giovedì 10 maggio 2007

ROMA IL DONO DELLO SPIRITO


Non possiamo continuare a fare dei discorsi da “esperti” del movimento. Occorre che accada qualcosa che documenti che abbiamo capito. Quello che ci salva dal ricadere costantemente nel ripetere le parole,che ci mette al muro, è la verifica di che cosa ci è accaduto dopo Roma.
Roma e il dono dello Spirito

Riflessioni dopo l’udienza con Benedetto XVI del 24 marzo.
Contributo alla Scuola di comunità su «Il dono dello Spirito».
Appunti dagli interventi di Julián Carrón all’Equipe del Clu e al Consiglio di Presidenza di Comunione e Liberazione.
Milano, 22 e 24 aprile 2007

MAGGIO / 2007

1. L’urgenza di un passo
Abbiamo partecipato negli ultimi mesi a eventi uno più bello dell’altro, dagli Esercizi di dicembre all’incontro col Papa a Roma, alla Pasqua.
Soprattutto Roma è un esempio solare di quello di cui occorre rendersi conto.

Per aiutarci a stare di fronte a questi gesti – ripeto, soprattutto Roma

– abbiamo la fortuna di una singolare coincidenza: proprio in queste settimane la Scuola di comunità ci propone il capitolo su «Il dono delloSpirito» (L. Giussani, Tracce d’esperienza cristiana, in Il cammino al
vero è un’esperienza, Rizzoli, Milano 2006, pp. 105-117). Ecco che cosa scrive don Giussani: «Gli apostoli si erano imbattuti in una realtà eccezionale, affascinante, profondamente persuasiva» – tanto da trascinarealtri –, ma non avevano capito: «Non si rendevano completamenteconto di Quel ch’essa fosse» (p. 105). Gli apostoli non avevano capito.
Domandiamoci: che cosa c’entra il gesto di Roma con questa provocazione della Scuola di comunità? In che modo la Scuola di comunità
ci aiuta a capire o a entrare nel suo significato? La questione sta qui:
poiché non siamo dei sassi, siamo stati colpiti da questo evento assolutamente eccezionale, ma – paradossalmente – anche dopo aver partecipato a un simile gesto, come i discepoli, possiamo rimanere smarriti:
e allora i gesti, invece di essere un aiuto, diventano pretesto per unoscetticismo.

L’ho avvertito l’altro ieri, facendo la Scuola di comunità con un gruppo di giovani laureati. Subito dopo la lettura del primo paragrafo diquesto nuovo capitolo («L’esperienza del Divino», pp. 105-108), avendo io lanciato la provocazione sul gesto di Roma, uno è intervenutodicendo: «Questo è il mio problema: dopo Roma, nonostante la bellezza accaduta, per due settimane ho vissuto con una impotenza e unasolitudine immense, con una mancanza di significato nelle giornate».
Ma uno che, dopo aver partecipato a un gesto assolutamente eccezionale, a distanza di due settimane si ritrova così, come fa a non dire:
«Allora, che cosa deve accadere perché cambi qualcosa? La prossima volta perché mai dovrei andarci?». È l’insinuarsi dello scetticismo.
Neanche partecipare a un fatto eccezionale è in grado di vincere lo scetticismo. Questa è la questione. Dobbiamo cercare di rispondervi,
perché qui si vede se tutto il percorso che abbiamo fatto porta a una certezza più grande. Altrimenti, anche dopo interventi dove si fa l’elenco di fatti eccezionali, alla fine quello che resta, che viene fuori nell’ultima riga, è il verme dello scetticismo, che può fare diventare tutto inutile.

