martedì 29 maggio 2007

GLI USA RISCOPRONO LA FAMIGLIA


Claudio Risé, da “Il Mattino di Napoli” del lunedì, 28 maggio 2007

...la famiglia duratura ispira negli esseri umani un progetto capace di mobilitare le loro energie migliori, affezionandoli alla loro vita, e migliorandola...

Gli anni 70 stanno finendo ora, in tutto il mondo occidentale. Si sono prolungati per quasi un quarantennio: finché non sono finiti i soldi che hanno ispirato quello stile di vita, e non si sono accumulate le statistiche sui guai che comportava. Uno dei miti degli anni 70 più in crisi oggi è quello della “fine della famiglia”. A svelarlo sono (con molti altri indicatori), i dati di provenienza dagli Stati Uniti, dove quella crisi era più profonda, e pervasiva.
All’inizio del millennio i dati erano disastrosi: un matrimonio su due, negli Stati Uniti, finiva con un divorzio, e la previsione era quella di arrivare, nel giro di quindici anni, a due su tre. Da allora le cose hanno preso una piega diversa. Quella tendenza resta forte nelle classi sociali con scarsa istruzione, che le colloca ai livelli più bassi della società americana. Fra loro la percentuale è sempre quella: un matrimonio su due salta. Anche per la persistenza, nei gruppi meno istruiti, dei miti edonistici degli anni 70, ancora diffusi dagli strumenti più popolari del sistema delle comunicazioni: svalutazione del sacrificio, mito del piacere immediato e prolungato, preferenza all’appagamento dell’Ego rispetto a progetti condivisi e di lungo respiro, meno smaccatamente “brillanti”.
I meno istruiti (che nel sistema scolastico americano non sono istruiti affatto), credono ancora in quel mito del “tutto e subito” che, appunto dagli anni 70, ha ben dimostrato, anche in Europa, i suoi effetti di indebolimento, e potenziale dissoluzione sulla personalità dell’individuo, e sulla comunità in cui vive.
Tra le coppie con istruzione universitaria però, che rappresentano la tipica “classe media americana”, la percentuale dei divorzi è fortemente diminuita, finendo per collocarsi attorno al 16%, poco più di uno e mezzo su dieci. E la tendenza continua: divorziare non è più di moda, ed è sempre più spesso considerata una jattura.
Come mai un cambiamento di mentalità così profondo, nel giro di poco più di un quindicennio (l’anno di svolta, in questo come in moltissimi fenomeni sociali internazionali, è stato il 1990)?

Le constatazioni empiriche hanno certamente fatto la loro parte. La diffusione continua dei divorzi produceva povertà per tutti: per le donne, per gli uomini, per lo Stato. Gli uomini espulsi dalle famiglie dalle sentenze di divorzio, col loro carico di “alimenti”, la casa perduta e lasciata alla moglie e ai figli, sono diventati tutti molto più poveri, e molti sono finiti con l’infoltire le schiere degli homeless, dei senza casa.
Anche le donne, senza il sostegno affettivo e fisico, di un compagno stabile, non se la sono passata bene, diventando molto spesso le prime clienti di presidi psichiatrici, o scivolando in dipendenze alimentari, o da sostanze tossiche.
Lo Stato, poi, ha speso nell’amministrare la “fabbrica dei divorzi” (giudici, esperti, servizi sociali per il controllo dei trasferimenti dei fondi dai padri alle mogli - figli, e per il controllo dei minori) molto di più che per la lotta all’alcool ed alle droghe sommate tra loro.
Sull’indebolimento del divorzismo hanno poi influito considerazioni di benessere fisico. In due si sta meglio, si vive più a lungo, ci si ammala meno, si hanno meno problemi psichici. La coppia, che diventa famiglia con l’arrivo dei figli, è una società naturale profondamente iscritta nella psiche umana. Se ne può fare a meno, ma non tutti reggono le privazioni legate a questa mancanza.
Inoltre, la famiglia duratura ispira negli esseri umani un progetto capace di mobilitare le loro energie migliori, affezionandoli alla loro vita, e migliorandola.

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