mercoledì 6 febbraio 2008

A CHI APPARTIENE IL RESPIRO DI UN UOMO?

Il dovere di rianimare
di Marina Corradi
Tratto da AVVENIRE del 5 febbraio 2008

Un neonato che si mostri vitale deve essere rianimato. Anche se man­casse il consenso dei genitori: dal mo­mento che ha vita autonoma, ha diritti pari a quelli di ogni altro.


Se, successiva­mente, ci si rende conto dell’inutilità de­gli sforzi, bisogna evitare a ogni costo che le cure intensive possano trasformarsi in accanimento terapeutico. Questo dice un documento firmato dai titolari delle cliniche universitarie di Roma.

Sembrerebbero affermazioni largamen­te condivisibili. Leggendo i giornali, pa­re invece che in concomitanza con l’ap­pello del Papa alla difesa della vita dalle Università – cattoliche e laiche – di Ro­ma un fronte di oltranzisti abbia mani­festato una volontà di un accanimento terapeutico sui prematuri. In particola­re, ha destato scandalo l’idea di una ria­nimazione del figlio prematuro, anche se madre e padre non fossero d’accordo. Il ministro Turco ha detto che si tratta di un’ipotesi «crudele».

In realtà, se si confronta il documento romano con le linee guida della 194 da poco elaborate da un comitato di esper­ti nominato dal ministero della Salute, si nota che la sostanza non è diversa (infatti, tra gli estensori delle linee guida figura­no anche alcuni dei cattedratici roma­ni). Nelle linee ministeriali si afferma che fino a 22 settimane e 6 giorni di gesta­zione devono essere – a fronte di possi­bilità di sopravvivenza scarsissime – pra­ticate cure «compassionevoli», salvo che in quei casi, statisticamente ecceziona­li, in cui il bambino «si mostra vitale»: e quindi ovviamente lo si rianima. Il con­cetto è lo stesso: se un neonato per quan­to prematuro è vitale, ha diritto a essere rianimato. Poi, nelle ore successive, si va­luterà se l’intervento dei medici non sta solo procrastinando di qualche giorno una morte inevitabile – cosa che sareb­be accanimento terapeutico.

È ciò che disse un mese fa in un’intervi­sta a questo giornale il professor Fabio Mosca, responsabile della Patologia neo­natale della Mangiagalli e fra gli esten­sori delle linee ministeriali: in sala par­to, con pochi secondi a disposizione per scegliere, si rianima «senza se e senza ma» ogni prematuro vitale. Poi viene il momento di parlare con i genitori, e di valutare se è giusto passare a «cure com­passionevoli ». Ciò che afferma anche il documento di Roma: valutare, e evitare a ogni costo l’accanimento terapeutico. Dov’è allora lo scandalo? Sembra un chiasso ideologico, quello imbastito sul documento delle Università romane. Forse, ciò che ha destato fastidio è l’af­fermazione netta del diritto alla riani­mazione di ogni prematuro vitale, quan­do una bozza di documento espressa da alcuni neonatologi di area laica mesi fa ipotizzava la non rianimabilità prima delle 23 settimane, cioè un 'paletto' fis­so, per molti medici inaccettabile – e che ricalca la norma olandese: prima della 26esima settimana nessuna rianimazio­ne, per l’alto rischio di invalidità. Norma in sostanza eugenetica, tesa com’è a eli­minare i figli potenzialmente imperfet­ti.

Oppure, ciò che ha urtato è il sostenere il diritto alla rianimazione del nato, an­che senza l’assenso dei genitori. E stupi­sce molto che un ministro definisca que­sta ipotesi «crudele». Perfino la 194 af­ferma che il medico deve prendere ogni misura per salvaguardare la vita del feto, se dopo l’aborto è vitale, e non menzio­na alcun necessario consenso della ma­dre. Il contrario del resto sarebbe incon­cepibile: se è vitale e ormai autonomo, come si può immaginare che non lo si curi perché i genitori non vogliono? La vi­ta di un uomo appartiene a sua madre o a suo padre? E non è un medico, obbli­gato a quel soccorso?

È quel «crudele» detto dal ministro a pro­posito di una scelta anche giuridica­mente obbligata, che fa temere che su a­borto e diritto alla vita siamo ancora nel­l’alto mare della polemica ideologica. Mentre le possibilità di intesa fra laici e cattolici su questi temi, crediamo, si pos­sono trovare.

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