Noi siamo come gli apostoli, facciamo lo stesso percorso: loro avevano partecipato a un evento eccezionale, ma non avevano capito. La mia domanda è molto semplice: come sappiamo se abbiamo capito quello che abbiamo vissuto a Roma? Proprio nel capitolo citato della Scuola di comunità noi troviamo la risposta. Don Giussani dice che gli apostoli si erano imbattuti in un fatto eccezionale, ed erano affascinati, come noi,
eppure non capivano, perché mancava loro qualcosa, mancava che succedesse qualcosa: si chiama “dono dello Spirito”. Che cosa vuole dire dono dello Spirito? Se ai discepoli non fosse accaduto il dono dello Spirito, se non avessero capito, alla fine se ne sarebbero andati via smarriti: «Noi pensavamo, ci aspettavamo che questo profeta potente in opere e parole…». Così anche noi potremmo dire: «Noi ci aspettavamo che andando a Roma…». È lo stesso. Il passo che occorre fare è quello che dice la Scuola di comunità, e il nesso con il gesto di Roma è una modalità per capire che cosa è lo Spirito, perché altrimenti per noi rimane come un fantasma. Siccome questo passaggio non è secondario

senza di esso, infatti, cresce lo scetticismo –, mi interessa metterlo a fuoco senza scivolare via.

2.
Un criterio nuovo
Come possiamo capire se abbiamo capito?

Leggiamo il testo: «Senza l’avvenimento del suo Spirito, l’uomo può imbattersi in Cristo come in un grande, una figura d’uomo eccezionale, ribelle a ogni categorica riduzione, strana forse, irresistibilmente persuasiva per la comune attesa dei semplici, entusiasmante per la freschezza energica degli uomini appassionati di giustizia, pericolosissima per le forme responsabili di un ordine stabilito: tutto questo fu per i suoi contemporanei. Oppure così grande, magari, da sembrare un commovente e drammatico mito: e questo può essere per la scettica disperazione dell’uomo di oggi. Ma senza l’avvenimento del suo Spirito, l’uomo – apostoli o noi – rimane sul limitare oscuro di questeprospettive; per l’uomo, Cristo rimane un volto enigmatico e misterioso. [...] Così Cristo sarebbe un nuovo oggetto da affrontare, un nuovo rischio da correre ciechi, non un criterio nuovo, un’altra luce, nuova,
finalmente» (p. 106). Ecco il punto: possiamo capire se abbiamo capito quello che è successo a Roma o agli Esercizi, se ci sorprendiamo stupiti (per questo è un dono dello Spirito) del fatto che si è introdotto uncriterio nuovo con cui giudicare tutto e incominciamo a guardare ilreale (noi stessi, quello che dobbiamo fare, le attività, i gesti). Se quello che è accaduto non diventa un criterio nuovo su tutto, vuol dire che non si è capito. E a questo non arriviamo per non so quale ragionamento.

Prima di tutto, allora, si tratta di un riconoscimento: io mi rendo conto che ho capito, se mi sorprendo ad avere in me un criterio nuovo.
Lo Spirito non è qualcosa di fantasmagorico, una figura mitica, strana:
noi ci rendiamo conto che Lui è entrato e ci ha fatto “capire” dal modo con cui, dopo Roma, ci rapportiamo a tutto. Se continuo ad essere scettico, significa che non ho capito, che devo ancora chiedere il dono dello Spirito e guardare quello che è successo. Come ho detto nella lettera al movimento, occorre immedesimarsi. Questo non chiude la vicenda,ma la apre. Dobbiamo chiedere il dono dello Spirito per capire che cosa è successo. Abbiamo partecipato come gli apostoli a un fatto eccezionale, ma si vede che ancora non abbiamo capito perché non è diventato un criterio nuovo su tutto. Faccio un altro esempio. L’altro giorno, nella Scuola di comunità di cui parlavo, dopo che ho detto queste cose, una ragazza – non mi dilungo sui particolari – ha raccontato di un’ottima offerta di lavoro ricevuta dal marito. Diceva anche delle cose interessanti, suggestive, da questo punto di vista, ma io l’ho interrotta: «Guarda, carissima, se tuo marito fosse andato a Roma cieco e fosse ritornato vedente, e se dopo avesse avuto questa opportunità stupenda di lavoro in Svizzera, tu oggi di che cosa parleresti?». «Del fatto che mio marito vede!». «Allora, perché stiamo qui a parlare del lavoro in Svizzera?». Uno si rende conto che ha capito perché entra una luce del tutto nuova nel modo con cui affronta tutto – tutto quello che lo prende e con cui entra in rapporto

