venerdì 25 maggio 2007

LA FIGLIA DEL SILENZIO(romanzo di Kim Edwards )


RINGRAZIAMO LA NOSTRA AMICA RENATA ROTA CHE CI HA SEGNALATO QUEST'ARTICOLO COMPARSO SU AVVENIRE(madrina di Giovanni bimbo down)
http://www.radioalt.it/radioalt/news.asp?id=847 (potete trovare ed ascoltare l'intervista all'autrice del libro)
.....arriva in Italia la scrittrice Kim Edwards, che racconta con
forza e delicatezza la realtàdell’handicap. «Ho voluto abbattere uno steccato»
CHI È Un caso editoriale oltreoceano Il romanzo di Kim Edwards a sorpresa è diventato un vero e proprio caso editoriale negli Usa dove da mesi resiste in cima alle classifiche dei libri più venduti e le critiche positive si sprecano....


Non vi sembra strano che un libro che parla di disabilita' sia fra i libri piu' venduti in Amerca?
Forse sara' perche' ci sentiamo tutti un po' diversi ma abbiamo tutti lo stesso desiderio di felicita'?

Sarebbe bello che anche su quest'argomento ci raccontassimo di piu' le nostre storie.
Mi riprometto di farlo anch'io.


Il romanzo choc della diversità
DI MASSIMILIANO CASTELLANI
In America ha venduto
3 milioni di copie: arriva in Italia la scrittrice Kim Edwards, che racconta con
forza e delicatezza la realtàdell’handicap. «Ho voluto abbattere uno steccato»
CHI È Un caso editoriale oltreoceano Il romanzo di Kim Edwards a sorpresa è
diventato un vero e proprio caso editoriale negli Usa dove da mesi resiste in cima alle classifiche dei libri più venduti e le critiche positive si sprecano. Una per tutte: il “Lexington Herald Leader”, il quotidiano della città dove vive e lavora la Edwards . scrive che «in “Figlia del silenzio” c’è un po’ di Anne Tyler, un pizzico di Russel Banks e un altro po’ di AnnBeattie». Paragoni che all’esordienteEdwards non dispiacciono di certo, così come ha gradito una diffusa opinione della critica che l’ha accostata, per scrittura ed intensità emotiva dei temi trattati a una «Khaled Hosseini al femminile». Il paragone con l’autore de “Il cacciatore di aquiloni” inorgoglisce la scrittrice americana che non ha un vero e proprio punto di riferimento nella letteratura contemporanea anche se confessa di amare molto tutta l’opera dell’irlandese William Trevor.
Ci sono libri che possono cambiare radicalmente, se non la vita, almeno la prospettiva delle proprie idee e la visione nei confronti degli
altri (o meglio «l’altro»), non solo a chi li legge, ma a cominciare dallo stesso autore. È quello che è accaduto a Kim Edwards, una sorridente e rassicurante 48enne che insegna all’Università del Kentucky di Lexington, la quale durante uno dei suoi corsi di scrittura creativa con degli adulti affetti da disturbi disgregativi della personalità, ha cominciato a scrivere il suo primo romanzo Figlia del silenzio (in Italia appena edito da Garzanti). La storia di una famiglia americana che si snoda
nell’arco di venticinque anni, dal 1964 fino al 1989. Dall’anno della nascita e
dell’occultamento da parte del padre di una bambina, Phoebe, affetta dalla sindrome di Down. Il papà, il dottor Robert Henry aiuta la moglie Nora a far nascere Phoebe, per poi fargli credere che la piccola è morta subito dopo il parto. Storia di
una creatura “mongoloide” per la quale il primo drammatico pensiero del padre è farla sparire: «Per risparmiarsi tanti dispiaceri non ci sarebbe altro che metterla in un istituto». Comincia così la vita parallela di Phoebe fino al ricongiungimento con la famiglia naturale e soprattutto fino al momento del riconoscimento del suo gemello Paul, che era stato cresciuto nella casa del dottor Henry come un figlio unico. Il figlio perfetto, da plasmare ad immagine e somiglianza dell’altrettanto famiglia perfetta-borghese nella quale secondo i dettami della pubblica ottusità vigente in quei primi anni ’60 negli Usa - e non solo -non c’era posto per la piccola e malformata Phoebe che viene salvata dall’anima pura e l’estrema sensibilità materna di Caroline, l’infermiera del dottor Henry, che non ha cuore di lasciarla in un «cartone» nel primo Istituto nel quale gli era stato ordinato
di portarla. Caroline diventerà la madre adottiva di quella bambina che haispiratola
storia di Kim Edwards che ha seguito la trama di «tante altre storie vere e analoghe accadute in quegli anni di profonda rigidità nei confronti di certe problematiche». «I bambini con la sindrome di Down (in Italia si calcola che oggi siano circa 40mila) negli Stati Uniti degli anni ’60 vivevano nel più totale
anonimato all’interno delle famiglie ed emarginati dal resto della società. La maggior parte di quei bimbi venivano portati in quelli che erano chiamati “Asili per menti deboli” e lì crescevano fino alla fine dei loro giorni». Poi nel 1969 sotto la
presidenza di Lindon Johnson, la riforma sui diritti civili portò a una sensibile svolta e ad una presa di coscienza popolare. E le cose lentamente sono cambiate.
«Oggi certo la realtà di questi bambini, grazie anche alle numerose strutture
specialistiche e ai programmi di intervento dello Stato americano sono decisamente
migliorate, ma non possiamo ancora parlare di una piena e riuscita integrazione. Le nostre società civili purtroppo hanno ancora problemi a confrontarsi in maniera naturale e serena con quello che a torto abbiamo circoscritto entro gli steccati
della “diversità”. Scrivere questo libro e raccontare la storia di Phoebe, è stato ricercare una volta di più ciò che unisce me a bambini e persone con problemi psicofisici, piuttosto che seguire la pratica diffusa del capire ciò che ci divide dagli altri che sono diversi da noi». Un tentativo riuscito quello della Edwards, mamma di due bambine, che grazie al grande successo tributato alla Figlia del
silenzio (3 milioni di copie vendute negli Usa, un successo al quale ha contribuito il passaparola dei Librai Indipendenti, (realtà sconosciuta qui da noi) ha avuto la
possibilità di entrare a contatto con le famiglie con figli down e stabilire una comunicazione diretta con queste piccole, dolci, creature dotate di una straordinaria sensibilità oltre che di una spiccata intelligenza.
«Ho capito - mi racconta - le enormi potenzialità che
possono sviluppare queste bambini originali già nella loro visione del tempo: loro vivono con una grande concentrazione sul presente, a differenza di noi adulti che siamo sempre propensi a dei rimandi continui al passato». Ne è un esempio la
figura problematica del papà della piccola Phoebe, quel dottor Henry «imprigionato dal senso di colpa» e che si rifugia nella passione per la fotografia. «Una metafora quella della fotografia nella vita del dottor Henry, che ho scelto appositamente per inquadrare il personaggio, il quale per tutta la sua vita ha avuto la necessità di
fissare e di controllare le immagini, di tenere sotto controllo un passato
ingombrante come quello di una figlia che aveva segretamente fatto sparire dal
suo nucleo familiare, per preservarlo dai dispiaceri, quando poi quel nucleo si
sgretolerà lo stesso sotto i colpi dell’infelicità».
Il finale, che non raccontiamo, per rispetto dei lettori che siamo certi saranno in tanti ad apprezzare questa tenera e straordinaria storia che la
Edwards definisce «fatta di tanti viaggi spirituali che approdano e ripartono dalla loro personale sofferenza», è spiazzante per l’atteggiamento dolce e leggero
che manifesta Phoebe quando incontrerà la madre naturale e il fratello Paul e viene da chiedersi: davvero questo è potuto accadere in una storia reale? La Edwards sorride e con dolcezza materna non ha esitazioni: «È andata così, almeno in una delle storie che mi hanno raccontato degli amici dello Iowa… Ma forse è accaduto in molte altre e spero accadrà ancora a tante Phoebe in giro per il mondo, le quali
hanno il diritto di vivere la loro vita senza correre più il rischio criminale di venire discriminate».


