sabato 21 marzo 2009

IL PRESERVATIVO RIDUCE MA NON ELMINA IL RISCHIO

di Riccardo Cascioli
IL TIMONE

Il preservativo riduce ma non elimina il rischio. Secondo uno studio pubblicato da Lancet nel gennaio 2000 (Volume 355, numero 9201), il rischio di contrarre il virus Hiv usando i preservativi durante i rapporti sessuali è nell’ordine del 15%. Ciò appare in linea con precedenti studi sull’affidabilità dei profilattici in materia di pianificazione familiare, secondo cui “la probabilità di una gravidanza in un anno in una coppia che usa esclusivamente il profilattico varia tra il 5 e il 30%, con una media del 15%”.



I fattori che spiegano questo dato sono diversi: anzitutto i cosiddetti “fallimenti tecnici”, ovvero la possibilità di rotture (si considera che si verifichino nell’1,5-8% dei casi) e la degradazione del lattice, direttamente proporzionale all’invecchiamento del profilattico e alle condizioni ambientali (intuibile che portato in tasca in un Paese tropicale, caldo, è soggetto a un processo di degradazione molto più rapido). Più controversa è invece la questione della porosità, ovvero la possibilità che il profilattico sia permeabile ai virus. Anche in questo caso ci sono comunque studi (presentati ad esempio alla V Conferenza Mondiale sull’AIDS svoltasi a Montreal) che dimostrano come in un buon numero di preservativi ci sia una permeabilità a microspore di diametro maggiore dell’HIV (virus 60 volte più piccolo del battere che causa la sifilide e 450 volte più piccolo degli spermatozoi). “C’è pertanto la possibilità che l’HIV presente libero nello sperma possa passare attraverso i pori al partner e per questo motivo alcuni suggeriscono di usare 2 preservativi contemporaneamente”.
Altri fattori di inefficacia del profilattico sono poi l’ “uso incorretto” e il “by-pass della barriera”, ovvero la contaminazione prima di metterlo.
I problemi della falsa sicurezza. Anche se il profilattico non elimina il rischio, sarebbe ragionevole aspettarsi comunque una riduzione del diffondersi dell’HIV laddove questo viene usato. Ma la realtà dimostra invece che non è così, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. In Africa, ad esempio, i Paesi con maggiore diffusione dei preservativi – Zimbabwe, Botswana, Sudafrica e Kenya – sono anche quelli con i tassi di sieropositività più alti al mondo. Gran parte della responsabilità è proprio di chi propaganda il preservativo come “la” soluzione definitiva al problema, inducendo un senso di sicurezza che moltiplica i comportamenti a rischio. E’ un fenomeno noto come “teoria della compensazione del rischio”: ancora sulla rivista “Lancet” è stata fatta a questo proposito una analogia con le cinture di sicurezza per le automobili che – anche loro – non hanno portato i benefici sperati. Se le cinture di sicurezza vengono percepite come un fattore di invulnerabilità i comportamenti a rischio dell’automobilista (alta velocità e infrazioni di vario genere) tendono ad aumentare, compensando così i vantaggi nell’uso delle cinture di sicurezza. Allo stesso modo accade per il preservativo: la sua efficacia è legata a un reale cambiamento dei comportamenti a rischio (astinenza e riduzione dei partner), ma chiunque si azzarda a dare questo messaggio viene immediatamente additato al pubblico disprezzo, aumentando così la diffusione del contagio.
Il fattore culturale e sociale. Il preservativo ha finora dimostrato una certa efficacia in specifiche categorie a rischio - persone con partner sieropositivi, donne e uomini coinvolti nell’industria del sesso e così via – e per questo nel mondo occidentale si è avuta in questi anni una tendenza alla stabilizzazione della diffusione dell’AIDS. Ma lo stesso strumento si è mostrato totalmente inadeguato quando a essere colpita dal virus HIV è una popolazione nel suo insieme, come accade nei Paesi in via di Sviluppo. Oltretutto ciò che funziona a New York o a Roma non necessariamente funziona allo stesso modo a Nairobi o Pechino. Le diversità culturali e sociali sono importanti: “Come è pensabile – mi dice un medico missionario - un uso corretto del preservativo in contesti come quelli africani dove la donna non ha neanche il diritto di rifiutare l’atto sessuale, o dove è diffusa la credenza che fare sesso con una vergine faccia sparire l’infezione?”. L’assurdità della “ricetta del preservativo” la espresse perfettamente il presidente ugandese Museveni nel 1992 a Firenze, durante il Congresso mondiale sull’AIDS: “Così come negli anni ’40 ci era stata offerta la magica soluzione della penicillina, i nostri esperti sanitari ci offrono ora il preservativo e il ‘sesso sicuro’. In paesi come il nostro, dove una madre, spesso, deve camminare 20 miglia per trovare un’aspirina per il suo bambino malato o 5 miglia per trovare un poco d’acqua, la questione pratica di trovare un costante rifornimento di preservativi o di usarli adeguatamente potrebbe non venire mai risolta. Nel frattempo ci viene detto che solo un sottile pezzo di goma si pone fra noi e la morte di un continente. Ritengo che i preservativi abbiano un ruolo da giocare come mezzo contraccettivo, specialmente in coppie HIV positive, ma non possono essere il mezzo principale per contenere e arrestare il corso dell’AIDS...”.

1 commento:

Anonymous ha detto...

Trovo molto interessante il confronto con le cinture di sicurezza. La conclusione dello studio ha portato ad abolirne l'obbligo nel codice stradale? mi pare di no.. anzi. Le pubblicità progresso ci ricordano ogni giorno l'importanza delle cinture. Per questo motivo, dato che "IL PRESERVATIVO RIDUCE MA NON ELMINA IL RISCHIO" favoriamo quanto più la diffusione dei preservativi. Dopodiché investiamo parallelamente per informare e portare ad una maggiore consapevolezza dei rischi del contagio. Come si dice, two is meigl che one, visto che one da solo non basta.