Per aiutarci a capire che cosa ha significato Roma, dobbiamo guardare che cosa è successo dopo l’udienza. Noi stessi possiamo riconoscere,
sorprendendoci in azione, se questo “criterio nuovo” di cui parla don Giussani è entrato in noi. È impossibile che, avendo partecipato all’assemblea di questa mattina, ognuno di noi non abbia tentato una risposta alla domanda che ho posto. Ognuno di noi deve fare adesso il paragone tra quello che aveva in testa e quello che dice la Scuola di comunità.

Se uno – come diceva l’intervento citato –, dopo aver partecipato all’evento di Roma, afferma che per due settimane ha vissuto nell’impotenza totale e nella mancanza di senso, questo è in contraddizionecon quello che dice la Scuola di comunità, vale a dire che noi abbiamo capito, se abbiamo riconosciuto che «Cristo è il punto di vista che spiega ogni cosa» (p. 107). Come sappiamo che Cristo è diventato il punto di vista? Don Giussani risponde: «Nell’avvenimento di questo dono, la solitudine umana è sciolta» (p. 108). Se, dopo aver partecipato al gesto di Roma, mi trovo nella solitudine totale, nella mancanza di significato,
vuol dire che non ho capito. Per questo nasce lo scetticismo. Non lo dico come un rimprovero, ma semplicemente per richiamare che dobbiamo immedesimarci e aiutarci a capire quello che ci è successo, che dobbiamo chiedere lo Spirito, come gli apostoli, perché solo «nell’avvenimento di questo dono, la solitudine umana è sciolta», «l’esperienza umana non è più quella di una impotenza desolante [perciò scettica]:
ma quella di una consapevolezza e di una energica capacità» (pp. 1089).

Dunque, io mi rendo conto di avere capito perché si introduce questo criterio nuovo, si scioglie la solitudine e mi trovo addosso una energica capacità. Tanto è vero che gli apostoli, invece di rimanere rattrappiti, con le porte chiuse per paura di tutti, sono scesi in campo. Se abbiamo capito, allora, lo riscopriamo guardando: guardando che cosa è successo, come ci siamo sorpresi dopo Roma, poiché è un dono(come per il cieco nato di cui abbiamo detto agli Esercizi). Ognuno ha potuto dire qualcosa di Roma, così come tutti potevano dire qualcosa di Gesù: un uomo eccezionale, ribelle, irresistibilmente persuasivo, ma non avevano capito. Uno ha capito se si è sorpreso con un criterio nuovo, con un giudizio nuovo su tutto. Ma il giudizio – attenzione –non è una questione intellettuale: è che io mi ritrovo a guardare, a giudicare, a entrare nel reale con una luce nuova, con un punto di vistanuovo; mi alzo al mattino, guardo me stesso, investito da qualcosa di nuovo, che non mi posso togliere di dosso. Il dono dello Spirito è un evento, è qualcosa che mi investe così potentemente che io non posso fare a meno di fare lezione, di prendere la macchina o la metropolitana ed essere tutto investito da questa Presenza che diventa un giudizionuovo, che è un criterio nuovo.

Questa è la vittoria sullo scetticismo: il fatto eccezionale rimane come qualcosa che mi investe, come il punto di vista che spiega, che dà senso,
che dà significato a ogni particolare, a ogni attività. Non faccio un ragionamento, ma sorprendo in me un punto di vista nuovo, che dà senso e significato a ogni cosa
.

