanto riguarda la Chiesa cattolica. I latinoamericani non solo rivoluzionano i numeri, ma cambiano la forma in cui il cattolicesimo è vissuto nel paese guida dell'Occidente.

Un'inchiesta del Pew Forum on Religion & Public Life, pubblicata negli Stati Uniti proprio alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Brasile, ha studiato per la prima volta a fondo questa imponente trasformazione, che avrà forti riflessi sul futuro del cattolicesimo mondiale.

Il testo integrale della ricerca è nel sito web del Pew Forum:

> Changing Faiths: Latinos and the Transformation of American Religion

Eccone i risultati essenziali, punto per punto:


RELIGIONE E DEMOGRAFIA


Più di due terzi dei "latinos" negli Stati Uniti, il 68 per cento, sono cattolici. E di questi il 28 per cento si qualificano come carismatici, proporzione che sale al 70 per cento tra gli immigrati di confessione protestante.

I cattolici sono in proporzione più alta tra gli immigrati dal Messico. I protestanti sono più numerosi tra quelli che vengono da Puerto Rico. I senza religione, una piccola porzione del tutto, sono in quantità maggiore tra chi proviene da Cuba.

Il Pew Forum prevede che da qui al 2030 i latinoamericani saliranno dal 33 al 41 per cento dei cattolici degli Stati Uniti.


PRATICHE E CREDENZE RELIGIOSE


Rispetto agli altri cattolici degli Stati Uniti gli ispanici sono più devoti alla Madonna, pregano di più i santi, ritengono la Bibbia parola direttamente ispirata da Dio, vanno più spesso in chiesa, danno alla religione un posto più importante nella vita.

Inoltre, una buona metà dei cattolici "latinos" crede che Gesù tornerà sulla terra presto, durante la loro vita. E tre su quattro sono convinti che Dio assicura ricchezza e salute a coloro che hanno fede.


CATTOLICI E CARISMATICI


A differenza degli altri cattolici degli Stati Uniti, di cui solo uno su dieci si definisce carismatico, tra i cattolici "latinos" si definiscono tali il 28 per cento: una proporzione che aumenta di molto se si guarda non alle classificazioni ma ai comportamenti tipici di questo cattolicesimo puritano, comunitario, ispirato, con frequenti esperienze soprannaturali, dalle guarigioni al parlare in lingue sconosciute.

Rispetto agli altri cattolici, i carismatici di provenienza latinoamericana sono anche molto più fedeli alle dottrine tradizionali della Chiesa: credono che il pane e il vino della messa siano realmente il corpo e il sangue di Gesù, si confessano, recitano il rosario.


CONVERSIONI


Tra gli emigrati dall'America latina uno su cinque ha cambiato religione, quasi tutti per il "desiderio di una più diretta e personale esperienza di Dio". Pochissimi dicono di aver abbandonato la Chiesa cattolica perché insoddisfatti delle sue posizioni su questioni come il celibato del clero o il divieto del divorzio, oppure per il modo "non vivo nè coinvolgente" con cui si celebra la messa (bocciatura peraltro condivisa dalla metà di essi).

Rispetto alle altre credenze, i cattolici "latinos" esprimono un giudizio favorevole per i cristiani evangelici nella misura del 42 per cento di giudizi favorevoli, per gli ebrei nella misura del 38 per cento, per i protestanti pentecostali nella misura del 36 per cento, per i mormoni nella misura del 32 per cento, per i musulmani nella misura del 26 per cento, per gli atei nella misura del 17 per cento. I non favorevoli per lo più non si pronunciano. Tra le altre confessioni, spicca il giudizio altamente favorevole (77 per cento) dei pentecostali per gli ebrei.


CHIESA ETNICA


Negli Stati Uniti, le chiese frequentate dai cattolici "latinos" sono per i due terzi degli intervistati quelle in cui si verificano tutte e tre queste condizioni: la messa è celebrata in spagnolo o in portoghese, i fedeli appartengono alla stessa etnia e i preti sono ispanici.


RELIGIONE E POLITICA


Mentre la maggioranza dei cattolici non ispanici preferisce che la Chiesa si tenga lontana dalla politica, i "latinos" la pensano diversamente: il 57 per cento chiedono che la Chiesa si pronunci volta a volta sulle questioni sociali e politiche. E il 44 per cento lamentano che i leader politici manifestino "troppo poco" la loro fede religiosa.

Il 52 per cento dei cattolici provenienti dall'America latina sono contro il matrimonio tra omosessuali, il 54 per cento sostengono che l'aborto debba essere illegale, il 40 per cento si oppongono alla pena di morte, con proporzioni maggiori tra chi va a messa più di frequente.

Sette "latinos" su dieci, sia cattolici che protestanti, dicono che le Chiese non dovrebbero dare indicazioni su partiti e candidati. Nel voto, i cattolici ispanici si dichiarano per il partito democratico tre volte di più che per il partito repubblicano(48 per cento contro 17 per cento), al contrario dei protestanti che sono a maggioranza repubblicani.

In ogni caso, quasi la metà dei cattolici "latinos", al pari dei protestanti, sono convinti che i mali sociali sarebbero sanati se più persone si avvicinassero a Cristo.




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