lunedì 23 marzo 2009

LA MORTE NON E' UN PURO CREPARE MA INVESTE LA LIBERTA' DELL'UOMO

.......la morte del Nazareno è la morte immeritata del perfetto innocente, e neppure solo perché Gesù assume la morte sponte (cioè per libera elezione). Per comprendere l' unicità singolare della morte di Cristo è necessario aggiungere un altro dato fondamentale. Gesù sconfigge la morte mediante l' atto di obbedienza umana di una persona divina. Nel libero «Sì» di Gesù agonizzante al Getsemani il destino di condanna capitale che accompagna ogni morire è abbracciato ed assunto in un più radicale morire. La morte di Gesù Cristo è perciò l' espressione della sua eterna vitalità trinitaria. Nel libero «Sì» di colui che poteva non morire viene spezzato il giogo della condanna capitale. La morte è definitivamente sconfitta. Il di più di mortalità contenuto nella scelta sovrana di colui che ha deciso di lasciarsi mandare nel corpo per morire e risorgere libera tutti gli uomini dalla morte trascinandoli con sé, se Lo accolgono, nel destino di gloria.....


Corriere della sera
Card. ANGELO SCOLA
Riflessioni. I confini della vita: così viene riscattato un destino che appare come condanna capitale



Morire tra ragione e fede. Dopo l' articolo di Emanuele Severino, pubblicato ieri, sul tema interviene il cardinale Angelo Scola. Un grido irrompe nella storia dell' umanità e la attraversa per sorprendere la storia personale di ognuno di noi. Lo raccoglie la Chiesa nella Veglia pasquale. È il grido del Crocifisso risorto: «Mors ero mors tua» (Morte sarò la tua morte). Nella vittoria del Crocifisso l' elemento della morte come condanna, castigo per il peccato, è assunto dentro un' inedita prospettiva di compimento. Proviamo ad addentrarci, per quanto a tentoni, nell' esperienza di Colui che ha svelenito il pungiglione della morte. Uno dei momenti più drammatici dell' esperienza umana del Figlio di Dio è la notte del Giovedì santo. Gesù ha appena consegnato ai suoi il dono eucaristico e, afferrato dalla morsa dell' angoscia di fronte alla lucida consapevolezza di ciò che sta per avvenire, si è diretto verso il Monte degli Ulivi. Resta solo. E, dopo aver umanissimamente invocato dal Padre che gli allontanasse l' amaro calice, riafferma: «Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua volontà». Egli si avvia quindi al processo e poi si lascia illividire sul palo ignominioso della croce. Entra in tal modo con la sua morte estrema in una morte qualitativamente singolare. La sua è una forma del tutto speciale di morte che combatte e vince il duello con la forma comune, quella nostra, della morte. Perché? Non solo perché, come ha affermato Sant' Anselmo, la morte del Nazareno è la morte immeritata del perfetto innocente, e neppure solo perché Gesù assume la morte sponte (cioè per libera elezione). Per comprendere l' unicità singolare della morte di Cristo è necessario aggiungere un altro dato fondamentale. Gesù sconfigge la morte mediante l' atto di obbedienza umana di una persona divina. Nel libero «Sì» di Gesù agonizzante al Getsemani il destino di condanna capitale che accompagna ogni morire è abbracciato ed assunto in un più radicale morire. La morte di Gesù Cristo è perciò l' espressione della sua eterna vitalità trinitaria. Nel libero «Sì» di colui che poteva non morire viene spezzato il giogo della condanna capitale. La morte è definitivamente sconfitta. Il di più di mortalità contenuto nella scelta sovrana di colui che ha deciso di lasciarsi mandare nel corpo per morire e risorgere libera tutti gli uomini dalla morte trascinandoli con sé, se Lo accolgono, nel destino di gloria. Su questa base la Chiesa non annuncia semplicemente la possibilità di una morte serena, ma la fede nella risurrezione della carne. (...) La singolare morte di Cristo, diversa dalla morte comune perché in essa entra direttamente in gioco l' elemento «scelta», ma entra in gioco come puro, obbediente abbandono al Padre, è l' unico atto di libertà umana compiuto in senso pieno. È «conveniente» allora abbracciare la speranza della Risurrezione, perché è ragionevole che la morte di Gesù sia considerata come garanzia che la nostra comune morte non sia un cadere nel nulla. In questa prospettiva la morte appare proprio come la mia morte personale, dal momento che la mia libertà è da sempre al lavoro di fronte alla mia propria morte. Si può dire che la mia morte, nella sua radicalità, provoca la mia libertà a compiersi. La tende al massimo delle sue possibilità perché mette in campo il suo articolato organismo. In un certo senso non esiste un evento che chiami in causa la mia libertà lungo tutto l' arco dell' esistenza come la mia morte. Come ci insegna la tradizione cristiana e come mi testimoniano decine di malati estremi che ho il dono di incontrare, quell' angosciante rumore di fondo tendenzialmente rimosso che è la morte chiede di trasformarsi nella libera capacità di stare di fronte alla propria morte. Certo, molti tratti della società attuale possono far pensare alla morte come un puro «crepare». Ma, se guardiamo in faccia la realtà, proprio perché la morte investe tutto l' orizzonte della mia libertà, nessuno me la può sottrarre, neanche l' uomo-bomba che mi sorprendesse del tutto inatteso mentre al bar sorseggio il caffè. Così nell' ottica della ragionevole fede cristiana la morte non potrà ghermire l' io a se stesso. Al contrario, per la risurrezione, lo invererà nel «suo vero corpo». Allora nell' atto del mio morire in Gesù Cristo sarà il mio dies natalis.
Scola Angelo



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