Adesso ci rendiamo conto di quanto siamo lontani dall’avere capito.
Non lo dico per scoraggiarci, ma perché occorre mettersi in moto,
immedesimarsi, domandare, guardando il fatto, quello che è successo.
Se dopo due settimane può insinuarsi lo scetticismo, è perché in fondo non si è capito quello che è successo a Roma, cioè la potenza di Cristo vivo, risorto, che attraverso il suo Spirito ci ha presi tutti. L’incontro di Roma è stato la dimostrazione della potenza dello Spirito. Uno che dopo aver visto questo, questa potenza dello Spirito, si sente da solo,
non ha capito che quello che si è reso evidente è proprio che noi nonsiamo da soli, non ha cambiato il giudizio: continua a concepirsi come prima, da solo, continua a guardarsi con un criterio vecchio; ma è falso,perché lì si è mostrata la potenza di Uno per cui posso dire: «Non sono da solo». Senza la presenza dello Spirito di Cristo vivo e risorto, dello Spirito del Risorto, quel gesto non ci sarebbe stato. Possiamo dire: «Mi ha colpito questo, quest’altro…», per carità, va tutto benissimo, ma questa è soltanto la superficie. E se restiamo alla superficie, dopo ci domandiamo: «Come tutto questo permane?», senza avere capito che novità si è resa presente: è quella novità per cui tutti i dubbi sono fatti fuori, tutti i ripiegamenti saltano. Si vede che uno ha capito dal fatto che tutto questo è saltato (non si tratta di mettersi a fare gli intellettuali!).

3. Essere al lavoro: immedesimazione e domanda

Scrive don Giussani: «L’esperienza del loro incontro con quell’Uomo,
della loro lunga convivenza con quell’Uomo – appassionata, ansiosa,
incerta –, d’improvviso si plasma in un’altra esperienza, assolutamente imprevista, sconcertante – l’esperienza della realtà divina, l’incontro, la convivenza con Dio , luminosa, sicura, forte» (p. 107). Questo passaggio o accade o non accade, ed è un dono. Tutti desideriamo arrivare a questo punto, ma dobbiamo essere consapevoli di essere in cammino e non scoraggiarci.


I discepoli erano sconcertati per la Sua morte, e perfino dopo la
resurrezione rimasero chiusi in casa. Ma che cosa hanno fatto? Hanno
domandato. Anche noi, come i discepoli, possiamo domandare di capire sempre di più la portata di quello che abbiamo visto, di cominciarea riconoscere il significato del gesto eccezionale cui abbiamo partecipato, come un punto di non ritorno e come test di quello che dice laScuola di comunità sul dono dello Spirito.

Tutti possiamo aiutarci a capire.Come? Con l’immedesimazione e la domanda. Non si tratta di una domanda che giustifica la pigrizia, ma di un domandare guardando e di un guardare che diventa domanda. Nel guardare sorge la domanda di capire sempre di più, in modo tale che nel tempo si sveli la portata di ciò che abbiamo vissuto.
Ricordate quando in piazza San Pietro ho parlato della mendicanza
Ho detto che occorreva prendere consapevolezza di sé e usare la ragione anche in quel momento. La potenza dello Spirito è ciò che ci muove,che è in grado di muovere tutte le risorse del mio io perché possa capire. Chi deve capire, infatti, sono io, non un altro. Altrimenti tutto succede sempre fuori di me, non riguarda ultimamente me, non interferisce con me – fino al punto di farmi capire –, e perciò divento scettico.
Qual è lo strumento della mia capacità di capire? La ragione, che si spalanca per fare entrare qualcosa di assolutamente nuovo, un criterio nuovo. E questo è un lavoro.