[ANTEPRIMA WHITESIDE : IL LIBRO QUI RECENSITO ESCE OGGI IN LIBRERIA]
Nella vita di tutti sono presenti momenti particolari, dove la scelta appare cruciale per il nostro destino. Così anche David, il protagonista del romanzo, si ritrova a dover decidere in brevissimo tempo cosa fare della sua vita e della vita della sua famiglia.
Siamo nel 1964 e Norah, la moglie di David, sta per partorire. Inaspettatamente il parto si scopre essere gemellare, oltre al primo figlio nasce infatti anche una sorella che però presenta, agli occhi di David che è un medico, le caratteristiche tipiche di un handicap grave: è infatti affetta dalla sindrome di Down. Nel 1964 questo rappresentava un elemento molto forte di discriminazione. Le battaglie per integrare le persone con questo handicap sono infatti ancora da venire.
David decide allora in un brevissimo lasso di tempo di abbandonare la figlia malata in un istituto e racconta alla moglie che la figlia è nata morta. La decisione, inspiegabile per noi, assunta così in tutta fretta e nella convinzione di agire per il bene della famiglia, David ha avuto infatti l’adolescenza segnata dalla morte per malattia della sorella, si rivela in realtà essere la decisione sbagliata che segnerà l’esistenza di tutta la famiglia.
Dalla tristezza per questa scomparsa nasceranno infatti i problemi di depressione e di alcoolismo della moglie, la crescita sempre più forte del senso di colpa di David e un disagio profondo per il figlio sano.
La storia si sviluppa dal 1964 fino a quasi i giorni nostri e racconta la storia di questa famiglia, ma per estensione racconta anche l’evolversi dell’America a partire dai pregiudizi degli anni 60 prima e di tutti gli anni a seguire fino al finale nel 1989.

Negli Stati Uniti questo libro ha venduto più di 2 milioni di copie senza avere alle spalle una grande spinta commerciale. Questo risultato è stato possibile grazie al passaparola dei lettori che o di persona oppure tramite internet l’hanno fatto diventare un best seller. In generale questo vuol dire una sola cosa: che il libro sa parlare ai lettori. Ed in effetti ci sa parlare molto bene. E’ infatti molto difficile non entrare nella storia; i drammi vissuti e le storie personali sono reali, i personaggi sono vivi e questo è già di per se un elemento importante nell’economia del libro. A mio parere un libro vale la pena di essere letto quando alla fine ci domandiamo come sarebbe continuata la vita dei personaggi se lo scrittore avesse deciso di continuare la storia. In questo caso la domanda mi si è posta naturalmente non appena letta la parola fine.




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