Perché quello che ci è accaduto non prende il cuore? Perché il cuore rimane lontano e, in fondo, non toccato, non “garantito” (come dice il testo di don Giussani sulla Quaresima «Dio è misericordia», pubblicato nella Pagina Uno di Tracce di marzo, a pag. 6)

Mi raccontava una persona che, dopo aver fatto il viaggio in pullman per andare a Roma,quando si è seduta in piazza ha pensato: «Basta, siamo arrivati».
Credeva di avere già fatto tutto. Quando ha sentito dire che «il vero protagonista è il mendicante» ha avuto un contraccolpo. «Allora mi sono resa conto che non avevo fatto la cosa più importante». Noi possiamo partecipare a un gesto, fare tutto, e rimanere fermi: se non sono presente con tutto me stesso, posso aver fatto tutto, ma è come se il centro dell’io non si fosse mosso. Questo si chiama “razionalismo”. È diffusissimo, anche tra di noi, ed è la questione. Per questo, quando ilPapa invita ad «allargare la ragione», dice una cosa che riguarda anzitutto noi. Possiamo far tutto senza domandare niente, perché non abbiamo bisogno; apparteniamo a un’organizzazione, ma il nostro io non ha bisogno.

Non possiamo continuare a fare dei discorsi da “esperti” del movimento. Occorre che accada qualcosa che documenti che abbiamo capito. Quello che ci salva dal ricadere costantemente nel ripetere le parole,che ci mette al muro, è la verifica di che cosa ci è accaduto dopo Roma.In questo senso don Giussani è un aiuto assolutamente eccezionale. Ci dice: carissimo, tu hai capito, se si è introdotto nella tua vita un criterio nuovo. Come quando ci si innamora: ci si sorprende a usare il tempo libero, i soldi, tutto, in un altro modo, perché si è introdotta una cosa nuova, che o c’è o non c’è. Questo è il segno che abbiamo capito. Al contrario, «“se uno non ha lo Spirito di Cristo non è dei suoi” (Cfr. 1 Cor 2,11), cioè è un estraneo, un incapace di sorprenderne l’intima fattura,la natura segreta, di diventare familiare del suo mistero» (p. 106).

Ecco perchè il gesto di Roma è chiarito e illuminato dalla Scuola di comunità sul dono dello Spirito – pensate che razza di compagnia ci fa don Giussani! –. Se stiamo a quello che accade, ci rendiamo conto della grazia che ci è stata data a Roma: la permanenza del carisma di don Giussani, che continua attraverso i testi e i punti di riferimento. Il test di questa permanenza è in quello che ha detto il Papa: ciò che ha ferito don Giussani ha ferito anche i suoi figli spirituali, cioè noi.
Se ci rendessimo conto! È la cosa più sconvolgente, perché questa è la compagnia concreta di Cristo alla nostra impotenza. Perciò,come ricordavo prima, «nell’avvenimento di questo dono, la solitudine umana è sciolta. L’esperienza umana non è più quella di unaimpotenza desolante». Anzi, «l’esistenza diventa una immensa certezza», proprio perché a Roma si è reso presente in modo spettacolare un Altro, una Presenza all’opera tra di noi, senza la quale quel gesto non ci sarebbe stato, non si spiegherebbe. Esso non si spiega,
infatti, per la mitica organizzazione ciellina. Pensate a ognuno di voi, ciascuno con la sua storia, pensate a come tutti siete stati travolti da un fatto che vi ha colpiti, che non è meccanico. Una Presenza all’opera: questo si è reso evidente in modo solare. «La forza dell’uomo è un Altro, la certezza dell’uomo è un Altro». Per questo «l’esistenza umana è un’amicizia inesauribile e onnipotente»(p.109).

Questo è l’inizio, soltanto l’inizio – come la punta dell’iceberg – di ciò che stiamo per incominciare a capire di quello che abbiamo visto: già soltanto incominciare a intravederlo introduce veramente un criterio nuovo. Più lo capiremo, più diventerà certo, e perciò luminoso, sicuro e forte. Questa è la strada che abbiamo davanti, amici.




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